Davanti al focolare (o ad una lampada)

 

Davanti al focolare (o ad una lampada)

Là, sola soletta è rimasta
la figlia, la splendida figlia
del pescatore. Ella siede
al focolare ed ascolta
il sommesso ronzìo del paiolo
che sussurra soavi presagi;
e schioccanti fascine ella getta
nel fuoco, vi soffia, e la fiamma
rossa vampando magici riflessi
vibra sul florido volto,
sul volto tenero e bianco
che commovente s’affaccia
dalla ruvida greggia camicia,
sulla piccola mano sollecita
che la sottanina raccoglie
e stringe sul fianco sottile.

Il mare del nord. Notte sulla spiaggia, Heinrich Heine

La fanciulla alimenta il fuoco e “la fiamma rossa vampando magici riflessi vibra sul florido volto”. Così scopriamo che Il fuoco è il fuoco delle emozioni. Quanto sono vere queste immagini! “Questa emozione le piaceva mantenerla a fuoco lento, coperto da ceneri che erano però ardenti; e a tratti, ravvivando il fuoco con un’improvvisa parola, ella stessa si illuminava brevemente, scansando tuttavia subito dopo il pericolo, nascondendosi abilmente dietro un sorriso grazioso, o una gentilezza. Ma il cuore profondo era caldo. Un nulla bastava ad accenderlo, ed anche, senza dubbio, ciò che di solito accende i cuori”. Tonino, Henri Bosco.

Immaginiamo queste immagini e poniamoci in ascolto, soli davanti al focolare, davanti ad un calore dolce, avvolgente, carezzevole, là troviamo un piacere sessualmente valorizzato, dal valore femminile. “Troveremo facilmente una sistematica del calore diffuso, del calore dolce, del calore così fedele da essere senza dubbio l’archetipo dell’immagine della femminilità.” La poesia della materia, Gaston Bachelard

Volete ritrovare la calma? Respirate dolcemente davanti alla fiamma leggera del camino, che mentre ci dà calore illumina la stanza in penombra. Sentiamo un fuoco dolce, moderato, balsamico. E ancora, guardiamo e ascoltiamo le fiammelle di tenerezza che spuntano verso l’alto da sotto la brace. Sentiamo il crepitio, le fiammelle si agitano, tremano insieme alla luce nella stanza, sembrano gemere, abbiamo un po’ paura per le piccole fiamme.

“Se tutto ciò che cambia lentamente ha il suo modello nella vita, tutto quel che cambia vita trova il suo simbolo nel fuoco. E’ intimo ed universale, vive nel nostro cuore”. La psicanalisi del fuoco, Gaston Bachelard

Fra tutti i fenomeni naturali, il fuoco è l’unico che può accogliere il bene e il male. Splende in Paradiso. Brucia all’inferno.

Altra cosa è un fuoco ardente incontenibile:

Nel mio cuore c’era come un fuoco ardente
chiuso nelle mie ossa
mi sforzavo di contenerlo
ma non potevo.

Geremia 20,9

Le immagini del fuoco trovano piena realizzazione nei valori del femminile e del maschile: il “valore femminile” appartiene al fuoco dolce e avvolgente, ritmato e seduttore, come una tenera carezza, un grembo, un rifugio, un tepore. Questo può essere mantenuto conservato, ben chiuso, sotto una cupola di ceneri. Sistemato in un buco, al riparo, dove vivere quietamente.

Mentre il “valore maschile” comanda il fuoco vivace, concentrato, centro di potenza, attivo e improvviso, come la scintilla e la volontà, come fiamma che brucia gloriosamente.

Sono valori che possono scambiarsi in un baleno: reimmaginiamo il fenomeno del focolare, quando una fiamma tranquilla salta al di sopra di se stessa, stacca improvvisamente faville che volano via, più leggere e più libere, sotto la cappa del camino …

Il fuoco agisce, infiamma e tra i suoi poteri scopriamo le immagini di un fuoco purificatore e rigeneratore, separato dal fuoco sessuale. La fiamma purificata, purificatrice, illumina il sognatore due volte, negli occhi e nell’anima.

Ben altre immagini sono quelle della fiamma d’amore. Nel Cantico spirituale di Giovanni della Croce sono le ferite d’amore ad infiammare e a rinnovare: “L’anima arde di fuoco e di fiamma d’amore, tanto da sembrare che si consumi in quella fiamma, e la fa uscire da sé, rinnovarsi tutta e passare ad un nuovo modo di essere, come la Fenice che si brucia e rinasce nuovamente”. Il sognatore vede nella fiamma il suo stesso essere e il suo stesso divenire. Un essere si rende libero consumandosi per rinnovarsi, in una fiamma.

La stessa lampada che Ero ogni notte accende per mostrare la via a Leandro è fiamma d’amore:

Accesa la lampada,
Amore accese il cuore dell’impaziente Leandro,
bruciava assieme alla lampada.

Ero e Leandro, Museo Grammatico

Leandro “nave d’amore”, che ha per stella la lampada di Ero, e trova ogni volta la forza del nuotatore per giungere al dolce porto di fronte. E’ lo spirito che anima questi versi:

In fede mia, ti dico, venendo qui sono un nuotatore
Quando ritorno, mi sembra di essere un naufrago.
E ancora, se tu mi credi: verso di te, la via pare in discesa,
quando mi allontano da te, è una rupe di acqua impervia.

Eroidi, Ovidio

La lampada accompagna la notte e i due innamorati, così quando il vento spegne la lampada, impedisce il compiersi dei segreti amori: la lampada spenta è associata alla morte di Leandro. Isotta in attesa di Tristano paragona la lampada alla sua vita e si dichiara pronta a spegnere l’una come l’altra per amore.

Lasciamo le fiamme e la ferite d’amore, ponendo più estesamente l’attenzione all’uomo creatura del desiderio, e non del bisogno: siamo interessati al fuoco superfluo, all’eccitazione spirituale che genera. Si tratta di liberarsi dell’intransigente utilitarismo, scopriremo, anche per il fuoco, che il piacevole prevale sull’utile, la supremazia del piacevole sul necessario: l’uomo non vive di solo pane.

L’uomo è una creatura del desiderio, non una creatura del bisogno. Siamo stati creati per amore e non per essere utili. L’immaginazione del fuoco riguarderà il suo primeggiare tra gli elementi originari naturali, e non tanto per le sue molteplici utilizzazioni: scalda, cuoce le vivande, fonde i materiali, guarisce.

Non ci interessano quindi i fuochi addomesticati, prigionieri in un fornello, esclusivamente utili, ai quali non si permettono tutte le fiamme: li si misura, li si uccide, li si risuscita, li si avvilisce. Invitiamo a sognare i fuochi che scaldano e rassicurano, i fuochi dei focolai domestici e i fuochi che fanno accampamento, gli antichi fuochi degli accampamenti primitivi. Senza questi fuochi non c’è casa e non c’è accampamento, manca il genio protettore, manca la vera sosta col suo pasto caldo, il suo riposo tra due tappe, i suoi sogni e il suo sonno ben protetto. E questi fuochi non si accendono facilmente.

Ci riferiamo appunto al fuoco elemento naturale dell’immaginazione, al fuoco dolce, amico, capace di darci un grande benessere psichico. Così, davanti al focolare, mentre viviamo l’esperienza di un fantasticare che si approfondisce, troviamo un piacere sessualmente valorizzato dal valore femminile; e siamo distanti dal valore maschile.

Questi fuochi racchiusi nel focolare furono, senza dubbio, per l’uomo, il primo oggetto del fantasticare, ed insieme il simbolo del riposo, l’invito al riposo. Davanti al camino bisogna sedersi, bisogna saper fantasticare in un modo specifico.  Mentre il sogno cammina lentamente, dimenticando la sua strada proprio mentre la si percorre, il fantasticare davanti al focolare, cosciente del suo benessere, si concentra su un oggetto, per poi tornare sul proprio centro e gettare nuovi raggi di luce e calore.

Immaginiamo queste immagini: il fuoco di legna nel camino è un fuoco calmo, regolare, diretto, monotono e brillante: parla e si dilegua, canta. Un tempo immemorabile si apre davanti a noi: il tempo che fluisce lentamente e ci aiuta ad espanderci e a dissolverci nel mondo. Il calore è in noi e noi siamo nel calore. Il benessere del mondo ci invade da ogni parte. Tutto si fonde, tutto si unifica.

Senza dubbio, il dolce fantasticare davanti al fuoco vive della coscienza di ricevere il benessere psichico, oltre che fisico.

Ancora, immaginiamo di stare vicino al fuoco: ci scaldiamo davanti al focolare, riposiamo senza dormire, in una contemplazione abbastanza lunga per lasciarsi andare allo specifico fantasticare, alimentato dal fuoco, e ricevere il benessere del fuoco. Così possiamo godere dell’immaginazione più naturalmente concentrata e in libera espansione.

E’ quello che ci fanno vivere le pagine e le immagini davanti al focolare di Henri Bosco, col suo Malicroix. Cominciamo con le immagini dei piccoli fuochi, di antica origine, che durano e scavano lentamente sotto la cenere.

“Questi fuochi – dice il poeta – hanno una potenza tale nella nostra memoria che le vite immemorabili che dormono al di là dei più vecchi ricordi si svegliano in noi alla loro fiamma, e ci rivelano i luoghi più profondi della nostra anima segreta. Soli, illuminano, al di qua del tempo che presiede la nostra esistenza, i giorni anteriori ai nostri giorni e i pensieri inconoscibili di cui forse il nostro pensiero non è assai spesso che l’ombra. A contemplare questi due fuochi associati all’uomo da millenni di fuoco, si perde il senso della fuga delle cose; il tempo affonda nell’assenza, e le ore ci lasciano senza scosse. Ciò che fu, ciò che è, ciò che sarà, diviene mentre si fonde la presenza dell’esistenza stessa dell’essere, e nulla più, nell’anima affascinata, la distingue da se stessa, salvo forse la sensazione infinitamente pura della sua esistenza. Non si afferma affatto che si è; ma rimane ancora una leggera luce d’essere. Sarei? Si mormora; e non si è più legati alla vita di questo mondo e non attraverso questo dubbio appena formulato. Di umano rimane in noi solo il calore; perché non vediamo più la fiamma che lo comunica. Siamo noi stessi questo fuoco familiare che brucia raso terra dopo l’alba delle età, ma di cui sempre una punta viva si alza al di sopra del focolare dove veglia l’amicizia degli uomini”.

Leggendo questa pagina, il benessere del mondo ci invade da ogni parte, viviamo un riposo cosmico, profondo nel tempo e in continua espansione. Henri Bosco, questo grande sognatore cosmico, attraverso l’apertura offerta da un’immagine, ci fa abitare e scivolare nel mondo, nel benessere del mondo: il nostro essere non ha vincoli di tempo e di spazio. Così noi stessi sognatori possiamo prendere coscienza di una pre-esistenza, di un tempo immemorabile. Fuori del tempo, fuori dello spazio, davanti al fuoco, il nostro essere non è più incatenato ad essere là, o alla memoria personale. Per convincersi dell’esistenza che dura, dai giorni anteriori ai nostri giorni, e che dura e durerà, non è più obbligato ad affermazioni ripetute dell’io, a decisioni che assicurino l’avvenire di progetti risoluti. Il dolce fluire del fantasticare ci aiuta a scivolare nel mondo, nel benessere del mondo, dove veglia l’amicizia degli uomini.

Una volta di più, l’immaginazione ci insegna che l’essenza dell’essere è il benessere psichico, un benessere radicato nell’essere arcaico. I piccoli fuochi di Malicroix, così costanti, così prudenti, così pazienti sotto le ceneri, sono un fuoco in pace con se stesso. Davanti a questo fuoco, l’anima è al centro del mondo, al centro del suo mondo per espandersi, come calore. Ed attenzione, questo movimento di espansione non necessariamente fa dimenticare il corpo. A volte, infatti, il piacere davanti al focolare è più per il calore che penetra in profondità nel corpo, che per la sua potenza evocatrice. E’ insieme il riposo dell’anima e un dolce scaldarsi, sognavo e mi scaldavo. Sono immagini nelle quali troviamo il riposo nel benessere. Sono ore in cui il sognatore incorpora il suo benessere psichico, in cui si scalda dolcemente in profondità. Sentire il calore allora è per il corpo un modo di sognare. Così, nei movimenti del fantasticare davanti al focolare, si scaldano l’anima e il corpo: il movimento che ci fa scivolare in un mondo felice e attraverso il movimento che fa del nostro corpo una sfera di benessere psichico. Dobbiamo scaldarci anima e corpo, appunto.

Andiamo allora alla ricerca delle immagini arcaiche di un fuoco amico che trasmette la sua amicizia, abita la casa, ci fa compagnia, ci fa aderire al mondo. E’ il mondo del calore, è il mondo di una diffusa dolcezza che invita all’amicizia e al riposo. A chi ha conosciuto questa amicizia del fuoco, Henri Bosco, ripete i doveri da osservare: “Bisogna vegliare e alimentare questo fuoco semplice, con pietà, con prudenza”.

Immaginiamo di stare davanti ad un fuoco dolce, moderato, balsamico. Indebolisce: lo attizziamo, a più riprese, con perizia, a lungo, in mezzo al fumo. Ricorriamo infine a piccoli legni, ad un po’ di carbonella, che sono lì sempre a disposizione. Quindi ci impossessiamo delle molle, cosa che richiede pazienza e un po’ di fortuna. Ci limitiamo a mettere in vista alcuni tizzoni. Ci riposiamo senza aver lavorato.

Immaginiamo ora di cuocere al camino. Mai, come cuocendo col fuoco del camino, si fondono il piacevole e l’utile. Dalla catena pende il nero paiolo. La pentola oscilla nella cenere calda. Soffiando a lungo nel tubo di acciaio mia nonna risveglia le piccole fiamme. Per me cuoce un uovo, ma nei giorni in cui sono stato buono ha portato anche lo stampo delle cialde.

Pensiamo che sia significativo che tutte le fantasie davanti al fuoco hanno la caratteristica della semplicità, e che, per viverle nella loro semplicità, bisogna amare il riposo. Un grande riposo dell’anima e il dolce fantasticare sono il vero beneficio di queste immagini. Davanti al focolare, un sognatore ha l’esperienza di un’immaginazione che si approfondisce dolcemente in tranquillità, raggiungendo uno stabile riposo d’anima.

E’ il benessere di questo riposo attivato dal fantasticare ad essere alla base della nostra proposta “davanti al focolare”.

Eppure ci sono uomini senza focolare!

Ma quello che più ci rapisce è fantasticare sui piccoli fuochi, pazienti e tenaci sotto la cenere, che scavano il passato come la cenere. Sono piccole fiamme, illuminano tremanti qua e là e ci rivelano i luoghi più profondi della nostra anima. Davanti a questi fuochi, si fonde ciò che fu, ciò che è, ciò che sarà. Le fiamme non si vedono più, rimane soltanto il calore. Le immagini poetiche ci fanno vivere noi stessi come questo fuoco familiare che brucia raso terra. Il calore è in noi e noi siamo il calore. Il calore dà al fuoco la dolcezza femminile. Il benessere del mondo ci invade da ogni parte.

Si tratta di vivere con l’immaginazione l’infanzia del fuoco e l’infanzia del mondo che ardono in profondità e ci riscaldano dolcemente, è l’infanzia eterna e amica che è in noi e mormora, si espande, odora. Le immagini di questo fuoco amico fanno scivolare anima e corpo nel mondo e nel benessere del mondo.

Sì, gli odori, la fiamma profumata che brucia nel focolare ….. si sogna due volte davanti ad un fuoco profumato.

E che dire di quando una fiamma tranquilla improvvisamente salta al di sopra di se stessa e rilascia faville che volano via, più leggere e più libere sotto la cappa del camino. Una fantasia popolare, poiché la fiamma vola via, dice che queste faville sono gli uccelli del fuoco. E allora sogniamo che quegli uccelli del fuoco hanno il nido nel cuore del ceppo e sono ben nascosti sotto la corteccia e nel legno tenero. Ora, nel calore del focolare, viene il tempo di schiudersi e di volar via.

Il fuoco del cammino è popolato, non ha bisogno fino in fondo della solitudine. Così come non richiede un’esclusiva di concentrazione e sognare. Il fuoco del cammino si presta ad un riposo attivo che distrae chi lo attizza: l’uomo aiuta il legno a bruciare, aggiunge al momento giusto un ceppo supplementare. E quando il fuoco prende bene è tutto orgoglioso di sé.

Il fuoco del camino può distrarre chi lo attizza. L’uomo davanti al focolaio può aiutare il legno a bruciare, aggiunge a tempo debito un legno supplementare. E quando ci fermiamo a guardare la fiamma e a scaldarci, il sonno ci vince.

Altra cosa è stare davanti alla fiamma solitaria. Il sonno non ci vince davanti alla fiamma di una candela. La lampada, la candela bruciano da sé, non hanno bisogno di aiuto. La fiamma è sola, e vuol restare sola. E il sognatore è solo davanti alla fiamma che brucia sola. Sogna davanti ad una lampada e davanti ad una candela.

Ma al di là di queste distinzioni dovute, quando la fiamma brucia bene, che delicatezza di vita nella fiamma che si allunga, che si affina!

Immaginiamo una scena d’altri tempi: un uomo seduto a scrivere in un angolo, sul suo tavolino, al lume di candela. Tutta la piccola stanza viene pervasa da un’atmosfera di verticalità. L’uomo è un sognatore ispirato, scrive un verso dopo l’altro nel fuoco dell’ispirazione, canta la sua vita ardente, insieme alla fiamma della candela ascende i suoi sogni sempre più in alto. Ogni oggetto sul tavolo ha sua luce propria. Il gatto è seduto sul tavolo che guarda la mano del padrone che scorre sulla carta. La candela e il gatto guardano l’uomo con sguardi pieni di fuoco. La fiamma è tutta verticale, intrepida e fragile. L’uomo apre la finestra, un soffio d’aria scompone la fiamma, ma la fiamma è ancora viva, cerca di raddrizzarsi. Chiude la finestra. La candela comincia a cantare, a piagnucolare. Poi il silenzio. L’essere silenzioso della candela non dura molto, dopo aver vegliato mentre l’uomo scriveva, dopo aver condotto una vita in comune con l’uomo ispirato, comincia a frusciare, trema, geme; l’uomo ascolta e sente in quei mormorii cupi l’essere che brucia, il dolore del mondo. La candela si spegne … il gatto rimane immobile e fa luce con i suoi occhi … l’uomo è un poeta, vuol continuare a scrivere e portare a temine la sua opera.

Altra scena, l’uomo non scrive, legge, studia. Ritroviamoci come lui. La candela è la compagna del nostro lavoro solitario. La candela rischiara un libro, può spegnersi prima che abbia terminato la lettura e prima che abbia capito ciò che sto studiando. Se alzo gli occhi e guardo la candela, non studio, io sogno. Allora, sotto la piccola fiamma, le ore fluttuano tra la responsabilità di un sapere e la libertà di sognare.

Se passiamo dalla candela alla lampada ad olio, non acquistiamo un granchè in sicurezza che la luce non possa lasciarci. Accendendo la lampada lo stoppino di una sera non è detto che sia quello della sera prima. Lo stoppino se non è curato si carbonizza. Così il vetro va tenuto sempre dritto altrimenti si crea fumo. La lampada va curata come una cosa amica. Partecipiamo all’amicizia che i poeti hanno per le cose, per le loro cose. Così restituiamo alla lampada con Henri Bosco la dignità che aveva un tempo. Bosco ci fa accorgere, non senza emozioni, che la lampada è qualcuno, qualcuno che ci acquieta, pensa a noi.

Rispondiamo all’invito di Henri Bosco: “Abbiamo ben presto modo di accorgerci, non senza emozione, che lei è qualcuno. (…) Basta che il giorno si spenga e, vagando in una casa solitaria invasa da quella penombra che permette di muoversi soltanto andando a tentoni lungo i muri, allora la lampada che si cerca, che non si riesce a trovare, quando la si scopre là dove si era dimenticato che fosse, questa lampada raggiunta e afferrata, ancor prima di averla accesa, vi rassicura e vi offre una presenza dolce. Vi acquieta, pensa a voi. (…) Guardatela bene quando l’accendete, e ditemi se, segretamente, non è lei che si accende, sotto i nostri occhi distratti. Forse vi stupirei se dicessi che è lei a offrirci la sua fiamma più di quanto riceva il fuoco che le portiamo. (…) Lei è. Io la sento come una creatura.” Un oubli moins profond.

Il sognatore sa che questa creatura crea la luce e fa fantasticare bene. Sa che una buona lampada, un buono stoppino, olio buono, danno una buona luce che rallegra il cuore.

Certo noi non sogniamo così lontano. Non è facile immaginare l’amicizia con la lampada, fare della lampada un personaggio autentico, come fa Bosco nei suoi romanzi. Fino a trovare nella lampada un aiuto: “Avevo bisogno d’aiuto e, non so per qual motivo, lo cercai nel fuoco di quella piccola lampada. Mi illuminava poveramente, non essendo che una lampada banale che, pulita malamente, a tratti vacillava e minacciava di spengersi. Eppure era là e viveva. (…) Era un essere dolce e amichevole che mi comunicava, nel mio sconforto, la risonanza modesta della sua vita di lampada. Poiché nel suo globo di vetro solo un po’ di olio l’alimentava”. Malicroix

Che dolce e malinconica presenza riceviamo, se riusciamo ad ammirare queste immagini!

La lampada comunica una luce che vive di povertà, fragilità, e di un tempo lento. E’ questa luce amica, leggera, è questo calmo fuoco ad emanare penombra e pace.

Da buoni sognatori, diamo voce alla lampada, sentiamo la lampada sussurrare, la lampada alza dall’abat-jour un canto leggero, dolce, come lo si sente dentro le conchiglie. La lampada mormora, fa silenzio. Il tempo passa sereno e lento. La stanza del sognatore attraverso la lampada vive tutta di una felicità luminosa e semplice. Che dolce riposo! E come può essere laborioso questo riposo accanto alla lampada amica!

Immaginiamo questo straordinario accostamento tra il mix di luce ed ombra attraverso l’alta invetriata, che lascia nel cuore un suggello ardente, e l’accensione della lampada sul terrazzo alla Madonnina del Ponte sul fiume:

La sera fumosa d’estate
dall’alta invetriata mesce chiarori nell’ombra
e mi lascia nel cuore un suggello ardente.
Ma chi ha (sul terrazzo sul fiume si accende una lampada) chi ha
a la Madonnina del Ponte chi è chi è che ha acceso la lampada?

L’invetriata, Dino Campana

“Racconta, dea, della lampada, testimone di amori segreti”

Così inizia Ero e Leandro, l’immagine della lampada accompagnerà l’intero poemetto, tanto che può essere anche letto come il poemetto della lampada messaggera, segno e guida, che occupa e restringe lo spazio della lontananza.

La lampada è amorosa, segno d’amore, stella nuziale d’amore nello scenario notturno dell’eros.

Nel mito di Meleagro, la lampada è testimone discreto del convegno amoroso:

Il mio petto appoggiato al suo petto, il mio seno al suo seno,
le labbra premute contro le dolcissime labbra,
tenevo il corpo di Antigone vicino al mio, tutto il resto
lo taccio; un testimone può dirlo: la lampada.