Il mondo vegetale e l’albero dei sogni
Il mondo vegetale e l’albero dei sogni
Lasciato ho gli animali con le loro
mille mutevoli inutili forme.
Respiro accanto a te, ora che annotta,
purpureo fiore sconosciuto assai
meglio mi parli che le loro voci.
Dormi tra le tue immense foglie,
purpureo fiore sconosciuto, vivo
come il lieve fanciullo che ho lasciato
dormire, un giorno, abbandonato all’erbe.
Il vegetale, Sandro Penna
Che immagine sospesa sul mistero! Restiamo incantati davanti al “purpureo fiore sconosciuto” lasciato dormire tra le sue immense foglie.
Questo incantamento, quando ne siamo ancora capaci, forse si dà perché i prati, i fiori, gli alberi, il mondo vegetale tutto è ricco di stimolatori di sogni particolari, i più lenti, i più riposati, i più riposanti, i più avvolgenti. Il mondo vegetale trattiene fedelmente in sé il ricordo dei sogni felici, e quando è dentro di noi ci offre la tranquillità del ritmo lento, l’ampio ritmo sereno delle stagioni e la stagione che viene e include.
Bonaccia, calura,
per ovunque silenzio,
l’Estate si matura
sul mio capo come un pomo
che promesso mi sia,
che cogliere io debba
con la mia mano,
che suggere io debba
con le mie labbra solo.
Perduta è ogni traccia
dell’uomo. Voce non suona,
se ascolto. Ogni duolo
umano m’abbandona.
Non ho più nome.
Meriggio, Gabriele D’Annunzio
Che serenità cosmica perdersi nella natura, nella natura che si offre come dono promesso e mantenuto, come madre che si dà fedelmente per essere colta e succhiata, sollevandoci dalla nostra identità di uomini, dalle nostre preoccupazioni. Sono le immagini primordiali dannunziane, senza più nome, dolore, voce, traccia umana.
C’è tutto un mondo di immagini felici legato fedelmente al mondo vegetale: le verdi distese e la foresta, il prato e l’albero, il ciuffo d’erba e il cespuglio, il giardino e il prato, i fiori e i frutti, e nei fiori e negli alberi, la radice, il gambo e le foglie; un mondo nel quale si ha il piacere di immergersi ed incantarsi, scoprendo nel microcosmo naturale l’amore e il riposo universali.
“Ed io mi stendo nell’erba alta lungo il ruscello scrosciante e, così vicino alla terra, mille strane erbette mi si mostrano nella loro realtà; quando sento vicino al mio cuore il brulichio del piccolo mondo in mezzo agli steli, le numerose incomprensibili figure dei bruchi, dei moscerini, e sento insieme la presenza dell’Onnipotente che ci ha creati secondo la Sua Immagine, l’alito del Supremo Amore che ci porta e ci sostiene in un’eterna delizia, oh amico mio! Una vertigine passa davanti ai miei occhi e l’universo ed il cielo riposano interamente nella mia anima come la figura dell’amata” I dolori del giovane Werther, Goethe.
Proviamo ad immergerci nel “piccolo mondo”, nel suo riposo attivo. Sentiremo la presenza amica della creazione e dell’amore, di noi stessi come creature, in una sintesi naturale e rassicurante del piccolo animato e dell’Onnipotente.
La natura diventa ancora più intima, quando con i fiori aderisce alle forze di miniaturizzazione, quando immaginando nei fiori, si va in profondità e in ingrandimento, quando il mondo vegetale è grande nel piccolo, vivo nella dolcezza.
Godiamo della pace delle immagini del divenire, le immagini che ogni stagione fa rinascere, le stagioni fiorite o appassite, per non pensare alle immagini di potenza ispirate dal grano e dall’olivo, dalla quercia, dalla vite. Viviamo dentro queste immagini di Goethe, animate da cambiamenti rassicuranti e da un’energia spontanea, senza ostacoli e senza dramma. Sono immagini e parole felici, che fanno bene. Come fanno bene le fantasie naturali disneyane quando riescono a farci scoprire un nuovo possibile mondo.
Vieni a pregare con me, sorella mia,
per ritrovare la permanenza vegetale.
La porte sans memoire, Edmond Vandercammen
Che parole nuove, “permanenza vegetale”! Che dolce sicurezza, pace ci fanno scoprire! Che mondo di sogno e di riposo in questa “permanenza vegetale”! Associamoci a questa preghiera. Parliamo e sogniamo fedelmente il linguaggio della natura. Ascoltiamo le voci della natura. Accogliamone gli echi nel nostro parlare. Ci sono rapporti con la natura, con un albero, espressi da fiori di parole, bouquet di parole, ci sono fiori vocali che si prestano ad entrare in sintonia con il mondo vegetale. Sono immagini e parole che predispongono felicemente ad accogliere influenze e segrete corrispondenze: si può immaginare tutta una vita vissuta in sintonia con il regno vegetale. Ed ogni volta che eleggiamo un elemento del mondo vegetale, la comunicazione è con il cosmo.
“Un albero è molto più che un albero” dice Gilbert Socard in Fidèle au monde.
Un albero …
Com’è leggero
un albero, tutto ali
di foglie – tutto voli
verdi di luci azzurre nel celeste
dell’aria …
E com’è forte,
un albero, com’è saldo
e fermo, “abbarbicato
al suo macigno” …
Su un vecchio appunto, Giorgio Caproni
Così un albero leggero e ben piantato, vitale, sano e frondoso, pieno di fiori e di frutti, è molto più di un albero. Seguiamo questa apertura.
L’albero fiorisce di immagini divise: le une prossime alla radice, le altre, invece, se ne allontanano, sempre più, come le foglie e i frutti. Ma attenzione, l’albero è anche immagine di dissociazione: un continuo biforcarsi delle vie, è un continuo decidersi.
Ispirati dai poeti, vediamo nell’albero un naturale sostegno, un appoggio. Immaginiamo un sognatore appena addossato ad un albero, oppure appoggiato interamente all’albero, dorso contro dorso, petto contro petto: sono tutte situazioni che fanno l’essere rasserenato con il mondo da un semplicissimo appoggio, in armonia con il tempo lento, appoggiato contro la fibra senza nodi, in un dolce scambio di forze con la natura.
“Camminando su e giù, come il suo solito, con un libro in mano, si trovò, a un certo punto, appoggiato, più o meno all’altezza delle spalle, contro la parte cava di un alberello e, in questa posizione, si sentì immediatamente così gradevolmente sostenuto e diffusamente riposato da starsene lì, senza leggere, decisamente incassato nella natura, in una contemplazione quasi sconosciuta” Frammenti in prosa, R. M. Rilke.
Con l’aiuto del poeta, scopriamo che per sentirci “immediatamente così gradevolmente sostenuti e diffusamente riposati”, l’albero deve darsi come cavità, abbiamo bisogno di sentirci decisamente “incassati nella natura”, per ritrovare noi stessi.
Abbandoniamoci ad un sogno di un riposo sicuro e di un risveglio vigoroso e giovane: basta sognare un tronco cavo, pronto a raccoglierci per dormire allungati sfiniti, in un lungo sonno. “Nella notte profonda, quando la luna piena sta al di sopra del mio capo, mi siedo nel bosco solitario sopra il tronco ricurvo di un albero per riposare un poco i miei piedi feriti, ed allora in una calma che deriva dallo sfinimento, in un corpuscolo di tutto me stesso mi assopisco!” I dolori del giovane Werther, Goethe.
Conviene abbandonarsi con tutto l’essere alla particolare forza immaginativa del mondo vegetale.
Un altro sognatore ama sedersi in mezzo alle radici dell’albero, accoccolarsi lì, in mezzo alle dita dei suoi piedi, protetto dal corpo possente, che lo domina in silenzio, senza doversi preoccupare di nulla. I poeti ci fanno capire che ci capita spesso di essere rasserenati dall’aver trovato un semplicissimo appoggio dall’albero!
Questo vivere l’albero come abbandono rassicurante, per l’immaginazione è verticalizzante, porta il sognatore ad esaltare una forza evidente che conduce al cielo azzurro una vita terrestre. Pavese, nella sua Canzone, vede che “anche gli alberi uniscono il cielo alla terra”.
Pavese ci suggerisce di pensare la radice e l’albero, come elementi inscindibili che alimentano una catena di immagini conduttrice di energia immaginativa, sia che essa voglia procedere verso il fuori, verso il vasto, verso l’alto, sia che invece la valorizzazione conduca ad arretrare nel dentro, nel piccolo, nel basso, fino a percorrere il cammino che approda al centro della terra.
Immaginiamo e facciamo il gesto del pino: con le radici fa presa nella terra, per poi proiettarsi col tronco dritto verso l’alto, con la linfa che sale e con le molteplici e divergenti membra tese al cielo, fino a cercare l’aria e la luce con foglie aeree e frementi, alla conquista della leggerezza. Con la linfa che sale, per i grandi sognatori, sale il fuoco e la luce: una fiamma brucia nell’intimità dell’albero: i fiori, tutti i frutti sono fiamme.
“L’albero non è altro che una fiamma in fiore”, Novalis
E allora lasciamoci sorprendere dall’audacia di queste immagini vegetali della fiamma raccolte da Bachelard in La poesia della materia: “le arance sono le lampade del giardino”, “nei frutteti i frutti risplendono come lampade”, “l’albero trasforma i succhi della vita in sostanza di fuoco e di fiamma”, “sotto il sole di agosto lentamente il fuoco sale al grappolo; l’uva si schiarisce; il grappolo diventa un lampadario che brilla sotto l’abatjour delle foglie”, “quando era giovane la vigna succhiava attraverso il ceppo tutti i fuochi della terra che donava al grappolo”.
Immedesimiamoci nelle immagini ricorrenti dell’albero dritto secondo l’asse della verticalità, dell’albero della volontà verticale e verso l’alto, tanto che contemplarlo ci porta a drizzarci. E la verticalità è nei due sensi: infatti, si può sognare bene godendo della forza di tutta la verticalità dell’albero, passando felicemente dalla vita sotterranea terrestre delle radici, verso il basso, fino al cuore della terra, fino agli inferi, oppure fino alla vita aerea delle cime, nell’altezza. Questa dinamica che si realizza in una verticalità nei due sensi ci offre una ricchezza di benefici da cogliere.
E’ una polarità che si presta a felici cambi di prospettiva. R.M. Rilke in Verzieri e le quartine vallesane ci fa immaginare questo capovolgimento di prospettiva:
Viste dagli angeli, forse, le cime degli alberi
Sono radici, che bevono dai cieli
E, nel suolo, le radici profonde di un faggio
sembrano loro tacite vette.
Ancora, l’immagine del grande albero in ascolto e che fa silenzio, così da procedere dal principio come da una salda radice.
Un albero si leva – o puro sovrastare!
Come canta Orfeo! – e il grande albero è in ascolto!
E tutto fu silenzio. Ma proprio in quel tacere
avvenne un nuovo inizio, cenno, mutamento.
Sonetti ad Orfeo, Rainer Maria Rilke
Sono immagini dinamiche dell’essere sempre eretto o verticale come l’uomo. Forse per questo sono frequenti le fantasie di essere un albero, di corpi invecchiati e ringiovaniti dalla linfa, dalla vita forte e muta che regna sotto la corteccia di una quercia. Così sentiamo dentro di noi che l’albero, essere statico per eccellenza, coglie dalla nostra immaginazione una vita dinamica meravigliosa: sogniamo tutta la linfa che sale su e brucia, sentiamo l’albero che è portatore di fuoco e che conquista la leggerezza delle foglie.
Sono immagini poetiche che ci fanno scoprire queste verità: vivere come un albero! Che crescita! Che profondità! Che rettitudine! Che verità! Sentiamo immediatamente agire le radici dentro di noi, ci rendiamo conto che il passato non è morto, che abbiamo qualcosa da fare, oggi, affondiamo nella nostra vita oscura, sotterranea e solitaria. La vecchia radice produrrà un nuovo fiore. Ci solleviamo verso la nostra vita aerea.
Henri Bosco su Giovanni Bosco: “Quest’umile prete è una specie di radice. Affonda lì dove si trova, penetra lontano nella vita (…) Si tiene aggrappato al suolo, il vecchio suolo delle anime. Vi nutre un albero con la pazienza delle radici forti della quercia. Tutto ciò che strappa alla terra lo trasforma in linfa, concreta e spirituale, da cui sboccerà la vita di una famiglia di rami giganteschi e molteplici, che agita e fa stormire il vento caldo della carità …” San Giovanni Bosco, Henri Bosco. Leggendo questo testo, ci chiediamo se sarebbero così riuscite queste immagini di Giovanni Bosco se Henri Bosco non avesse avuto un grande amore per la natura e per gli alberi.
Giovanni Bosco è stato l’albero che anche quando, a fronte di avversioni e insuccessi, non ha prodotto frutti, è stato ed è portatore della speranza. Pensiamo al racconto di Gesù sul fico infruttuoso. Il padrone della vigna dice al contadino: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Taglialo, dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Il contadino però non si arrende: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finchè avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”. Le parole di Gesù ci toccano in profondità, si risveglia la speranza, sentiamo sprigionarsi nuova energia per affrontare ciò che poco prima poteva apparire semplicemente impossibile.
E ci sentiamo di pensare, per un momento, alla “speranza quieta” a cui pensa Paul Éluard:
Qui ogni cosa odora d’erba.
Su tutto il cielo, in cielo, il volo delle rondini
ci distrae, ci fa pensare…
Io penso una speranza quieta.
In pena, Paul Éluard
La parabola di Gesù non ha intenti moralistici, mira piuttosto a liberarci dalle suggestioni ed immagini negative, che possono scoraggiare e infiacchire in noi il gusto della vita e del bene. Ci invita a porci ai confini dei due mondi della terra e dell’aria: le radici che affondano nelle profondità della terra, l’estremità superiore che tocca il cielo.
Grandi sognatori hanno immaginato che in ogni essere verticale regni una fiamma. Victor Hugo ci ha offerto questa sentenza poetica: “Ogni pianta è una lampada. Il profumo è luce” L’uomo che ride. La pianta che ha il suo culmine nel fiore, realizza questa prodigiosa sintesi di aria e di luce.
Ma ora sogniamo ponendoci in alto. Lasciamoci prendere dal fascino delle postazioni aeree: torniamo a sognare dalle cime degli alberi, appollaiati, sospesi sulla terra, godendo del sentirsi cullare dal vento, talvolta mollemente, talvolta con scosse violente; oppure, da minori altezze, nella biforcazione di un albero, poniamoci a riposare piccoli piccoli, supini, attenti al sole che si diverte in mezzo alle foglie e al vento che le agita. Siamo avvolti in una specie di nido dalle alte cime, fatto di rami e di fraschette. Guardiamo in alto verso il cielo, incuranti dello spazio aperto sotto di noi.
Lasciamoci cullare sulle cime di un pioppo, al di sopra dei nidi degli uccelli, in balia del vento, sospesi tra cielo e terra.
In queste postazioni aeree certo non godremo del tepore del nido terrestre. Il nido sulle cime è una specie di castello, di castello aereo del sogno, è un sogno di potenza. Sospesi là, tra il cielo e la terra, nella cullata delle cime, lasciati in balia del vento, da lassù, invece di guardare verso terra, ci immergiamo nel cielo azzurro, sogniamo immersi in una sostanza aerea.
Queste immagini naturali primarie invitano ad un sogno antico, quello dell’albero immenso, l’albero del mondo, l’albero che si nutre di tutta la terra, l’albero che parla a tutti i venti. Immaginiamo questo albero mitico come un nido enorme cullato dai venti, dove non c’è una vita calda e tranquilla, ma piuttosto l’altezza, la solitudine, l’eroicità.
Ci sono altre immagini poetiche dell’albero, meno profonde, meno aeree: alla quercia attribuiamo una forza virile e paterna, troviamo rifugio dalle avversità buttandoci tra le braccia del padre. “Padre sei una quercia e le mie braccia non riescono a circondarti, voglio mettermi al riparo sotto le tue foglie, sollevami con le tue braccia perché mi possa arrampicare fino alla cima, buttami in aria e riacchiappami”.
E ancora ci sono immagini dinamiche dell’albero luogo del male e del bene, della terra e del cielo, per cui quanto più l’albero vuole elevarsi in alto verso il cielo, tanto più le sue radici lo spingono verso terra. Non c’è un bene che si espande, che sboccia da sé, ma un bene che nasce dal male.
Le stesse immagini della radice si animano nelle due direzioni, secondo che si sogni una radice che porta al cielo i succhi della terra o una radice che agisce per i morti.
Negli esercizi di immaginazione assumiamo che l’immaginazione attiva stessa sia un albero. È radice e ramo. Vive tra terra e cielo. Vive nella terra e nel vento. Viviamo come un albero! Che crescita! Che profondità! Sentiamo subito agire le radici dentro di noi, ci rendiamo conto che il passato non è morto, sentiamo che abbiamo la nostra vita sotterranea, oscura e solitaria. Ora saliamo e arriviamo sulle cime dei rami, sospesi sulla terra, in postazioni da cui è facile sognare, con leggerezza, cullati dal vento.
Un albero …
Com’è leggero
un albero, tutto ali
di foglie – tutto voli
verdi di luci azzurre nel celeste
dell’aria …
E com’è forte,
un albero, com’è saldo
e fermo, “abbarbicato
al suo macigno” …
Su un vecchio appunto, Giorgio Caproni
Una cosa ci sentiamo di affermare scorrendo le immagini poetiche dell’albero: pur essendo isolato, arrotondato su se stesso, mai l’albero nel sogno si pone come un essere finito. Investito del nostro spazio interno, l’albero entra insieme a noi in una emulazione della grandezza ed ingrandisce lo spazio che lo circonda.
Lo spazio fuori di noi, vince e traduce le cose:
se tu vuoi indovinare l’esistenza d’un albero
investilo di spazio interno, quello spazio
che ha in te il suo essere. Circondalo di costrizioni.
Esso non ha limite e non diviene veramente un albero
se non si ordina nel seno della tua rinuncia.
Poema, Rainer Maria Rilke
Quel circondarlo di costrizioni, investirlo di limiti nello spazio esterno, ci ricorda la siepe dell’Infinito di Leopardi, che da tanta parte dell’ultimo orizzonte lo sguardo esclude. L’albero ha bisogno, per superare questi limiti, delle nostre immagini nutrite di uno spazio intimo e sovrabbondante. Allora soltanto, l’albero e il suo sognatore si espandono. E’ l’operazione che facciamo isolando le immagini, i versi, le parole poetiche. L’immagine si ingrandisce e fluisce in noi, e trova un avvenire.
Apriamo lo spazio intorno all’albero, proviamo ad immaginare un noce, un albero della pianura isolato e lo spazio che lo circonda. Per essere sicuro, sviluppa la sua rotondità, si dà lentamente la forma che elimina le minacce del vento. L’albero si arrotonda, è al centro di tutto ciò che lo circonda, può assaporare l’intera volta celeste. Il mondo è rotondo intorno all’essere rotondo.
Facciamo espandere, ingrandire e stabilizzare questa immagine. L’albero è vivente, pensante, potente e sacro, teso verso Dio. Tende le braccia al cielo. Seguiamo una forza sognante, una forza che sogna da tempi remoti e che torna ad animarsi stasera o domani quando saremo davanti ad una quercia gigantesca. E’ il sogno antico dell’albero immenso: l’albero del mondo, l’albero che si nutre di tutta la terra, l’albero che parla a tutti i venti.
Invertiamo, ribaltiamo, immaginiamo ora il grande albero, l’Albero del mondo, l’Albero cosmico, con le radici nell’alto dei cieli, nel Principio, radice o fonte. Ma questa immagine dell’Albero è portatrice di immagini diverse, tra le quali possiamo rivelare l’immagine a noi più prossima. Ci sono immagini prossime alla Radice, altre che se ne allontanano sempre più, come le foglie e i frutti. L’Albero è anche immagine di un continuo biforcarsi della via, di un perenne decidersi.
Gli Angeli sanno elevarsi fino alle radici e alla semenza originaria, per poi ridiscendere come linfa, lungo tutti i rami e i canali dell’Albero. Questa ridiscesa non esprime altro che l’incessante ri-creazione del mondo da parte del Principio misericordioso, che fluisce appunto attraverso gli Angeli. Del grande Albero, gli Angeli sono la chioma sempre verde.
Per comprendere il valore che è alla base del sognare l’albero, bisognerebbe che avessimo la consapevolezza dell’importanza che può avere per un uomo un albero che gli è stato dedicato, un albero che un padre pianta alla nascita del figlio, nel desiderio di dare continuità. E non meno, pensiamo al bambino che sceglie il suo albero, ama il suo albero.
Aiutati dai poeti, consentiamo alla nostra immaginazione di prendere coscienza di realtà psichiche seguendo le immagini dell’albero. Hanno forme così diverse gli alberi! I rami si moltiplicano e divergono, eppure c’è un’unità d’essere, comune a tutti gli alberi, fondata sul tronco isolato. Questa unità di isolamento e questa staticità per eccellenza attingono, dalla nostra immaginazione, una vita dinamica meravigliosa, tutta presa dal dinamismo verticale, che spinge verso l’alto alla conquista della leggerezza, cercando cose volanti, foglie aeree. Ritroviamo una condizione e una capacità profondamente umana, che viene naturale: il sognare (con e come l’albero) in una situazione di solitudine, nella tranquilla solitudine. Ogni essere umano, uomo o donna, trova il suo riposo in questa situazione.
Insieme alle tante immagini verticali dell’albero, immaginiamo ora il grande albero orizzontale le cui radici sono l’unica sorgente da cui si espandono tutti i fiumi. Tutto si raccoglie nella radice o fonte.
Invertiamo l’immagine dell’albero che il sole primaverile rinnova e che il vento dell’autunno spoglia, e immaginiamo che sia l’albero a dar vita alle stagioni, che comanda a tutta la natura di germogliare, offrendo la sua linfa e costringendo il sole a levarsi più presto o più tardi. Nello stesso tempo, cogliamo, nel movimento confuso e felice delle foglie con i cambi di stagione, la segreta e semplice corrispondenza con il nostro umore, con le nostre emozioni.
L’albero può ispirarci immagini di leggerezza. In quanto generatore di immagini primarie, lo possiamo ritrovare, con un pò di fantasia, anche nel fumo che sale o nelle nuvole: ecco il tronco, i primi rami, poi, in alto nel cielo si forma la chioma … L’albero di notte e di profumi, l’albero di fumo, vaporoso e di nuvola cresce, vive e muore, con leggerezza nel cielo. Lasciamoci andare a questa notte alberata: “Respiravo con delizia l’aria vellutata e voluttuosa della notte. Continuavamo lentamente, sotto la volta dei platani. L’odore degli alberi umidi, dalle foglie larghe in cui s’insinuava la luna, evocava in me ruscelli nascosti e freschezze delle acque in mezzo alla campagna. Sono belli, quegli alberi.” Tonino, Henri Bosco