Abitare da poeta
Abitare da poeta
Nella nostra ricerca di immagini da proporre per gli esercizi immaginifici e per il riposo attivo, siamo illuminati dal verso di Hölderlin “l’uomo abita da poeta”, per affermare che è la poesia, in primo luogo, a fare dell’abitazione un’abitazione, è la poesia a “far abitare”. La poesie e l’abitare si fondano su immagini primarie, comandate da un valore universale: l’intimità protetta, il vero riposo. Sarà allora chiaro che non andremo a cercare l’interiorità e l’intimità nella casa da possedere, è nella piccola casa che vogliamo abitare, è lì dove vogliamo restare, dove possiamo sentire e ritrovare il nostro respiro.
Dove vogliamo restare?
la roccia è buona per pascolo
e l’asciutto per bevanda,
ma l’umido per cibo.
Se uno vuole abitare,
che sia su scale
e dove una casuccia pende,
sull’acqua fa tua dimora.
E ciò che tu hai
è tirare il respiro.
Infatti se uno lo ha
levato alto nel giorno,
lo ritrova nel sonno.
Poiché dove gli occhi coperti
e legati sono i piedi,
là tu lo troverai.
L’aquila, Friedrich Holderlin
Sono immagini di un abitare senza fondamenta, precario, sull’acqua, eppure di grande riposo.
E’ dalla casa giaciglio che si può avere il raccoglimento protetto.
Nel mio giaciglio di te mi ricordo,
penso a te nelle veglie notturne,
tu sei stato il mio aiuto;
esulto di gioia all’ombra delle tue ali.
A te si stringe
l’anima mia.
La forza della tua destra
mi sostiene.
Salmo 62, 2-9 L’anima assetata del Signore
La comunione con Dio è nell’intimità più protetta, nell’intimità del giaciglio protetto, all’ombra delle sue ali, si dà l’intero essere dell’uomo, “l’anima si stringe” a Lui. E’ uno stringersi dell’anima e del corpo: ormai Dio e uomo sono in piena comunione e sulle labbra della creatura non può che sbocciare la lode gioiosa e grata. Anche quando si è nella notte oscura, ci si sente protetti dalle ali di Dio, e allora fiorisce l’espressione estatica della gioia: “Esulto di gioia all’ombra delle tue ali”. La paura si dissolve, l’abbraccio non stringe il vuoto ma Dio stesso, la nostra mano s’intreccia con la forza della sua destra.
Al di là delle altezze della comunione mistica, che può coglierci anche nel giaciglio, i poteri immaginifici della casa derivano dal porre al riparo, dal fatto che la casa ci protegge da molte cose, dal freddo, dal vento, dalla pioggia, ma ciò su cui cade l’accento dell’immaginazione, non è sulle funzioni dell’abitare, ma sul fatto che, proteggendoci in molti modi, la casa protegge anzitutto la nostra intimità, diventando essa stessa un’immagine di intimità e un centro intorno a cui gravitano immagini di intimità protetta. Così, nelle nostre fantasie diurne, la casa è una grande culla: prima di essere gettato nel mondo, prima di essere messo fuori alla porta, la vita è stabile e racchiusa, protetta, tutta tiepida, nel grembo della casa.
Le immagini dell’intimità protetta abitano luoghi privilegiati dell’immaginario, naturali o costruiti dall’uomo. Sono i luoghi che valorizzano lo spazio interiore, i nostri spazi intimi: che c’è di più riposante ed intimo delle immagini della casa! La casa è un tesoro di figure del riposo intimo: la cantina, la soffitta, la casa precaria, la capanna, per procedere poi nel cuore della casa, e quindi, a seguire, negli armadi, nei cassetti, negli scrigni etc.
Sono piccole e semplici immagini dell’intimità protetta, del luogo concentrato, raccolto, dove rinascere e ritrovarsi, dove trovare il riposo e il ristoro che rendono l’uomo semplice; e sappiamo che quanto più semplice e piccola è la casa, tanto più grandi e senza tempo sono i sogni:
Un sogno sognavo frattanto:
di nuovo bambino divento,
e leggo alla mite lucerna,
nell’umile stanza materna,
racconti di favola eterna;
e fuori era tenebra e vento.
Romanze. Ad una cantante, Heinrich Heine
Cantiamo questa dolce cantilena, mentre fuori è tenebra e vento.
Nell’umile stanza materna, leggendo racconti di favola eterna, alla luce della mite lucerna, nella grande solitudine, ritroviamo le radici della semplicità, un modello della vita semplice e serena.
Il fluire della fantasia serena e il sentimento di intimità protetta è senza tempo, quando suona l’ora della serenità, allora la stessa pace regna nel bambino sognatore e nell’umiltà del luogo.
Ritorniamo al nostro spazio amico ed intimo, alla nostra stanzetta: basta evocarla, rimane segreta e nuda, ha valore soltanto nella nostra intimità protetta.
Torniamo alla casa semplice: ogni immagine di riposo, di tranquillità si associa immediatamente all’immagine della casa semplice, e la capanna è la pianta umana più semplice, qui nasce l’intimità domestica. La casa semplice, quando diviene capanna, è un archetipo portatore di immagini e valori di intimità protetta ancora più profondi.
Bisogna riconoscere il particolare vigore della casa povera e precaria!
Accogliendo il nostro invito ad andare ad abitare le case offerte dai poeti, ci capiterà senz’altro di essere accolti sotto il segno della casa povera ed essenziale, e scopriremo che quanto più semplice è la casa evocata tanto più essa affascina la nostra immaginazione di abitare. Sentiremo ridestarsi in noi il senso della capanna, quel senso di essenzialità e semplicità che dà grande sicurezza e capacità di sognare: “L’uomo ha bisogno di poche zolle solamente per godervi sopra la sua felicità, ed ancor meno per riposarvi sotto” I dolori del giovane Werther, Goethe.
I valori dell’intimità protetta e della solitudine si uniscono a quello della semplicità: l’abitare preferisce immagini della casa molto semplici, immagini prime di case primitive: la primitività del rifugio, la capanna, il nido, il guscio, le immagini primarie dell’essere che ama ritirarsi nel proprio angolo. Sono le immagini dello spazio felice, e ci fanno star bene.
La casa dell’intimità protetta è un archetipo che assume un valore ancora più profondo se consideriamo che il nomadismo moderno non trova casa rifugio, così come gli interni moderni sono luoghi di un deambulare che non conosce posa, che non lascia andare ad un vero riposo.
M’ero perso. Annaspavo
cercavo uno sfogo.
Chiesi a uno:”Non sono”
Mi rispose:”del luogo”
Bisogno di guida, Giorgio Caproni
Per cogliere la desertificazione e il vuoto degli interni-casa dell’errare moderno di interni, sfogliamo Architetture della visione di Michelangelo Antonioni, a cura di Michele Mancini e di Giuseppe Perrella. Troviamo immagini di case sempre vuote, refrattarie, i cui segni del passato sono estranei e non riconoscibili. Nel cinema di Antonioni, grande interprete dei tempi di spaesamento che viviamo, le case non sono mai propriamente abitate, le case sono case del disagio, sempre provvisorie o di passaggio, case di nessuno, case senza un’anima, perché non c’è interiorità, custodia possibile dell’intimità dell’uomo che abita la casa: non c’è la casa della donna. Sono case piuttosto respingenti, la cui soglia d’entrata si pone come un limite invalicabile: se si tenta di superarlo, la casa rifiuta l’accesso, o cerca di renderlo il più possibile difficoltoso, con allarmi, catenacci, porte blindate, congegni rudimentali o sofisticati … e seppure si è riusciti ad entrare, la casa oppone le soglie interne e respinge con i suoi disagi … il camino, trasparente, privo di cavità, calore possibile, non vuole sapere di accendersi … l’acqua filtra dal soffitto … e poi, fosse pure di lusso, la casa non si lascia facilmente finire: ci sono sempre lavori in corso … operai, artigiani, geometri, a negarne la compiutezza … E allora in questo immaginario proliferano le case provvisorie, precarie, improprie, in quanto si inseriscono in ambienti ad altro destinati … interni di passaggio, case-hotel, bar … ambienti di circolazione di corpi e di segni …
Tutti i luoghi che ho visto,
che ho visitato,
ora so – ne sono certo:
non ci sono mai stato.
Esperienza. Giorgio Caproni
La desertificazione moderna non è risolvibile con questioni di classe sociale, l’uomo delle borgate romane è gettato fuori per la strada, non conosce luoghi dell’intimità protetta, vive in case sempre provvisorie, estranee:
Sembrava che fino a dentro l’intimo
e miserabile sua abitazione, l’uomo fosse
solo accampato, come un’altra razza,
e attaccato a questo suo rione
dentro il vespro unto e polveroso,
non fosse Stato il suo, ma confusa sosta.
Correvo nel crepuscolo fangoso, Pier Paolo Pasolini
Eppure esistono sogni più profondi, sogni che vogliono radicarsi. Di fronte al nomadismo moderno, all’essere sempre in esilio sulla terra, Jung consiglierebbe alle persone di fissarsi. Al di là delle soddisfazioni di un grossolano istinto proprietario, consiglierebbe di acquistare un pezzetto di terreno o meglio ancora una casetta circondata da un giardino, in modo da offrire delle immagini alla volontà di radicarsi, di restare.
Immaginiamo la casa che Jung si costruisce a Bollingen. Scopriremo un tesoro di valori per il corpo e per l’anima. Inizialmente, doveva essere una dimora primitiva, a un solo piano, una semplice capanna. “Doveva essere una costruzione rotonda, con un focolare al centro e cuccette lungo le pareti. Più o meno avevo in mente una capanna africana, dove il fuoco, circondato da piccoli sassi, arde nel mezzo, e tutta la vita della famiglia si svolge attorno a questo centro. (…) Doveva dare la sensazione di essere al riparo, non solo in senso fisico, ma anche in quello spirituale. (…) Fin dal principio in questa torre provai un intenso senso di riposo e di ristoro. Rappresentava per me il focolare materno. (…) Fin dal principio sentii la Torre come un luogo, in un certo senso di maturazione, un grembo materno o una figura materna nella quale potessi diventare ciò che fui, sono e sarò. Mi dava la sensazione di essere rinato dalla pietra” Ricordi, Sogni, Riflessioni.
Presto, Jung modifica il progetto perché gli sembra troppo primitivo, così costruisce il primo edificio circolare, che sarà una vera e propria torre.
Quattro anni dopo, fa aggiungere la costruzione centrale, con una dipendenza che è una torre, dove Jung potesse vivere solo per se stesso: “Nella mia stanza di ritiro sono solo con me stesso. (…) E’ il cantuccio della riflessione e delle immaginazioni – spesso immaginazioni non gradevoli e pensieri difficilissimi – un luogo di concentrazione spirituale”. A questo punto, Jung si ripete sul valore simbolico della torre: “Fin dall’inizio la torre fu per me il luogo della maturazione, un grembo materno nel quale potevo di nuovo essere quello che sono, che ero e che diventerò. La torre mi faceva sentire come se rinascessi nella pietra. La vedevo come il compimento di un presagio e come figura dell’individuazione. (…) A Bolligen mi trovo nella mia più vera natura, in ciò che esprime profondamente me stesso” Ricordi, Sogni, Riflessioni.