LINEE GUIDA

Leggere, leggere in solitudine appassionatamente e spassionatamente

Per le immagini letterarie di quale lettura parliamo, allora?

“Le immagini poetiche suscitano la nostra rêverie, si fondono nella nostra rêverie (…) Leggevamo e ora fantastichiamo e sogniamo”. La poetica della rêverie, Gaston Bachelard.

Bachelard passando dal “leggevamo” all’ “ora” del fantasticare ci invita a vivere il tempo presente della lettura e a fare nostre quelle parole e quelle immagini, per dare nuova vita al nostro sognare ad occhi aperti.

Leggendo e rileggendo le immagini poetiche, sperimenterete che l’uomo immagina perché il poeta gli ha comunicato e risvegliato la capacità di immaginare. Se vi darete all’abbandono e al pieno possesso delle immagini, vivrete la reciprocità ed uguaglianza tra il poeta e il lettore. Quando il lettore ama le immagini poetiche, le mette dentro di sé, le fa diventare sue, come bene assoluto, le ama con lo stesso amore con cui ama se stesso, e non c’è vero amore senza reciprocità. L’anima del lettore anela infatti all’uguaglianza, all’unione o a trasformarsi, con l’immaginazione, nelle immagini poetiche.

Applichiamo allora alla lettura questo senso di appartenenza che unisce il lettore all’opera letteraria: la lettura che continua la scrittura, in modo da rivivere, abitare le immagini che la lettura ci offre e fare nostra l’esperienza vissuta da un altro, fino a coincidere con l’altro, nella stessa attività produttiva di immagini.

Ciò vuol dire leggere le immagini poetiche appassionatamente, offrendo spassionatamente la nostra immaginazione, l’immaginazione sincera, che si lascia andare, come riflesso ed eco, felicemente, all’impulso psichico e all’ispirazione dei poeti. Allora, aiutandoci a soddisfare quel bisogno di poesia che è insito nel cuore dell’uomo, risveglieremo la nostra coscienza di poeta.

Occorre fantasticare leggendo in pace. Le parole e le immagini poetiche vanno dette con tutta l’anima, vanno accolte in noi con lo spirito di ringraziamento per i doni del poeta, vanno assimilate così da fondersi e continuare nella nostra immaginazione.

Nella lettura muta o sonora, scoprite e vivete le parole e le immagini dal profondo dell’anima, tanto che l’esprimersi capovolga il suo senso comune di ex-premere e si trasformi in un rammemorarsi dal più intimo di sé. Nel leggere, dimentichiamoci del contenuto dello scritto, liberiamoci del peso del significato sclerotizzato, abbandoniamoci ai significanti, al suono, alla vocalità, al ritmo, viviamo i momenti della lettura e le parole come le vivevamo quando dicevamo di amare o di aver fatto quella cosa “con tutta l’anima”!

Non preoccupiamoci di sapere ciò che quei versi significano, non seguiamo i significati di ciò che leggiamo, sono queste le preoccupazioni di chi deve volgere in prosa, e sbaglia tutto, se così pensa di comprendere e vivere la poesia.

Leggiamo preferibilmente in solitudine.

Sembra difficile leggere un poeta insieme ad altri, leggerlo rivivendo le immagini, visive, sonore, olfattive, gustative, tattili. Se debbo dimenticarmi e abbandonarmi a queste immagini, gli altri che cosa c’entrano? La loro presenza potrebbe essermi di disturbo. Ma c’è da dire che chi legge una poesia è sottratto alla socialità della vita usuale e introdotto in una solitudine, anche in presenza di altri: leggendo e partecipando alla solitudine, insieme a colui che ha scritto, egli (ri)trova la sua solitudine, che ad altri poi comunicherà. Il destino dell’immaginazione è un destino di solitudine. Anche perché la parola poetica si situa appunto oltre la soggettività dello scrittore e del lettore. Il fatto stesso che un verso, una parola, un’immagine riesca così facilmente ad affondare le radici in noi ci fa pensare che non appartenga né allo scrittore né al lettore, essendo spesso tanto diverse le esperienze vissute dai due. Quello che conta è la relazione che trascende i soggetti, perché è la relazione ad essere fondamentale nell’atto creativo e in quello ricettivo. Nella lettura non siamo noi che parliamo, siamo piuttosto parlati da parole nuove, suoni, significanti. E’ in atto una relazione, ma non con una persona: abbiamo bisogno di condividere con un’altra anima la felicità di parlare e di ascoltare, e di ascoltare quel rinnovamento dello spirito e del linguaggio che è costituito da una parola nuova.

Leggere, leggere, in solitudine … Tutta la nostra vita è lettura. Leggevamo ed ora fantastichiamo e continuiamo a sognare con le immagini ricevute. Fantasticando, le immagini poetiche si fondono nel nostro fantasticare.

Questo approccio alle immagini poetiche e alla lettura non si può certo assumere alla prima lettura, perchè questa è una lettura che conserva ancora troppa passività, in quanto il lettore è ancora inesperto e si lascia prendere dalla continuità del verso e dalle cattive abitudini. Invece, dopo una prima lettura dell’opera, o di un verso, deve seguire una seconda lettura, e dopo la seconda una terza …, perché solo in questo modo, dalla ripetizione possiamo liberarci dai significati e cogliere l’umanità e la verità di cui quel verso è fatto. Solo leggendo, rileggendo e rileggendo ancora… possiamo sognare.

Così ci renderemo conto che le immagini, quelle immagini, richiedono che siamo presenti con il cuore e con l’anima. Per concederci finalmente il diritto di sognare leggendo, occorre attingere da una riserva di innocenza e di capacità di stupore – ancora presenti.

Ci lasceremo così catturare da parole e immagini che suscitano il nostro sognare, penetrano in noi, sfuggono all’io autore, ci attraggono, ci fissano, si fondono nella nostra immaginazione. Ci nutriamo di loro. Abbiamo l’impressione che quelle immagini ci riguardano, ci appartengono, e che avremmo potuto – o dovuto – crearle noi.

Il training di immaginazione che proponiamo infatti non è né sentimentalismo né allenamento fisiologico, ma concretezza di vita; piuttosto che l’animo vigilante, pronto alla critica, pronto alla risposta, serve che legga – o ascolti – l’anima e che l’anima riceva e faccia proprie le immagini come doni, e con stupore.

Si tratta di creare le condizioni perché le voci di dentro emergano senza fatica vocale e possano portare sogni vocali inespressi. Allora sentiremo, nella vocalità dei versi, una volontà di dolcezza, di distensione, di calma, che non ha bisogno di farsi ascoltare. L’immagine, rivissuta nel tempo presente, nell’immediato della lettura, trova nuova vita e si esprime in nuove immagini. E il rivivere di cui si parla non è il vivere una seconda volta, da parte del lettore, un’esperienza vissuta da un altro, ma il rapportarsi all’altro come autore di immaginazione che continua e si trasforma nel lettore, con la consapevolezza che tra lo scritto e l’orale della lettura c’è un abisso.

Se spesso consigliamo la lettura muta, silenziosa e solitaria, è perché nasce dalla volontà primaria dell’uomo di dire a se stesso, nel silenzio del suo essere, ciò che vuole divenire.

Immaginiamo la transizione dal silenzio alla parola, splendidamente rappresentata dall’incontro di Giasone e Medea nel terzo libro delle Argonautiche:

Erano muti, senza parole, l’uno vicino all’altra,
come le querce e i grandi pini che hanno radici sui monti,
e stanno senza vento, vicini e immobili,
ma poi sotto il soffio del vento si agitano
e sussurrano senza fine.

Apollonio Rodio

Immaginiamo, presi dal soffio della parola, di passare dalla lettura muta al sussurrare senza fine.

 

Oralità, ritorni all’origine

Perché si dia il fantasticare leggero e benefico, leggere significa “esser detto” e non ri-ferire, re-citare, re-censire, significa abbandonarsi all’ascolto e rimanere in balia dei significanti, significa mettersi in gioco ed essere giocato con la sonorità, il ritmo, le pause, senza preoccuparsi di ripetere o interpretare. Non dobbiamo credere o perseguire la coincidenza dello scritto e dell’orale. Carmelo Bene ha da sempre gridato: “C’è un abisso tra scritto ed orale”.

“La voce è ciò per cui le mie parole sono «vive», sembrano non lasciarmi mai, non cadere fuori di me in un allontanamento visibile. Per questo non cessano di appartenermi, di essere a mia disposizione”. La voce e il fenomeno, J. Derrida.

Ci sono livelli di significazione che sfuggono alla parola, ma non alla voce di chi la pronuncia. Ascoltiamo la voce di chi pronuncia la parola. Ascoltiamo la “nostra” voce pronunciare le parole poetiche, anche se non la riconosciamo.

Non abbiate paura della libertà dai significati che si apre, la parola poetica è una ricchezza così grande che attende sempre una nuova interpretazione attraverso la lettura e la voce. La poesia si dona a te lettore vivo, che leggi ora, come fra cento anni. Il dire poetico è verbo della creazione, della libertà, verbo del potenziale e del deserto della parola.

Con la qualità della lettura che proponiamo, lo scritto è morto, tutto è orale, tutto è nell’atto oratorio. La lettura è nell’atto stesso del leggere, nell’immediato, nel tempo presente e svanito del leggere. Viviamo e godiamo di questo evento prezioso e irripetibile! E soltanto di questo!

Come sollecita Carmelo Bene, leggiamo per dimenticare, pratichiamo la lettura come oblio, come non-ricordo, siamo attori, con la consapevolezza che “attore” non viene da “agire”, ma da “oralmente”, da “essere detto”. Dimentichiamoci di “chi” ha scritto e di “noi” che leggiamo.

La voce che legge, come direbbe Deleuze, non è un mezzo per esprimere emozioni, e tanto meno significati, in quanto è essa stessa emozione, affetto generato nell’atto del leggere; bisbigliando, mormorando, gridando, variando l’intensità e le tonalità della voce, è il bisbiglio stesso che diventa voce, è il grido che diventa voce, mentre le emozioni diventano i modi vocali. Così come un gesto di collera non è un segno della collera, ma la collera.

E attenzione, l’esteriorizzazione nella voce non è un uscir fuori di sé, ma un intimo trattenersi; se il significante fonico è es-pressivo e per questo esteriorizzante è perché è ascoltato da un altro o da chi lo proferisce nella assoluta sua presenza. Quelle parole poetiche sono diventate mie, dal momento stesso che gli ho dato voce, non c’è ascoltatore che può derubarle, perché restano mie, intimamente mie, rimangono vive in me, non mi lasciano, perché non cadono fuori di me, dal mio soffio, non rischiano di morire affidate al significante, al sonoro emesso nello spazio. Rimangono nell’interiorità espressiva della voce, nel corpo della voce, nella gestualità corporea che è la voce.

Non rimane che parlare le parole poetiche, che far risuonare la voce, il cui soffio è l’atto del vivere, e come parola che si ascolta è l’atto del con-vivere. Ma perché ciò accada, occorre “giocare”, con le parole, con i versi, con il linguaggio, come bambini, isolando parole e immagini, variando di sonorità e di velocità, osando dis-dire, mediante una dizione ora bisbigliata, ora balbettante o deformata, con suoni appena percettibili oppure assordanti, fino a far regredire la parola verso il pre-vocale. Così, con la leggerezza e la serietà del gioco infantile, la voce può tendere a cancellare e a dimenticare il testo scritto nel suo offrirsi come ricordo, per farlo essere il più possibile attualità, il momento presente della lettura e dell’ascolto, dal quale conquistare un avvenire.

 

Allora, più che liberare la “propria” voce ed affermare l’unicità del proprio timbro e della propria estensione vocale, della propria cavità di risonanza, si tratta di liberare e trovare altre voci, per una comunicazione dal di dentro, che superi i significati dello scritto, ed abbandoni ogni tentativo di parafrasi.

Poniamoci come cassa di risonanza, caverna risonante, potremmo così sentire un rumore e una voce spirituale superiori a ogni suono e voce, tali da coprire ogni altra voce e dominare con il proprio suono ogni altro suono del mondo. Questa voce è una voce spirituale che non ha bisogno di suoni materiali, e viene e si sente interiormente, in modo sublime e con infinita dolcezza.

Privilegiamo la phoné, la voce pienamente dicentesi e pienamente disvelante la verità. Affidiamoci a quella phonè che Carmelo Bene ci ha fatto scoprire, aprendoci ad una “comprensione universale”, in quanto va oltre il senso e le differenze di lingua, come accade appunto col canto e con la musica.

Non si legge una poesia pensando ad altro! La parola poetica mette a nudo il suo corpo, la sua carne, la sua sonorità, la sua intonazione, la sua intensità, e con la parola parlante e l’oralità va recuperato il corpo di questa parola che dice in prima persona.

Per liberare altre voci di dentro, per respirare cosmicamente e partecipare alla vita universale, mobilitate tutti gli organi vocali, quelli del corpo e quelli tecnici: siamo al di là di una respirazione meccanica comandata dall’igienista. Si tratta dell’essere veramente aerei, solo così si vive un universo sano. Le belle immagini aeree, soffiate, a malapena parlate, sempre cantate, ci danno vitalità e benessere.

La lettura che proponiamo e l’immaginazione poetica esigono quindi la volontà di abbandonarsi alla verità del momento presente della lettura, all’afflato e alla vita stessa che anima un’aria che parla, che suona, che canta. Si tratta allora di dar fiato e voce alla lettura come evento, come una forza, un impulso, una volontà di immaginazione e di parola. Questa volontà è la realtà primaria che fa risvegliare una gola e corde vocali riccamente innervate dall’immaginazione cantante.

Non prediligiamo la lettura ad alta voce in una stanza, in quanto la voce effettivamente risonante nella stanza delle nostre letture può turbare la nostra immersione nelle immagini. Proprio perché la parola risonante è una parola che si rivolge a qualcuno e non favorisce l’immaginazione. La parola enunciata a voce alta appartiene alla realtà dello spazio circostante, è un evento fisico esteriore, e questa esteriorità non ha veramente bisogno della parola poetica: la parola poetica va piuttosto intimamente rivissuta in silenzio, sospendendo, in certo senso, lo spazio e il tempo della realtà.

Al tempo stesso, noi sognatori del suono delle parole dobbiamo riconoscere che la parola risonante non è in contrasto col prestar attenzione al suono della parola, e poi, per liberarla dal portato di realtà e rappresentazione, dal peso dei significati, possiamo leggerla svuotandola di significato e ricercandone nuove vocalità. Se leggiamo ad alta voce, facciamo risuonare la parola dentro di noi, e la possiamo a nostra volta ascoltare in silenzio, anzi la facciamo risuonare proprio per poterla ascoltare in silenzio.

Quindi, gli esercizi respiratori immaginifici possono essere parlati, oppure possono essere animati da una lettura silenziosa e solitaria.

“Il mondo non perirà certo per mancanza di meraviglie, ma per mancanza di meraviglia”

Gilbert Keith Chesterton