AUTOBIOGRAFIA

Autobiografia

Giuseppe Perrella

Dall’inizio sono stato ingegnere industriale, per poi diventare ingegnere della felicità, come è capitato ad altri ingegneri: Sergej Michajlovič Ėjzenštejn, Carlo Emilio Gadda, Gaston Bachelard, Robert Desoille, Luciano De Crescenzo, Roberto Vacca …

Forse, come me, hanno conosciuto il fascino dell’organizzazione scientifica del lavoro, la forza delle idee chiare, il valore e la fecondità del pensiero razionale, la tenacia e la fede nel metodo e nello spirito critico, da mantenere sempre vigile, nelle indagini e negli interventi.

Nel mio caso, a partire dalla seconda metà dei miei anni, mi sono reso conto che, per perseguire l’obiettività, un razionalismo veramente efficace, non si può prescindere da se stessi e dalle dinamiche degli altri soggetti coinvolti. Si trattava allora di lavorare su se stessi e conoscere meglio l’uomo, la persona, considerando almeno la storia soggettiva delle nostre colpe e dei nostri errori, quando siamo presi dal desiderio di conoscenza e di dominio, a livello personale e sovra personale.

E’ con la consapevolezza della necessità del lavoro su se stessi che mi sono trovato ad essere affascinato dalla forza dell’immaginazione, aprendomi al semplice piacere della lettura simbolica, “senza un vero metodo”, rispondendo al richiamo delle idee e delle immagini da cui mi lascio guidare, e che spesso sono impresse in noi in maniera inconscia.  Occorre scoprire la propria immagine originaria ed autentica, seguire le nostre immagini interiori, i nostri sogni.

Mi sono reso conto che le immagini, quelle immagini, richiedono che siamo presenti con il cuore e con l’anima, per cui si è obbligati a dimenticare la prudenza legata alla ricerca del sapere obiettivo. Stimolato dal maestro Gaston Bachelard, finalmente mi sono concesso il diritto di sognare, attingendo da una riserva di innocenza e di capacità di stupore ancora presente.

E’ così ha preso forma uno scrivere e leggere le immagini che crescono giorno dopo giorno. E’ un processo irreversibile e incompiuto di rifacimenti e di riletture.

Ho l’impressione di aver finalmente imparato come avrei dovuto leggerle quelle immagini mentre stavo scrivendo: leggerle più lentamente di quanto si sia scritto.

Siamo convinti con il maestro Bachelard che la scuola e la scrittura non debbano interrompersi che alla fine della vita: “Durante il corso della vita, si scriveva un libro per conservare l’abitudine di scrivere, si credeva che al di fuori del libro il pensiero restasse libero, si credeva di avere un altro destino oltre a quello di scrivere. Ma arriva il momento in cui bisogna riconoscere che, scrivendo un libro, si seguiva il proprio destino e che a poco a poco non resta altro che il destino dei propri libri. (…) Scriver un libro fa diventare vecchio un uomo. Arriva il giorno in cui bisogna concludere, in cui bisogna finire.” La poetica del fuoco, Gaston Bachelard.

Trentenne classificavo i fotogrammi di film di poeti, in moviola: il piacere di soffermarsi su delle immagini e fissare e riprodurre fotogrammi, classificarli, collegarli gli uni agli altri, alla ricerca di immagini universali, appartenenti all’umanità e create dagli autori. Si lavorava al “non visto” dalla normale proiezione a 24 fotogrammi al secondo. Sono stati privilegiati i film di due grandi poeti, Pier Paolo Pasolini e Michelangelo Antonioni. Pensavamo che la forza e la verità di quelle immagini superassero ogni “proprietà e visibilità d’autore”, per darsi e mettersi in cammino per nuove produzioni e composizioni. E’ stato un lavorare ad un’archeologia del tempo presente del set e ad un’archeologia dei ritorni del tempo passato universale dell’umano. Così nacquero il Pier Paolo Pasolini Corpi e Luoghi, il Michelangelo Antonioni Architetture della visione, sono stati libri, archiviazioni di immagini, pratiche per nuove visioni e nuove produzioni.

Sono passato dal volume del set cinematografico, dal sotto-film “invisibile” alla superficie (apparente) della pagina. E’ così continuata la ricerca di immagini che si pongono al di là della rappresentazione. Da vent’anni raccolgo immagini letterarie dei poeti evocate dalla scrittura, con gioia e con fervore, e classifico senza difficoltà tutte quelle che risvegliano nel lettore la poesia che è nel cuore dell’uomo. E’ una lettura la cui produttività positiva nasce dall’unione del lettore e della poesia. Un’unione obbligata, come quando il personaggio obbliga l’attore ad interpretarlo: oggi mi leggerai ed io vivrò in te. Se devo scegliere tra l’autore e il personaggio scelgo il secondo. Da lettore vorrei incontrare il cacciatore della balena bianca, Achab, non il suo autore. Offrirei da bere al pescatore di Il vecchio e il mare, non a Hemingway.

A questo superamento dell’autore e dello stesso personaggio, con la poesia, segue una prospettiva di attrazione, si generano le immagini che danno voce, anima e nuova giovinezza al linguaggio. Sono i sogni e gli elementi più radicati nella natura umana e nella poesia universale.

Devo fare una confidenza. Un tempo ho letto male, ho letto per conoscere, ho letto per accumulare idee e immagini, e a volte per prendere posizione. Poi un giorno ho capito che le immagini letterarie hanno una vita propria, universale, cosmica, naturale. Da quel momento ho capito che sulle immagini dei poeti bisogna soffermarsi, occorre isolarle, e raccogliere in noi la facoltà di immaginazione, risvegliare in noi lo spirito poetico, il nostro destino poetico. Sono immagini semplici e universali, che vanno colte come partenze da cui proseguire per il nostro benessere spirituale e psichico. Non hanno supporto se non il corpo della voce. Passano tutte per l’oralità della scrittura, per la lettura, per le parole, per la voce, attraverso una lettura ora muta, sempre lenta, ora sonora e interrotta, da parole e immagini, che lasciano felicemente il loro significato, come un carico troppo pesante, che impedisce di fantasticare. Le parole lette assumono allora altri e nuovi significati, come se avessero riacquistato il diritto di risvegliarsi giovani.

Sono uno che ripassa.