Acque dormienti

 

Acque dormienti

Quale animo poetico non risponderebbe al richiamo delle sorgenti e delle fontane, non serberebbe i ricordi commoventi dello stagno e del fiume?

La poesia della materia, Gaston Bachelard

Le immagini poetiche dell’acqua ci riguardano nel profondo, sono elementi presenti della nostra psiche. Chi può rimanere indifferente dal richiamo delle sorgenti, delle fontane? Chi non ritrova in sé ricordi del lago, del fiume, del mare? Per l’acqua abbiamo le attrazioni più diverse e contrarie. L’acqua amata per i suoi riflessi e per la sua superficie tranquilla e riposante o per la forza dei suoi flutti. “Sì. Non si guarisce mai dall’aver sognato presso un’acqua stagnante” Victor-Emile Michelet. L’acqua profonda, ora rassicurante e in pace per la trasparenza dei fondali e delle presenze che vi vivono, ora pericolosa, immagine dell’abisso, del mistero, dell’insondabile. Così la poesia sviluppa il dinamismo delle immagini: le Naiadi, ninfe delle acque dolci e salutari, le Ondine, Nausicaa, Melusina, tutte fanciulle bellissime, giocose, fate, protettrici, preveggenti, ma anche seduttrici pericolose. L’acqua infatti porta con sè tanto le immagini della vita quanto quelle della morte. Mentre, nei nostri momenti felici, rappresenta la linfa della vita, l’acqua dell’eterna giovinezza, l’acqua dormiente notturna può rivelarsi l’elemento naturale triste, può rappresentare l’universo della morte, nella sintesi di notte e morte. Così, l’acqua notturna, esposta ai raggi lunari, da acqua lattiginosa, da latte caldo e vitalizzante, può diventare un’acqua avvelenata.

Ed è proprio dalle attrazioni o dai turbamenti per le diverse immagini delle acque che conosciamo meglio il nostro temperamento, il nostro archetipo, il nostro essere acquatico, per le acque calme e trasparenti, o per le acque vive, nutrienti, violente.

Le immagini delle acque che qui proponiamo sarebbe bastato dirle calme, tranquille o più semplicemente e realisticamente acque immobili, mentre preferiamo chiamarle acque sognanti, o meglio acque dormienti: basta dire “l’acqua che dorme” per provare una dolcezza ipnotica. L’acqua che dorme evoca ogni tranquillità. O meglio davanti alle acque dormienti ritroviamo una malinconia speciale, una malinconia senza sognante, calma, lenta, senza sentirci pressati, oppressi.

Bachelard ci interroga sull’acqua dormiente: ”Come dorme l’acqua? Perché questa immagine? Perché, non appena la analizziamo, ci appare così vasta, così vera, così umana? Non sarebbe bastato forse parlare di un’acqua calma, di un’acqua tranquilla? Uno spirito razionale e positivo non preferirebbe forse la semplice menzione di acqua immobile? No. La vera immagine poetica non descrive evoca. Richiama ricordi, provoca sogni, si apre su un mondo infinito.” La poesia della materia. Noi continuiamo negli interrogativi sull’acqua dormiente. Come faccio a sapere s’essa dorme la notte? La notte potrebbe avere una vita interiore, intimamente agitata, dei pensieri segreti, dei rimorsi nascosti. E di giorno, perché mi fa tanto sognare? perché diventa per me un universo felicemente fuso ai miei ricordi e ai miei sogni? Basta che mi sieda ai bordi di uno stagno, ed eccomi diventare un grande sognatore ad occhi aperti, per il fatto stesso che quest’acqua dorme nella sua profondità, in una profondità misteriosa ed insondabile. “Sì, non si guarisce mai dall’aver sognato presso un’acqua stagnante?” Victor Emile Michelet.

Sento che è lo specchio del mio essere profondo. Nella sua penombra, portando in superficie l’immagine delle nuvole e rimandando alla sua profondità, quest’acqua dormiente mi attira verso una memoria senza tempo.

Lasciamo questi perché e lasciamoci incantare da un’acqua dormiente: ecco aprirsi un mondo riposante per il nostro sognatore. L’acqua, sempre l’acqua, ci tranquillizza. In ogni immaginario, le fantasie riposanti trovano nell’acqua la sostanza del riposo – al femminile.

Chiare, fresche et dolci acque,
ove le belle membra
pose colei che sola a me par donna;

Rerum Vulgarium Fragmenta, CXXVI, Francesco Petrarca

C’è in noi l’immagine del mondo così semplificato delle acque tranquille del grande riposo. Immaginando davanti alle acque addormentate, riceviamo l’insegnamento di una tranquillità naturale, viviamo l’esperienza di uno psichismo sereno, lo psichismo del nostro riposo, la pace dell’anima. L’acqua dormiente comunica riposo, rasserena la vita e placa le pene.

Stando davanti all’acqua di uno stagno, mi sembra sentire tutto un coro di sognatori che vengono a sognare con me. Mi sembra che io non sia me stesso, solo con me stesso, e che siano in tanti a sognare con me, e da un tempo inenarrabile. Mi sembra di essere visitato da fantasmi portatori di sogni e di presagi. Non ascolto altro che il movimento dei sogni, medito sulla vita e sulla morte, sul destino dell’uomo e del mondo.

Acque serene ch’io corsi sognando
ne la dolcezza delle notti estive,
acque che vi allargate tra le rive
come un occhio stupito, a quando a quando,
o nostalgiche acque di sorgive
mormoranti nel verde un sogno blando,
(…)
e su voi la sognate anima mia
muove per il suo spiritual viaggio.

Acque lombarde, Sergio Corazzini

Le acque delle notti estive del poeta sono acque serene, dolci e sognanti come le notti estive. Queste acque sono occhio stupito, mormorio, sono invito all’anima per il viaggio spirituale. Sì, l’acqua è l’elemento naturale del dolce sognare poetico.

Nelle immagini poetiche traboccano le acque primarie sognanti, che dormono al fondo di ogni memoria, di ogni vita, e che fanno fantasticare nel più grande risposo dell’anima. Il fantasticare stesso ci offre le sue calde acque tranquille, come immagini primarie del riposo attivo, accarezzato.

I grandi sognatori dormono sempre con una certa moderazione, rimangono sospesi tra sogni ed oblio, impedendo così che le acque si dissolvano nella profondità della notte, quando le affidano il proprio riposo.  Si tengono lontani dalle acque profonde e nere, rimangono sospesi sopra le acque limpide, e le animano con un soffio di vento perché non impudridiscano. E quando a poco a poco si separano dalle acque meno fluide della veglia, e smarriscono le immagini e il pensiero, e quando non sono più se stessi, divengono il loro proprio fantasticare.

Se poi fantastichiamo sull’acqua che dorme, siamo portati nel grande riposo delle acque tranquille, aderiamo al riposo del mondo. Così il lago, lo stagno, l’acqua che dorme – e la bellezza del mondo in essi riflessa – risvegliano, con grande naturalezza, la nostra immaginazione.

Per dissolvere i blocchi infelici, l’immaginazione ci offre le sue acque calme: l’acqua, sempre l’acqua, ci tranquillizza, in particolare l’acqua calda dormiente è la sostanza di riposo di cui sono fatte le immagini riposanti. Ci sono momenti in cui il sognatore ad occhi aperti si passa la mano sulla fronte, si sblocca, si risveglia e diventa lucido, avverte allora il fremito e le carezza del vento, alza lo sguardo e vede gli uccelli attraversare il cielo azzurro, viene restituito al mondo quotidiano, e se si ferma su pagine poetiche, rapito da quelle immagini, prenderà coscienza del suo essere poeta e …

Sono immagini universali, e, nell’universo, l’acqua che dorme è una massa di tranquillità, una massa di immobilità nella quale il mondo riposa e noi riposiamo col mondo.

Lasciamoci andare con l’immaginazione al grande riposo delle acque addormentate. Le immagini delle acque calme calde sono felicemente senza tempo, ci donano il vero riposo dell’anima, il riposo appunto semplificato delle acque addormentate. E in questo immaginare, riceviamo una sollecitudine a prendere coscienza della tranquillità della nostra stessa natura, della tranquillità sostanziale della nostra anima. Così comprendiamo che l’anima, principio delle nostre immaginazioni più profonde, è l’essere della nostra acqua addormentata. E prendiamo coscienza di una realtà della psiche semplice e di una psiche permanente che è il bene dell’anima.

Ma attenzione, nel mettere la propria vita in armonia con quella delle acque stagnanti, ricordiamo che niente è più vivo – quando si sa scoprire la vita – dei luoghi in cui l’aria e le acque sembrano dormienti. Sono i luoghi dove abbiamo una specie di oblio con noi stessi, sono i luoghi e i momenti del riposo attivo. Nelle acque calme, tranquille e trasparenti, superficie e fondo sono così vicini da confondersi, superficie e profondità si scambiano, l’acqua è profonda e lo specchio è chiaro. Queste acque hanno una vita interiore trasparente. Il sognatore è portato a sognare felicemente la sua profondità. L’acqua limpida profonda degli stagni, contemplata in un fantasticare, aiuta a far emergere felicemente l’anima profonda del sognatore. L’anima del sognatore vive una fusione intima nella profondità dell’acqua profonda: “essa, attraverso le sue profondità, è lo specchio del mio essere profondo, del mio essere nascosto, è la coscienza del mio inconscio”.

In quella profondità le acque riposano come noi riposiamo, ma è un riposo attivo; sotto questo riposo delle acque e dell’anima, mille vite invisibili continuano segretamente ad animare, così le acque addormentate accolgono l’anima profonda del sognatore, perché trovi il riposo e il benessere di una realtà psichica semplice.  Occorre che scendiamo nell’acqua, senza cadere, perchè questa si animi. L’alito spirituale che guizza sopra l’acqua oscura è però inquietante come tutto ciò che non siamo, o di cui non conosciamo la causa.

Bisogna seguire la via dell’acqua che va sempre in giù, se si vuole riportare alla luce il tesoro. La discesa nel profondo sembra precedere sempre l’ascesa. “Al sognatore che tende a una più luminosa altezza si oppone la necessità di sprofondare in un baratro oscuro: questa si dimostra essere condizione indispensabile per un’ulteriore salita. Nel baratro si cela un pericolo: l’uomo prudente lo evita ma, così facendo, si lascia anche sfuggire il bene che un rischio, assunto con coraggio seppure imprudentemente, potrebbe conseguire. (…) Questa è la prima prova di coraggio da affrontare sulla via interiore” Gli archetipi dell’inconscio collettivo, Jung.

Una volta compreso ciò, non lo si dimentica mai. Si tratta dell’incontro con se stessi.

Pensiamo di non essere in condizione di vedere la propria Ombra, viviamo nelle acque dormienti l’esperienza della fusione intima e candida:

Anima mia
chiudi gli occhi
piano piano
e come s’affonda nell’acqua
immergiti nel sonno
nuda e vestita di bianco …

Anima mia, N. Hikmet

Immaginiamo di dormire sulle acque dormienti: “Nessuna corrente raggiungeva, quella notte, la superficie delle acque inerti. Allontanandosi dalla sponda, la barca scivolò in una specie di magico torpore in cui il debole impulso che ancora la spingeva si affievolì e poi venne meno. Mi avviluppai in una coperta e mi distesi sul fondo. Fin da quel momento aspettavo il mio destino. Sapevo benissimo che quella era la mia ultima notte di sonno nel mondo delle acque morte. E proprio per questo, volevo dormirla come avevo dormito le altre, supino, sdraiato sul fondo della barca, respirando attraverso le assi l’odore notturno dell’acqua dolce, donde, nonostante la minaccia dei sogni, veniva a me tanta pace, tanto riposo” Il fanciullo e il fiume, Henri Bosco.

Partecipiamo all’abbandono progressivo al riposo delle acque, della barca, e poi dell’anima! Acque, barca, anima, sono parole e realtà psichiche che portano tutte al riposo al femminile. Ascoltiamo l’invito al silenzio di questa acqua dormiente! Che grande riposo dell’anima ci dona Henri Bosco! Immaginiamo ciascun movimento di abbandono che contribuisce a questo momento magico naturale, da cui viene tanta pace e tanto riposo: il mondo delle acque morte notturne, la barca che scivola nel magico torpore, il distendersi sul fondo della barca, la serena attesa del proprio destino, l’apprestarsi a dormire quella notte come le altre, sul fondo della barca, nonostante la minaccia dei sogni.

Il lago

Immaginiamo l’archetipo delle acque dormienti: il lago, questo cielo capovolto, è il ritratto più bello e più espressivo del paesaggio, è l’occhio della terra, dove si rispecchia il cielo, il mondo. Sembra che il mondo attraverso il lago voglia vedersi e noi siamo presi da questa potenza di ostentazione. E’ il mondo stesso riflesso a darci la calma, per sognare la bellezza. Ma i nostri stessi occhi non sono forse acqua che sogna? una fonte di luce liquida che Dio ha messo in fondo ad ognuno di noi?

Guardiamo con stupore originario alla bellezza del mondo riflesso nel lago, nello stagno, nell’acqua che dorme. Si risveglia in noi l’immaginazione cosmica, la capacità di meravigliarsi. E’ un modo felice per immaginare il mondo, per raddoppiare il mondo reale con un mondo immaginario. Il lago ci offre un mondo dipinto con acquarelli naturali, dai colori tenui. Il sognatore davanti a questo spettacolo della natura delle acque dormienti del lago è invitato a sognare un mondo fantastico, che continua la bellezza del mondo reale. Davanti al paesaggio riflesso nelle acque limpide e profonde le corrispondenze e le affinità si moltiplicano: l’acqua sogna il paesaggio, il sognatore ama il paesaggio sognato. Nei suoi riflessi sognati il mondo è bello due volte.

Immaginiamo un bosco rispecchiato nelle acque degli stagni: ciascuno stagno pare essere un breve cielo, disteso sulla terra, dove gli alberi assumono forme e tinte soavi e dolci, anche quando ondeggiano lentamente cullati dal vento. L’acqua limpida dormiente ci appare e la viviamo come una sostanza tutta unita, semplice, dolce. Quale invito ad immergerci nel riposo che ci offrono le acque tranquille! Immaginiamo allora che immergersi in queste acque sia immergersi in un sognare, e che sia l’acqua a sognare e che le vedute soavi vi sono dipinte dall’amore delle acque per la bella foresta. La profondità trasparente di queste acque sarà penetrata da un’atmosfera calma, senza mutamento, da un dolce vento ancora più dolce della foresta dipinta nell’acqua. Che pace sognare sopra queste acque limpide, acquarelli dormienti! Qui apprendiamo una tranquillità naturale e una sollecitazione a prendere coscienza della tranquillità della nostra vera natura, del femminile tranquillo, dell’essere della nostra acqua addormentata.

Facciamo una meditazione sull’acqua dormiente ed il sole. Immaginiamo uno specchio d’acqua che rispecchia perfettamente la luce del sole: vediamo un’azzurra superficie specchiante, quasi come quella di un lago. Ora immaginiamo che l’acqua muti in ghiaccio lucente e trasparente: la luce immateriale dell’immagine che imita il sole si muta nell’acqua e finalmente nella materialità del ghiaccio. La visione diventa materiale, assume un corpo solido, il ghiaccio diventa un pavimento fermo e azzurro, ma lucente e trasparente, attraverso i cui strati l’occhio può penetrare in profondità, come in una discesa alla sorgente psichica, appunto nell’inconscio.

Spogliamo il sole e l’acqua della oggettività fisica, riportiamoli al loro valore simbolico e spirituale: il sole è immancabilmente fonte del calore e della luce, dispensatore di vita, è allegoria del Cristo, insieme alle immagini dell’acqua, che appunto hanno un ruolo importante nelle allegorie cristiane.

Torniamo al lago, luogo eletto dagli spettacoli della natura basati sulla tranquillità delle acque.

Piccolo lago in mezzo ai monti – il giorno
le calde mucche bevono ai tuoi orli;
a notte specchi le stelle – mi sento
oggi in un brivido la tua chiarezza.

Lago, Umberto Saba

Amplifichiamo questa chiarezza da brivido. Immaginiamo la chiarezza lunare:

Brillano le sabbie nel chiaro di luna che unisce le rive;
Bianca è la vela nella rugiada che copre la barca.

Sulla via di Hang-chow, ancorato sul fiume di notte, Po Chu-i

Contempliamo la bellezza di un lago tranquillo rischiarato dalla luna: il lago è addormentato sotto un chiarore lunare diffuso. L’acqua è leggermente agitata, di quel tanto che basta perché la superficie non rispecchi nitidamente il paesaggio rischiarato dai raggi lunari. Il vento accarezza l’acqua in superficie, da trasparente diventa traslucida, e a poco a poco opaca. Ci viene restituito il paesaggio acquerellato impressionista. La notte è tiepida e felice, l’acqua si fonde con il tepore dell’aria e col chiarore lattiginoso della luna. Il calore dell’acqua è notevole. L’acqua è calda e bianca. Noi spettatori ritroviamo l’ingenuità dello stupore, ci abbandoniamo ed immergiamo in questo mondo incantato, sentiamo un benessere così fisico, così sicuro, da richiamare il più antico benessere, il cibo più dolce: il latte materno. L’immagine del latte scorre dolcemente in fondo al nostro cuore, come un fluido lunare, per realizzare la serenità di noi sognatori.

In queste ore, le immagini propagano onde di calma, e la calma così immaginata si stabilisce in noi come un valore che domina. Sono immagini cosmiche, fanno ingrandire il mondo, ingrandire l’estate. La contemplazione e l’acqua calma e bianca ci fanno abitare il mondo, l’immensità.

Silenzi, mormorii, voci

Facciamo ora silenzio, un silenzio essenzialmente femminile. Erriamo nel tempo e sull’acqua muti.

Il silenzio richiede un’immobilità ed una sospensione del tempo.
Il tempo è muto tra canneti immoti …
Lungi d’approdi errava una canoa …

Il tempo è muto, Giuseppe Ungaretti

Accogliamo la pace silenziosa che vuol comunicarci il poeta.

La natura, il lago spingono alla contemplazione. Ascoltiamo (e ammiriamo) questa altissima quiete.

Talor m’assido in solitaria parte,
Sovra un rialto, al margine d’un lago
Di taciturne piante incoronato.
Ivi, quando il meriggio in ciel si volve,
La sua tranquilla imago il Sol dipinge,
Ed erba o foglia non si crolla al vento,
E non onda incresparsi, e non cicala
Strider, nè batter penna augello in ramo,
Nè farfalla ronzar, nè voce o moto
Da presso nè da lunge odi nè vedi.
Tien quelle rive altissima quiete;
Ond’io quasi me stesso e il mondo obblio
Sedendo immoto; e già mi par che sciolte
Giaccian le membra mie, nè spirto o senso
Più le commova, e lor quiete antica
Co’ silenzi del loco si confonda.

La vita solitaria, Giacomo Leopardi

Dimenticare se stessi e confondersi nell’altissima quiete tenuta dalle rive, nell’antica quiete, nei silenzi del luogo: quanta pace ci danno queste immagini! E quante altre ce ne evocano!

Ci sono acque dormienti, ora silenziose ora dai mormorii carezzevoli.

Tutto tace. Il fiume scorre lentamente, sembra che nel suo corso vi sia un flusso pacificante. Nessun mormorio, scorre così dolcemente che i granelli di sabbia, simili a perle, non si muovono affatto. Ci piace guardare sul fondo. Ed ecco che le acque, per un istante, hanno qualcosa da dire: dal fondo del fiume del silenzio esce a poco a poco un mormorio, cresce e si diffonde in una melodia carezzevole. Ma, a poco a poco, e non sappiamo perché, la musica carezzevole si smorza in sussurri, che vanno gradatamente attenuandosi, finchè il fiume ritorna tutto alla solennità del suo silenzio originario. Basterà un vento della sera perché l’acqua che si era fatta muta riprenda a parlarci. Basterà un raggio di luna, pallido e dolce, perché il fantasma cammini di nuovo sulla sua superficie.

I veri poeti, quelli che sono profeti, cercano d’esprimere l’Universo con accenti musicali. Ascoltiamo e immaginiamo questo concerto della natura, che emana dal cuore della notte. “Quando nelle notti piovose di luglio le tenebre fitte gravano sui campi e la pioggia scrosciante distende il suo velo sulla terra sonnolenta, il monotono lamento dell’acqua sembra, come l’oscurità, un canto. La macchia cupa degli alberi allineati, i cespugli ispidi sparsi per il piano deserto come teste galleggianti di nuotatori dai capelli fangosi, l’odore dell’erba e della terra bagnate, la guglia del tempio che s’innalza al di sopra della massa confusa e nereggiante delle casupole del villaggio raggruppate intorno, tutto forma una musica che emana dal cuore della notte e si confonde e si perde nel canto della pioggia, che incessantemente scende dal cielo” La vera essenza della vita, Tagore.

Per cogliere queste voci, occorre porsi nella disposizione di ascolto ed imparare dalla natura, come Vasudeva, il vecchio saggio barcaiolo, nel Siddharta di Hermann Hesse: ”Sapeva ascoltare come pochi. Senza ch’egli avesse detto una parola sentiva come Vasudeva accogliesse in sé le sue parole, tranquillo, aperto, tutto in attesa, e non ne perdesse una, non ne aspettasse una con impazienza, non vi annettesse né lode né biasimo: semplicemente ascoltava”. Così sapremo ascoltare la voce del fiume: ”Ad ascoltare mi ha insegnato il fiume, e anche tu imparerai da lui. Lui sa tutto, il fiume, tutto si può imparare da lui. Vedi, anche questo hai imparato dal fiume, che è bene discendere, tendere verso il basso, cercare il profondo”.

Immagina: la barca resta immobile. Nessuna corrente raggiunge la piccola cala, nella quale ti senti al sicuro. Lì puoi abbandonarti alla contemplazione delle acque che scorrono silenziose, e il cui movimento ti affascina …

Ma attenzione chi guarda nell’acqua è il primo a non vedere lo specchio e la propria immagine. Lo specchio non lusinga, mostra fedelmente ciò che in lui si riflette, quel volto che non mostriamo al mondo, perché lo veliamo per mezzo della maschera. Potremmo avere scoperte spiacevoli. Evitiamo prove di coraggio alla ricerca dell’incontro con se stessi. Evitiamo allora l’impatto con lo specchio che rimanda alla nostra immagine (e all’abisso) e scopriamo invece come in un’acqua chiara e tranquilla sono vicini la superficie e il fondo! e come si confondono! Nell’immaginazione delle acque dormienti profondità e superficie si appartengono a vicenda, felicemente, l’immaginazione va continuamente e naturalmente dall’una all’altra. E in questa unità di superficie e fondo, il sognatore riesce a sognare bene la sua profondità.

Facciamo nostra l’immagine e il riposo attivo di Wordsworth, in Preludio, l’immagine di colui che si sporge dal bordo di una barca lenta, sopra un’acqua tranquilla, compiacendosi di ciò che l’occhio scopre sul fondo delle acque: vede mille cose belle, erbe, pesci, fiori, grotte, ciottoli, radici d’alberi, ed altre ne immagina.

In profondità

La contemplazione in profondità, non di superficie, davanti alle acque limpide dormienti, ma ancor più la stessa contemplazione dell’acqua nei suoi riflessi e nella sua profondità aprono una prospettiva di proliferazione di immagini, una produzione di sogni. Da quei riflessi e da quegli oggetti della profondità, dal matrimonio stesso del cielo e dell’acqua profonda, vediamo nascere infinite immagini, che ci riguardano. Sono immagini della profondità trasparente che ci appartengono. Il passato della nostra anima è un’acqua profonda.

E’ forse per questo che le acque limpide dormienti si prestano alla contemplazione in profondità, più che in superficie, e davanti all’acqua profonda trasparente non ci fissiamo, non siamo risucchiati dalle oscurità dell’abisso, puoi scegliere la tua visione, puoi vedere, a tuo piacimento e ad un tempo, nei suoi riflessi e nella sua profondità, il fondale immobile o la corrente, la riva o l’orizzonte infinito. Oppure puoi pensare che l’acqua è senza fondo, insondabile, è lo specchio del mio essere profondo e nascosto. In questi percorsi di sguardi ci facciamo distrarre dagli esseri viventi che emergono dalla profondità, sono probabilmente pesci, innocui abitatori del profondo; innocui, se il lago non rappresentasse per noi un incubo. Non mancano i pericoli. Potremmo scoprire un’ondina, pesce femminile semiumano, essere incantatore, seducente. Una volta un’ondina rimase impigliata nella rete del pescatore, per metà lei lo tirò, per metà egli affondò, e nessuno lo vide più.

Immaginiamo di sederci sulla riva di uno stagno dalle acque oscure. Lo sguardo cerca la profondità, non si ferma alle apparenze di superficie. Le profondità senza fondo ci attirano verso ricordi che superano la nostra memoria. Le profondità dell’acqua sono le nostre profondità, il nostro essere nascosto. In questa contemplazione, nulla ci può distrarre. L’acqua stagnante ci parla della morte, della vita che passa. Ma lasciamo le immagini di queste acque nere. Ci chiediamo, siamo esseri notturni o esseri che vedono ancora la luce?

Pensiamo ad acque dalle quali emergono felici sorprese. La premessa non promette bene. Sono poveri pescatori, tanta fame e poche risorse, hanno una barca fragile, inadatta; reti scadenti, forse anche danneggiate. Il risultato della pesca è scarso. Nonostante gli sforzi, le reti sono quasi vuote. Dalle acque profonde ecco un’immagine di fragile argilla, oscurata dalle acque del fiume, anche invecchiata dal tempo. I pescatori non disprezzano, non buttano via i pezzi misteriosi che man mano raccolgono. Attendono la pienezza, e questa non tarda a venire. Ecco l’immagine dell’Immacolata Concezione. Prima il corpo, poi la testa, poi il ricongiungimento di corpo e testa: finalmente quello che era spezzato riprende unità. La Madonna Aparecida si presenta con un volto negro, prima divisa, poi unita nelle mani dei pescatori.

Emerge con forza un messaggio di ricomposizione di ciò che è fratturato, di compattazione di ciò che è diviso.

Poi i pescatori portano a casa la Madonna misteriosa pescata. La coprono con un manto. Chiamano i vicini per vedere la bellezza trovata. Si riuniscono intorno ad essa. Raccontano le loro pene in sua presenza e le affidano le loro cause. Una grazia, poi l’altra. Una grazia apre ad un’altra … hanno fede nella bellezza trovata nelle acque.

Acque morte

Le acque dormienti sono anche acque morte, e non necessariamente soltanto quando sono oscure, melmose, limacciose. Immaginiamo quando la notte, in certi momenti, si mescola dolcemente con l’acqua, quando la notte e l’acqua uniscono la loro dolcezza.

Torniamo al lago delle acque dormienti. Immaginiamo il sogno di Poe, il simbolo del sonno totale naturale, da cui non ci si vuole svegliare, anche di giorno.

“Il rosmarino saluta la tomba, il giglio galleggia sulle onde, avvolgendo di nebbia il suo seno, la rovina si rannicchia e riposa; come il Lete, vedete! Il lago sembra assaporare il sonno cosciente e non vorrebbe destarsi al mondo. Dorme ogni Bellezza”. Irene, Poe

Che audacia! Che dolce e attraente fusione nel dormire di ogni bellezza nelle acque! L’acqua, sostanza della vita, è infatti anche sostanza della morte, e, in quanto simbolo materno, la morte nelle acque è, per l’immaginazione, la più materna delle morti.

Acqua palpabile, terrena, silenziosa, acqua oscura, acqua dormiente, sono tutti materiali per una contemplazione sulla morte, una morte immobile, in profondità, dolce.

Da Vancouver, arriva a C.G.Jung una lettera di mano ignota di chi si meravigliava che i suoi sogni avessero sempre a che fare con l’acqua:”Quasi sempre nei miei sogni c’è l’acqua; o faccio il bagno, o trabocca il gabinetto, o scoppia una tubatura, o la mia casa è scivolata fino al bordo dell’acqua, o vedo un conoscente in procinto di sprofondare nell’acqua, o sto cercando di uscire dall’acqua, o sono nella vasca e l’acqua sta per traboccare” e così via.

Il livello delle acque sale. Il sognatore sembra divenuto spirito che sprofonda, trabocca, scoppia.

Jung aggiunge:”L’acqua è il simbolo più ricorrente dell’ “inconscio” … è l’inconscio che giace, per così dire, al di sotto della coscienza, perciò è spesso indicato come “subconscio”, non di rado con la tonalità negativa di una coscienza di qualità inferiore” Gli archetipi dell’inconscio collettivo, 1934/1954.

Mare

Ci sono sognatori che affidano la loro anima, con la massima serenità, all’acqua dormiente, stagnante, lasciandosi andare nelle profondità per risalirne felicemente. Mentre altri, nel dormire nell’acqua del sogno, percepiscono un dolore e un timore nello scendere in profondità e nel risalire. Immaginiamo il sonno agitato del mare con Nietzsche:

Tutto dorme ora, disse; anche il mare dorme. Ebbro di sonno e straniato, il suo occhio si posa su di me.

Ma il suo respiro è caldo, lo sento. E sento anche che il mare sogna. E sognando si gira e rigira su cuscini scabri.

Ascolta! Come respira per ricordi cattivi! O per cattive attese? Ah, con te divido la mestizia, mostro tenebroso, e per tua colpa sono in collera con me stesso.

Così parlò Zarathustra, F. Nietzsche.

Questa immagine penetrante del mare ci può essere di aiuto quando non riusciamo a dormire, per il nervosismo dovuto ai rumori della città, quando nel cuore della notte le automobili rombano e il suono di un televisore rimasto acceso mi fanno maledire il mio destino di cittadino metropolitano. Allora, immaginiamo la città come un mare rumoreggiante, immaginiamo il mormorio incessante del flutto e delle maree. Se il rumore delle automobili diventa insostenibile, immaginiamo un tuono e il mare in tempesta. Il letto è una barca perduta nei flutti. L’aria infuriata rimbomba da tutte le parti. La barca rimane salda, siamo al sicuro. Dormiamo malgrado la tempesta, come dormiva Gesù nella barca sul mare di Galilea.

Oppure, dopo la tempesta:

Pace! Pace! È tornata la bonaccia,
Pace! E’ tornata la serenità.
Tu dormi, e par che in sogno apra le braccia.
Onde! Onde! Onda che viene, onda che va …

Il naufrago, Giovanni Pascoli

Queste immagini naturali e sincere, queste parole al femminile rassicuranti riescono ad acquietarci.
Torniamo in città, all’immagine dei rumori oceanici della città: è un’immagine vera, ed è salutare rendere naturali i rumori per renderli meno ostili. Così, ascoltando il mare, ci addormentiamo, cullati dai rumori metropolitani.

Oppure, se ho avuto la felice occasione di ascoltare da solo il canto dell’Universo nel cielo stellato, prima di andare a riposare, chiuderò gli occhi con questo pensiero cosmico suggerito da Tagore:”anche quando dormirò nell’incoscienza del sonno, proseguirà sul campo silenzioso del mio corpo addormentato la danza della vita, in armonia con quella delle stelle. Il mio cuore palpiterà, il sangue scorrerà nelle vene e milioni di atomi viventi nel mio organismo vibreranno all’unisono con le corde dell’arpa, risuonanti sotto la mano del Signore” La vera essenza della vita.

Immaginiamo il poeta in ascolto, nel contemplare il cielo stellato. Ode la corsa regolare degli astri. Ode la notte, la dolce notte avanzare. Per udire gli esseri dello spazio sterminato è necessario far tacere i rumori della terra. Contemplare ed ascoltare il cielo stellato è un po’ creare, mettere in movimento ciò che si contempla.