Case nido, guscio, capanna

 

Case nido, guscio, capanna

L’immaginazione da sempre si alimenta delle immagini della natura, sono immagini straordinariamente semplici, portatrici del grande valore del riposo protetto. L’uomo, l’animale, tutti trovano il massimo riposo nel nido e nel guscio. Tutte queste immagini sono governate dai valori del riposo e l’immaginazione simpatizza con l’essere che abita lo spazio protetto.

Per alimentare questa condizione dell’intimità protetta, possiamo proporre una ricca serie di immagini, proprie delle dimore primitive e utili a favorire il riposo attivo.

Con i poeti, fatalmente, ci facciamo aiutare dalle creazioni della natura, le immagini naturali che attribuiscono alla funzione di abitare valori di protezione, rifugio, riposo: nidi, gusci, caverne … L’immaginazione di tali “case”, naturali o costruite dagli animali, è un momento felice.

Sfogliamo un album di nidi, ricerchiamo i nidi in letteratura, augurandoci di ritrovare la nostra ingenua meraviglia quando un tempo scoprivamo un nido o quando cercavamo con pazienza di scoprirlo.

Immaginiamo: sollevo cautamente un ramo, ecco che scorgo un uccello che sta covando le uova; l’uccello non vola via, freme soltanto un po’ e io tremo di farlo tremare. Resto immobile. Dolcemente si placano la paura dell’uccello e la mia paura di far paura. Lascio ricadere il ramo, tornerò domani. Quando l’indomani ritorno, vedo in fondo al nido quattro uova piccolissime bianco rosato, ornate di linee rosse e con puntini neri.

Lasciamoci guidare da:

Quei che dipinge lì, non ha chi ‘l guidi;
ma esso guida, e da lui si rammenta
quella virtù ch’è forma per li nidi.

La Divina Commedia. Paradiso, Canto 18, Dante

Invitiamo ai sogni del nido e del guscio, sono sogni della protezione più vicina, della protezione adatta al nostro corpo, sono i sogni della casa-vestito, della casa personale: il nido del nostro corpo, rivestito a nostra misura.

Il nido può essere l’interno di tutto un dinamismo. Immaginiamo e ascoltiamo questa immagine, dolce sintesi di dissolvenza sonora e zoom in chiusura:

Si chiude, la casa; e s’appanna
d’un tratto il vocerìo che c’è;
si chiude, ristringe, accapanna,
per parlare tra sé e sé;
e saluta la compagnia…
Ave Maria …

In viaggio, Canti di Castelvecchio, Giovanni Pascoli

S’appanna e accapanna associati al vocerìo e alla casa, che si chiude, retringe su se stessa, per parlare tra sé e sé, sono felici immagini che nascono da un inaspettato gioco di parole e di antichi sentimenti di intimità. Siamo nell’avvolgente calore del nido familiare, è l’archetipo della casa-nido che emerge spesso con Giovanni Pascoli: il nido caldo, chiuso, segreto, in pace, raccolto in una sua esistenza senza rapporti con l’esterno, ma brulicante di complici intimità, di istinti e affetti viscerali, sotto il segno di quasi tribali miti, di un linguaggio privato, esclusivo.

E’ quel valore arcaico che fa dire a Vincenzo Cardarelli:

Non so dove i gabbiani abbiano il nido,
ove trovino pace.

Poesie

Immaginate di assaporare e sospirare la felicità in una casa nido animata, quale può essere un umile rifugio di montagna, insieme ad un caro vecchio, ad un cane, ad un focolare: “Ma io avevo sonno. Mi distesero e mi avvilupparono nel gabbano. Era una lana formidabile, che surriscaldava. Improvvisamente un benessere immenso m’invase e mi sentii felice. Tale fu il piacere d’assaporar simile felicità, che ne sospirai. Al mio sospiro rispose, ancor più profondo, quello di Rischiatutto, che se ne stava sempre davanti al fuoco. Era uno di quei sospiri di cane soddisfatto, che in un soffio, un soffio espressivo, comunicano agli esseri e alle cose la dolcezza della loro soddisfazione. Del sonno, io colsi la parte più semplice, la più trasparente, e mi addormentai”. Tonino, Henri Bosco

Queste immagini e questi sospiri ci dimostrano che il sentimento di intimità protetta è senza tempo ed è proprio dell’umiltà del luogo e del bambino sognatore. Non è questione di memoria. Il vecchio e il cane sono archetipi immemorabili che appartengono alla casa dei sogni. Per riprovare questi sentimenti di felice intimità non serve ripercorrere tutte le case per cui si è passati.

Se ci ponessimo all’origine dei nostri sogni, troveremmo una nativa fiducia, la sicurezza della prima dimora, la sicurezza che dà il nido, così come la dà la capanna. Sono forse questi gli archetipi alla radice dei nostri sogni e che non ci fanno conoscere l’ostilità del mondo. Per l’uomo, la vita incomincia con un buon sonno e tutte le uova dei nidi sono ben covate. L’esperienza dell’ostilità del mondo viene più tardi, insieme ai sogni di difesa e di aggressività. All’origine, la vita, ogni vita è benessere psichico, l’esistenza inizia nel benessere. Perciò, nella sua contemplazione del nido, il sognatore si tranquillizza, e il mondo diviene il suo nido.

Tra le immagini del nido, certo, la capanna ricopre il ruolo privilegiato, possiede un’umiltà e un’intimità molto umane, in quanto appartiene al costruito dall’uomo: non è un riparo naturale, è un nido più che un guscio offerto dalla natura, come è invece la grotta. Invitiamo a focalizzare il fantasticare sulla capanna come l’immagine più semplice di casa, di solitudine ed intimità concentrate, specialmente quando l’ambiente esterno si fa ostile: “ed ecco che in questa capanna, in questa solitudine e in questa misera cornice, mentre il nevischio e la grandine infuriano contro la mia finestrella, ecco che qui lei è stata il mio primo pensiero” I dolori del giovane Werther, Goethe.

La capanna è un nido, è un rifugio precario, che pure mette in moto fantasie e illusioni di sicurezza, gode di tutti i valori di intimità, protezione, riposo attivo.

Contemplando il nido, riceviamo la prova che nella natura permane una fiducia originaria nel mondo: costruirebbe l’uccello il proprio nido, sulle cime di un pioppo o in una siepe, se non possedesse l’istinto di fiducia nel mondo?

La casa sul ramo è una casa ancora più leggera della capanna, è la casa del vento, dove si conduce la vita aerea.

Questa casa povera, leggera, aperta al vento, ha i muri che si stringono e si allentano intorno all’abitante, l’anima si concentra ancora di più nell’immagine naturale del nido, raggiungendo il valore della semplicità minimale e costruita. Il nido, come ogni immagine di riposo, di tranquillità, si associa immediatamente all’immagine della casa semplice e della casa naturale. E dall’immagine del nido all’immagine della capanna, o viceversa, i passaggi non possono che avvenire sotto il segno della semplicità. L’anima è sensibile a simili semplici immagini e siamo grati ai poeti che hanno il talento di rinnovarle.

La natura ci offre l’immagine meravigliosa della casa-guscio, una casa non costruita e dalla formazione misteriosa: la casa che si ingrandisce misteriosamente a misura di chi la abita. E’ la vita che si dà una forma! Le immagini naturali di questo modellamento dell’abitazione sono molto umane. L’uomo vuole abitare un guscio e vuole che le pareti che proteggono il suo essere siano unite, levigate, compatte, come se la sua pelle e la sua carne dovessero toccare i muri della propria casa.

Questa casa personale ha un’intimità tutta fisica, è lavorata come un nido e costruita dal corpo, per il corpo, suscettibile di prendere forma dall’interno, in un’intimità che lavora anche fisicamente. E’ il sogno della protezione più vicina e adatta al nostro corpo, è la casa nido del nostro corpo rivestito a nostra misura. E allora forse rifiuteremo una casa più grande e più comoda, come rifiuteremmo un vestito non adatto alla nostra misura.

La vita ci cresce intorno come una pelle

Il guscio, Molly Drake

Quanta fantasia alimenta questa meraviglia della vita e della casa che crescono nella misura stessa in cui cresce il corpo di chi la abita. Questa meraviglia dell’universo ci coinvolge umanamente, tanto più se ci proponiamo di comprendere come la chiocciola fabbrica la propria casa, come l’essere più molle si costruisce il guscio più duro. Non finiamo di stupirci della perfezione delle case naturali!

Quale concentrazione del proprio essere e quanti valori abbiamo nell’immagine della vita che si concentra, si prepara, si trasforma, e quanta intimità protetta è nell’immagine della casa che si “stringe” intorno al suo abitante!

Questo stringere può portare dolore. Pensiamo a Franz Kafka che la notte si svegliava con la sensazione di essere stato racchiuso nel guscio di una noce. Il dolore di cui ha sofferto Kafka è di essere intimamente schiacciato, chiuso nella propria intimità. Kafka ha una grande simpatia per le immagini del guscio di noce, per le sue pieghe, e per l’essere concentrato. E’ un dolore che può guarire. In Shakespeare si ritrova una simile immagine di intimità, quando Amleto all’affermazione che la sua ambizione gli rende la Danimarca una prigione risponde:”O mio Dio! Resisterei in un guscio di noce; crederei di starci largo e di essere il re di un impero illimitato … se non facessi brutti sogni”.

L’interno della noce ha il valore di una felicità primitiva. E’ il valore della concentrazione nello spazio intimo più ridotto e la ristrettezza consiste nello “stringere” tutto a misura dell’essere intimo. La felicità certamente è espansiva, ma ha anche bisogno di concentrazione. Una volta presa coscienza di questo archetipo, non cercheremo una casa più grande o più comoda, in quanto non si sarebbe alla nostra misura.

Le immagini del guscio si prestano ad attivare situazioni particolarmente dinamiche, vivono dei movimenti di introversione e di estroversione: l’essere che rientra nel proprio guscio e l’essere che esce dal proprio guscio. Immaginiamo i nostri movimenti verso il dentro e il fuori del nostro guscio. Ma attenzione, l’essere a spirale del guscio che si disegna esteriormente come un centro ben collocato, non raggiungerà mai il suo centro. L’essere dell’uomo non si ritrova in un suo centro fissato. E poi l’uomo vuole manifestarsi e vuole nascondersi, i movimenti di introversione e di estroversione, di chiusura e di apertura, sono così numerosi e carichi di esitazioni che potremmo dire che l’uomo è l’essere “socchiuso”.

Per questo, davanti ai gusci, più che dalla bellezza esteriore, siamo presi dalla curiosità – e da un pò di paura – per ciò che può uscire, dalla dialettica del nascosto e del manifesto, del calmo e dell’offensivo, del molle e del vigoroso: l’essere che si nasconde, l’essere che rientra nel proprio guscio, prepara un’uscita. Nel guscio si prepara una resurrezione. E’ la metafora eterna della resurrezione di un essere sepolto. E allora mettiamoci in attesa, l’immaginazione non tarderà a fare uscire dal guscio esseri stupefacenti.

Il guscio, nel farci rivivere tali immagini speciali della casa e del suo modellamento, privilegia l’intimità e la solitudine. Si sa bene che bisogna essere soli per poter abitare un guscio. E’ un gran sogno dell’abitare soli, e il vivere nel guscio può risvegliare questo sogno, sogno che capita a tutti, ai deboli, ai forti, specialmente nelle tristezze della vita.

Pensiamo a quello che è il regno della solitudine: la stanzetta. La piccola stanza dei nostri sogni appartiene alla casa come cosmo del calore dolce, intimo, amico. Immaginiamo il fuoco e l’aria che si espande col calore riempiendo tutti i buchi della camera, premendo contro le pareti, il pavimento, il soffitto, i mobili. Si forma con noi un unico corpo tiepido, la cui penetrante ed intima dolcezza invita al riposo e all’amicizia. Se immaginiamo così intimamente, nella stanzetta possiamo conoscere l’amicizia del rifugio, alimentata dal fuoco e dal calore intimo.

Sperimentiamo nella stretta camera, profonda e segreta come un guscio, i dinamismi di un rannicchiamento attivo, incessantemente ripreso dall’inizio, viviamo l’isolamento dell’essere ripiegato su se stesso.

Chi non ha sognato l’immagine della cameretta profonda e segreta come un guscio!

Tristan Tzara scrive:

una lenta umiltà penetra nella camera
che abita in me nel palmo del riposo.

Oii boivent les loups

Com’è facile riposare bene, nell’intimità più profonda, quando il poeta ci dona queste immagini!

Per beneficiare dell’intimità semplice di simile immagine, occorre mettersi nel “palmo del riposo”, raccogliersi su se stessi, vivere concentrati nell’essere di un riposo che è il bene, e che ci troviamo in mano, senza fatica. Allora, la grande fonte di umiltà semplice, che si trova nella camera silenziosa, scorre in noi. L’intimità della camera diventa la nostra intimità. Lo spazio intimo diventa così tranquillo, così semplice, che in esso si centralizza tutta la tranquillità della camera. La camera è, nel profondo, la nostra camera, e la camera è in noi. Noi non la vediamo più, non ha più pareti, in quanto noi siamo tutti nel riposo che ci ha donato. Tutte le camere di un tempo vengono a fondersi in questa camera qui.

Il riposo attivo, protetto e intimo, elegge i suoi spazi: tutte le cavità accoglienti sono gusci tranquilli. E sono tutti spazi che vanno vissuti in solitudine. Sono gli spazi delle nostre passate solitudini, costruiti dall’uomo o donati dalla natura, gli spazi in cui abbiamo sognato e sofferto la solitudine, goduto la solitudine, desiderato la solitudine, sono gusci intimi e incancellabili in noi, perché l’essere non vuole affatto cancellarli, sa istintivamente che gli spazi della sua solitudine sono costitutivi: è su questi spazi che costruiamo la nostra capacità di immaginazione e memoria.

Queste immagini nascono da una forza che ci porta a rientrare nel nostro guscio, per vivere l’autentico ritiro, una vita avviluppata, ripiegata su se stessa, tutti i valori del riposo. Jean-Paul Richter, in La vita di Fixlein, risponde al richiamo del piccolo e intimo spazio. Ci invita a seguire questa forza: ”Visita la cornice della tua vita, ciascun asse della tua camera, ogni angolo e raggomitolati per sistemarti nell’ultima e più intima delle spirali della tua conchiglia di lumaca”. Questo grande sognatore ci fa dire, per ogni oggetto abitato, che tutto è conchiglia: io materia molle, mi faccio proteggere in tutte le forme dure, per godere della coscienza di essere protetto all’interno di ogni oggetto e di sentire nel piccolo l’immensità.

E’ l’immagine del grande albero dal tronco cavernoso e ricoperto di vegetazione e muschio. Questo albero cavo è una grande immagine del rifugio e del riposo. Esso ci protegge con lo spessore del suo tronco saldo. Il sognatore guardandolo prova un’impressione di intimità, di sicurezza e protezione. Coglie l’infinito dalla concentrazione nella cavità e dalla visione dell’esterno. E’ presente qui il contrasto tra la cavità stretta propria delle dimore oniriche protette e la cosmicità dell’albero che sollecita la partecipazione ad un universo.

Pensiamo al picchio verde che prende per dimora tutto un albero. La sua è una casa in espansione ed allegra. Il picchio non è un abitante silenzioso, lui lavora su tutto il tronco dell’albero, colpisce il legno con colpi di becco riecheggianti. Spesso scompare, ma lo si sente sempre.

Una volta che il picchio è entrato nel nostro universo sonoro, facciamone un’immagine salutare. Quando siamo infastiditi dalle voci dei nostri vicini e dal piantare chiodi nel muro nelle ore meno opportune, immaginiamo di stare nella nostra casa di campagna, reale o sognata, e pensiamo: “è il mio picchio che lavora”.

E’ l’archetipo della casa guscio che vive del nostro essere concentrato, riservato e protetto. Lo viviamo più intensamente quando la casa è attaccata dall’inverno. L’inverno evocato aumenta il valore dell’abitare. Ci sono immagini che derivano dalla felicità invernale di abitare.

Immaginiamo una casupola posta isolata in fondo ad una piccola valle, avvolta da un inverno rigido, chiusa da montagne sul confine del bosco. Era come fasciata da alberi.

Che tranquillità ci mettono, nel corpo e nell’anima, queste semplici immagini di solitudine e di riposo. Sono immagini che noi possiamo re-immaginare apportandovi certamente tratti personali. Abbiamo caldo perché fuori fa freddo. In questa piccola casa il calore alimenta felicemente l’immaginazione del caldo riposo. Nella casupola in fondo alla piccola valle collocheremo esseri a noi familiari. I nostri ricordi più personali possono venire ad abitarci, con leggerezza e simpatia.

Immaginiamo di invocare un inverno rigido, tanta neve, per godere del riparo e dell’intimità della casa, per vivere la felicità invernale di abitare. Non lotteremo contro l’inverno e contro l’esterno. L’immersione nell’inverno annulla il mondo esterno. Nel mondo fuori la casa, il biancore della neve cancella i passi, confonde i sentieri, spegne i rumori, maschera i colori. Attraverso la cancellazione del mondo esterno, dall’inverno la casa riceve riserve di intimità: il sognatore di case riceve un aumento di tutti i valori di intimità.

D’inverno, durante la più vecchia delle stagioni, sotto la neve la casa è vecchia e sembra rinviare ad un lontano passato, introduce l’età dei ricordi.

I valori protettivi e di resistenza della casa sono ancora più grandi con le immagini poetiche del dramma della casa attaccata dalla tempesta: la casa si stringe intorno al suo abitante e lo chiama ad un eroismo contro l’universo, così si fortifica la comunanza dinamica dell’uomo e della casa. La casa stessa si impone come un essere di una resistenza umana, acquista le energie fisiche e morali di un corpo umano.

Immaginiamo la casa lottare col suo guscio coraggiosamente e tenere duro contro gli attacchi dei venti che tentano di strappare il tetto e di sradicare i muri. La casa non cede in nulla alla tempesta. Si stringe al suo abitante come una madre. La casupola diventa un fortino, un castello forte del coraggio per il solitario che deve impararvi a vincere la paura.