Cielo stellato

 

Cielo stellato

Vaghe stelle dell’Orsa, io non credea
Tornare ancor per uso a contemplarvi
Sul paterno giardino scintillanti,
E ragionar con voi dalle finestre
Di questo albergo ove abitai fanciullo,
E delle gioie mie vidi la fine.
Quante immagini un tempo, e quante fole
Creommi nel pensier l’aspetto vostro
E delle luci a voi compagne! allora
Che, tacito, seduto in verde zolla,
Delle sere io solea passar gran parte
Mirando il cielo, ed ascoltando il canto
Della rana rimota alla campagna!

Le ricordanze, Giacomo Leopardi

Il cielo deve essere buio, non illuminato per vedere le stelle brillare. Immergiamoci in questo immaginare e in questa intimità cosmica: il cielo stellato sempre sogna in silenzio e il grande sognatore Leopardi ci fa sognare.

C’è da dire che contemplando il silenzio del cielo, stando a ragionar con le stelle dalle finestre, il silenzio è leggero, l’immaginazione è cosmica, l’anima sembra liberarsi dal peso terrestre. E’ un silenzio richiesto dal rallentamento proprio dell’immaginazione stellare: una costellazione ha bisogno di lentezza e silenzio, i sogni stellati sono lenti, e questa lentezza solenne conferisce al cielo stellato un carattere dolce e tranquillo, un’impressione di leggerezza aerea totale, dalla quale si apre una nuova capacità d’ascolto: il cielo deve essere al buio per vedere le stelle brillare, ci deve essere un silenzio stellare per ascoltare “il canto della rana rimota alla campagna”!

Contempliamo allora il cielo stellato, facciamo silenzio. Facciamo tacere i rumori della terra, udiamo la corsa regolare degli astri, i cori aerei, la dolce notte che avanza.

Il silenzio della notte rende più profondo e intenso il cielo. Tutto diventa più rallentato e armonico in questo silenzio e in questa profondità immensa. Le voci discordanti tacciono. Questa armonia sospesa e in rallenty del cielo fa tacere dentro di noi le preoccupazioni e le voci della terra che sanno solo lamentarsi e gemere.

Sono tempi rallentati e i silenzi che favoriscono il distendersi dello spirito poetico che è in noi, il passaggio dal vedere all’ascoltare – e al parlare senza più vedere. In questo incanto possiamo cogliere straordinari eventi, destini annunciati con grande intensità, apriamo il nostro essere al chiarore di questa stella ascendente e nuova:

Uomini accanto al fuoco, su lo sguardo,
oh, voi che conoscete il cielo immenso,
chiaroveggenti, qui! Guardate, io ardo,
stella ascendente e nuova, e il fuoco intenso
in me un tale insolito e gagliardo
splendore dà che il firmamento esteso
angusto è a lui. Aprite al chiaror mio
l’essere vostro. Ah, di occhiate oscure,
di oscuri cuori e di buie venture
colmi voi siete. In voi ora sto io,
sola, o pastori; spazio ecco s’espande
per me improvviso.

Annuncio ai pastori, Rainer Maria Rilke

L’annuncio è affidato all’espansione delle immagini del fuoco: dal fuoco che riscalda al fuoco che illumina e apre ad immenso splendore stellare. Così dallo stare accanto al fuoco si passa alla stella fuoco che arde, splende, s’espande “per noi improvviso”.

L’annuncio dal cielo si può cogliere sulla terra se viviamo, contemplando il cielo stellato, una condizione di estasi “oceanica” e “cosmica”, la comunione d’amore universale, quella “sensazione di essere uno con il cosmo”, per la quale lo spazio interiore si può identificare con lo spazio interstellare, con diversi corpi celesti, con intere galassie o con l’universo nella sua totalità:

“E ancora sullo sfondo le Alpi il bianco delicato mistero, nel mio ricordo s’accese la purità della lampada stellare, brillò la luce della sera d’amore”. Canti orfici. La notte, Dino Campana

In questa immaginazione cosmica possiamo svelare l’infanzia del cielo e toccare il cielo, ci viene restituito il mondo delle favole e possiamo allora essere più vicino al cielo:

Il cielo attende di essere toccato da una mano
di infanzia favolosa.
Infanzia, mio desiderio, mia regina, mia ninna nanna
sa un soffio del mattino.

Faucher plus près du ciel, Edmond Vandecammen

Soltanto gli eccessi dell’immaginazione poetica possono ridarci la capacità di associare l’infanzia, la fantasia, le stelle. Sì, le stelle possono tornare a farci sognare l’infanzia favolosa.

Tornano in alto ad ardere le favole.
Cadranno con le foglie al primo vento.
Ma venga un altro soffio.
Ritornerà scintillamento nuovo.

Stelle, Giuseppe Ungaretti

Allora potremo porre con naturalezza, in un’immaginazione ritrovata, le nostre domande cosmiche direttamente alle stelle:

E quando miro in cielo arder le stelle;
Dico fra me pensando:
A che tante facelle?
Che fa l’aria infinita, e quel profondo
Infinito seren? che vuol dir questa
Solitudine immensa? ed io che sono?

Canto Notturno di un pastore errante dell’Asia, Giacomo Leopardi

Concediamoci queste ore cosmiche in cui non capita nulla, immergiamoci nell’universo della calma, liberati dalle contingenze estranee al nostro essere. Le stelle brillano e tutto ciò che brilla vede e non c’è nulla al mondo che brilli più di uno sguardo. Sì, le stelle ci guardano e guardano lontano. Per questo Leopardi le vede arder, sono occhi ardenti che sanno del destino nostro e della creazione. Diventiamo sognatori del cielo stellato, fissiamo le stelle che fissano su di noi i loro occhi accesi, partecipiamo al viaggio immobile della costellazione attraverso il cielo, seguiamo l’immagine pura del movimento lento, tranquillo, celeste, del movimento cosmico, eterno, senza divenire e senza arresto. Ripercorriamo con le costellazioni il cammino avventuroso degli uomini per le vie del cielo, attraverso i secoli, dal profondo dell’essere e della terra, verso la felicità:

“Lentamente gradatamente io assurgevo all’illusione universale: dalle profondità del mio essere e della terra io ribattevo per le vie del cielo il cammino avventuroso degli uomini verso la felicità a traverso i secoli.

Le idee brillavano della più pura luce stellare.

Drammi meravigliosi, i più meravigliosi dell’anima umana palpitavano e si rispondevano a traverso le costellazioni”. Pampa, Dino Campana

Il nostro spirito poetico non può lasciare l’illusione universale della felicità della creazione: sono le stelle ardenti e sempre accese che ci raccontano che non si è mai spenta!

Dal cielo stellato impariamo a vivere il tempo regolare, il tempo senza slancio e senza scosse, il tempo della notte. E allora il tempo del giorno, attraversato da mille compiti, sperduto e perso da gesti forzati, appare in tutta la sua vanità. Spengiamo lentamente il tempo, la luce e il suono del giorno verso la notte, coperti dal cielo stellato.

Da un pezzo si tacquero i gridi:
là sola una casa bisbiglia.
Sotto l’ali dormono i nidi,
come gli occhi sotto le ciglia.

Il gelsomino notturno, Giovanni Pascoli

Così riceveremo il dono della quiete e del sonno, faremo, nella notte serena, la dolce scoperta del mondo che riposa.

E solo allora con la notte potremo scoprire che c’è anche qualcosa che vola verso il cielo:

Appena si è fatto buio
si è alzato il profumo della Belle di notte.

Un lupo in agguato, Abbas Kiarostami

Vediamo e ascoltiamo, la notte serena si avvicina, seguiamo questo attraversamento stellare:

“Stella della sorgente notte, già tu scintilli in occidente, sollevi il tuo capo luminoso dalle nuvole, passi solenne sopra i colli. Che cosa cerca il tuo sguardo sopra la landa? I venti tempestosi si sono acquietati; da lontano viene il mormorio del ruscello; sussurrando giocano le onde intorno alle rocce lontane; Il ronzio degli insetti notturni sciama sui campi. Dove ti volgi, o luce bella? Ma tu sorridi e t’allontani, gioiose ti circondano le onde e bagnano i tuoi gentili capelli. Addio, raggio sereno …” I dolori del giovane Werther, Goethe

Questa sera andremo a meditare sulla terrazza, andremo a vedere la notte al lavoro, ci abbandoneremo alle sue forme avvolgenti, ai suoi veli, alla seduzione e alla solitudine della notte. Accanto all’abete che sfiora la terrazza, presso il mormorio dei suoi rami, dimentichiamo i compiti e le preoccupazioni del giorno: i ricordi cercano l’oblio come le foglie che cadono nella notte. Così, in un dolce dialogo tra pace e solitudine, tutto respira in noi e fuori di noi. Un ritmo questo a cui partecipa la città addormentata e travolge l’universo in pace.

La luce stasera possiede una luce d’altri tempi. La notte protegge con la sua solitudine i cespugli e gli alberi. La luce dolce e la notte riconciliate vegliano sul riposo delle persone e delle cose. Associamoci a questa notte dilagante, uniamo le oscurità del nostro essere alle tenebre notturne, impariamo ad ignorarci, a dimenticare un po’ meglio le antiche pene. Esercitiamoci a non pensare più di fronte ad un mondo che non pensa, nella notte stellata che si fa notte nella notte, nella notte placida e placata. Crediamo di sognare. Diciamoci: “la notte è la mia solitudine, è la mia volontà di solitudine”.

In questa notte sarà facile ascoltare con le stelle un mondo di mormorii: rumori d’ali, il lamento dei gatti, l’amore troppo dolce e tutto rotondo dei colombi. Può bastare un grido troppo vivo per turbare il sogno. Nella notte stellata tutto si dà e tutto rimanda all’altro e all’altrove. E’ il trionfo del tutto e dell’infinito.

San Francesco d’Assisi nel suo Cantico di frate Sole di fronte a questo tutto e a questo infinito, non può che lodare, amare ed unire, in una sola immagine cosmica primaria della luce, le luci del giorno e le luci della notte: lo splendore raggiante di “frate sole” e il chiarore di “sora luna e le stelle”.

Laudato sie mi Signore cum tucte le tue creature
spetialmente messor lo frate sole,
lo quale è iorno et allumini noi per loi
et ellu è bellu e radiante cum grande splendore
de te Altissimo porta significatione.
Laudato sie mi Signore per sora luna e le stelle
In celu l’ai formate clarite et pretiose et belle.

Guardando con Francesco il cielo stellato ci vien da osservare che ci è dato, non per conoscere ma per sognare, per guardare e per essere guardati dalla luce divina. La luce del sole, della luna e delle stelle è uno sguardo d’amore, o meglio una comunione di sguardi. Francesco ci fa contemplare con una familiarità e una confidenza così naturali che: tutto ciò che guarda con uno sguardo appassionato gli rimanda uno sguardo di compassione o d’amore.

Contemplando il cielo stellato, scopriamo un’intimità cosmica tra l’anima e le stelle. Le stelle, con la loro luce dolce e brillante, ci guardano, con uno sguardo intimo, di compassione. Basta che due stelle siano vicine per non esistere più distanza e diventare ai nostri occhi un viso che ci guarda, e, reciprocamente, due occhi che ci offrono il loro sguardo; anche se sono estranei alla nostra vita, agiscono sulla nostra anima con un’influenza stellare.

Forse per questo, quando fissiamo una stella, essa diventa la nostra stella, brilla per noi, e una vita aerea e universale viene ad alleviare le nostre pene della terra. Allora, se la fissiamo la stella sembra avvicinarsi a noi, un sogno di intimità l’accosta al nostro cuore, e il sogno diventa salutare, proprio nell’attimo in cui ci disancora dalla realtà.

Oppure la stella può cadere in noi, nella nostra intimità cosmica. “Stavo di notte sul meraviglioso ponte di Toledo quando una stella cadente, con un arco teso e lento, attraversò lo spazio cosmico e attraversò al contempo (come posso dire?) il mio spazio interiore; il contorno separante del corpo aveva cessato di esistere … tutto … fu contemporaneamente in me e fuori di me come in un solo, indistinto spazio di perfetta estensione e limpidezza … “Lettera a Adelheid von der Marwitz, 14 gennaio 1919, Rainer Maria Rilke.

Cogliamo questo straordinario dono della natura: il cielo stellato ci è dato per sognare, per costruire facilmente le mille ed effimere figure dei nostri desideri, perciò le stelle e le costellazioni hanno la missione cosmica ed universale di fissare alcuni sogni dell’umanità, in modo che possiamo avere la stessa visione, lo stesso desiderio e, nella notte stessa, nella stessa solitudine notturna, veder passare nel cielo gli stessi fantasmi.

Comprendiamo le bellezze venute dal cielo stellato cantate dal Dante del Dolce Stil Novo:

I’ fui del cielo, e tornerovvi ancora
per dar della mia luce altrui diletto;
(…)
Ciascuna stella ne li occhi mi piove
del lume suo e della sua virtude;
le mie bellezze sono al mondo nove,
però che di là su mi son venute:
le qual non possono essere conosciute
se non da conoscenza d’omo in cui
Amor si metta per piacer altri.

34 Rime, Dante Alighieri

Scendiamo sulla terra, di notte: nel regno dell’immaginazione, ci sono stelle terrestri, luci lontane, centri di solitudine concentrata e di certezza di essere: la luce lontana di una casa isolata nella campagna, la luce che brilla alla finestra nella facciata di un palazzo metropolitano. Queste luci ci guardano. Tutto ciò che brilla nella notte vede. La luce della finestra è l’occhio della casa, che filtra al di fuori.

Siamo in un altipiano deserto, in una casa deserta, abbiamo la nostra lampada accesa, ci accorgiamo di una casa lontana e della sua luce. Abbiamo la certezza che la casa ci guardi, che qualcuno nella casa vegli, che un uomo vi lavora mentre noi stiamo sognando. La casa guarda e attende, la luce è il segno di una grande attesa, è stella del cielo scesa ad abitare la terra, è la stella spuntata nella terra, stella terrestre, umana, occhio aperto sulla notte.

Finiamo di guardare o di immaginare di guardare. Immaginiamo la finestra illuminata da una piccola luce, da una lampada; pensiamo alla lampada, è l’essere che fa ancora più casa, è lo spirito che veglia sulla casa, è il cuore della dimora, di ogni dimora: non si può concepire una casa senza lampada, come non si può concepire una lampada senza casa. Forse è per questo che quando usciamo di casa amiamo lasciare accesa almeno una piccola luce, o il televisore, anche senza immagine e senza audio. Una piccola luce familiare veglia sulla casa, e ci rassicura che la casa si ricorderà di noi e rimarrà in attesa del nostro ritorno.

“Con la lampada facciamo ritorno alla rêverie serale nelle dimore di un tempo, le dimore ormai perdute ma che rimangono, nei nostri sogni, fedelmente abitate. Dove ha regnato una lampada, regna il ricordo.” La fiamma di una candela, Gaston Bachelard.

Dall’esterno, la casa isolata, illuminata dalla stella della sua lampada, si impone come una solitudine. E siamo ipnotizzati da questa solitudine, ipnotizzati dallo sguardo della casa solitaria. Il legame tra la solitudine della casa e la nostra solitudine, tra quella casa e noi è tanto forte da farci pensare la casa solitaria nella notte come il rifugio più intimo e sicuro per noi sognatori:

e mi ricorda una casetta, sola
tra i campi, che fumava per la cena.

Ultime cose, Fumo, Umberto Saba

“Fumava per la cena”, che straordinario invito alla leggerezza e all’immaginazione! Che intimità cosmica!

E’ la piccola luce cuore di E. T. di Spielberg, è la piccola luce accesa alla ricerca dell’intimità universale espressa dalle due parole “telefono casa” che hanno commosso tutto il nostro pianeta.

In solitudine, nel cielo stellato, tutto è sospeso e possibile, rispetto al peso del vivere terreno. E così è per la luna. La luna, appena s’affaccia nei versi dei poeti, ha avuto sempre il potere di comunicare una sensazione di levità, di sospensione, di silenzioso e calmo incantesimo. Cresciamo in leggerezza e riposo: “vedevo di lontano elevarsi le guglie d’una città dai pennacchi sottili, tutti in modo che la luna nel suo viaggio possa posarsi ora sull’uno ora sull’altro o dondolare appesa ai cavi delle gru” Le città invisibili, Italo Calvino.

Ma nessuno come Leopardi riesce in questo incantesimo. Il miracolo di Leopardi è stato di togliere al linguaggio ogni peso fino a farlo assomigliare alla luce lunare. Le numerose apparizioni della luna nelle sue poesie occupano pochi versi ma bastano a illuminare tutto il componimento di quella luce – o a proiettarvi l’ombra della sua assenza.

Godiamo di questa quiete, tranquillità, di questa leggerezza lunare. Facciamoci incantare dalla luna. Diventiamo leggeri, sospesi, senza tempo, intrisi del chiarore lunare.

Dolce e chiara è la notte e senza vento,
e queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
posa la luna, e di lontan rivela
serena ogni montagna …

La sera del dì di festa

O graziosa luna, io mi rammento
che, or volge l’anno, sovra questo colle
io venia pien d’angoscia a rimirarti:
e tu pendevi allor su quella selva
siccome or fai, che tutta la rischiari.

Alla luna

O cara luna, al cui tranquillo raggio
Danzan le lepri nelle selve …

La vita solitaria

Già tutta l’aria imbruna,
torna azzurro il sereno, e tornan l’ombre
giù da’ colli e da’ tetti,
al biancheggiar della recente luna.

Il sabato del villaggio

Che fai tu, luna in ciel? dimmi, che fai,
Silenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai,
Contemplando i deserti; indi ti posi….

Canto notturno di un pastore errante

Sono immagini che tolgono peso, sospendono il tempo e ci danno serenità.

Lasciamo questo stato contemplativo, immaginiamo di metterci in cammino nel bosco e di essere illuminati, incantati, intrisi di luce e di luna piena: “Mi diressi, quindi, senz’altro, verso il bosco il cui margine era illuminato dalla luna piena. Essa mi aiutò molto, quella notte. La sua luce mi rischiarò il cammino e la sua grande dolcezza mi diede un po’ di calma, come per incanto. Perché la luna incanta le anime molto meglio di qualsiasi altro pianeta. La sua luce è così vicina a noi! La sentiamo attenta, affettuosa, e nei pleniluni di primavera la sua amicizia diventa così tenera che tutta la campagna s’intenerisce.  (…) Il bosco di lecci era interamente immerso nel chiarore lunare. Esso filtrava, attraverso il nero fogliame, a grandi colonne azzurrine. I vecchi alberi si tuffavano con tutti i loro rami in quell’azzurro astrale. Anch’io, quando uscivo dall’ombra ed entravo in una di quelle zone di chiarore, diventavo all’improvviso un piccolo corpo intriso di luce e di luna”. Il fanciullo e il fiume, Henri Bosco.