Fantasticare sull’infanzia

 

Fantasticare sull’infanzia

Se anche una sola volta nel paese della vita,
nella confusione delle fiere e dei mercati,
smarrissi il pallido fiore della mia infanzia:
quel mio primo Angelo solenne,
la sua bontà, la sua veste,
le mani giunte, la mano benedicente,
ebbene sempre nei miei sogni più segreti,
conserverei l’immagine di quelle ali piegate,
come un bianco cipresso
dietro di lui …

Rainer Maria Rilke

Ravviviamo il pallido fiore dell’infanzia. Manteniamo separate le immagini donate da Rilke per riviverle una per una e coglierne insieme la novità del montaggio e le variazioni nei sogni più segreti: il pallido fiore della mia infanzia, l’Angelo, bianco cipresso dalle ali piegate. Conserviamo nella nostra memoria immaginaria le immagini dell’infanzia sognata, amata, perduta, reimmaginata.

L’infanzia ha ruoli molteplici e speciali: è l’infanzia dei ricordi, è l’infanzia sognata, è l’infanzia eterna dell’umanità. Per questo ci chiediamo quando è stata l’infanzia e quanto è durata, e se dura ancora. Sappiamo che nei ricordi d’infanzia, nelle immagini amate, custodite dell’infanzia, è ben difficile separare memoria e immaginazione: mai come per l’infanzia, la memoria fantastica e sogna, l’immaginazione ricorda. Sappiamo che la storia della nostra infanzia non è psichicamente datata. Le date vengono da altrove, dall’infanzia raccontata da altri, da un tempo diverso da quello vissuto.

Le immagini poetiche ci parlano di un’altra infanzia, ci aiutano a ritrovare in noi l’infanzia vivente, permanente, durevole. Sì, i poeti fanno vivere l’infanzia che dura, sotto certi aspetti, dura tutta la vita. C’è un’infanzia sempre vivente, durevole, immobile. E’ l’infanzia perduta e reimmaginata.

“È dentro noi un fanciullino (…) Egli è quello, dunque, che ha paura al buio, perché al buio vede o crede di vedere; quello che alla luce sogna o sembra sognare, ricordando cose non vedute mai; quello che parla alle bestie, agli alberi, ai sassi, alle nuvole, alle stelle: che popola l’ombra di fantasmi e il cielo di dei” Il fanciullino, Giovanni Pascoli.

Il fanciullino raccoglie dentro di noi quelle che sono le condizioni felici, tra buio, ombra e luci, per fantasticare e parlare, in solitudine, al mondo intero.

Per sognare bene, occorre far sognare il fanciullino che è in noi, bisogna andare al di là del tempo dell’infanzia febbrile, agitata, malvissuta, per trovare il tempo tranquillo, il tempo dell’infanzia felice, dell’infanzia senza turbolenze. E’ questo un tempo irreale che non si consuma, è eterno. Resiste immobile ai cambiamenti di vita, richiesti dal tempo che scorre e consuma, quando, col passaggio all’adolescenza agitata, proviamo quel sentimento di perdita, quando “quel sentimento d’eternità che porta con sé la prima infanzia era sparito” Chef-lieu, Jean Fontain

L’immaginazione poetica sognante è mossa dall’aspirazione a risalire la corrente: a ritrovare il grande lago delle acque tranquille, calme e dormienti, in cui il tempo si riposa dallo scorrere. I poeti ci dimostrano che questo lago è in noi, come un’acqua primitiva, in cui un’infanzia immobile ed eterna continua a vivere e a riposare. Un’infanzia che è un’acqua umana, un’acqua dove si prepara un concentrarsi e un ripetersi di nascite.

Una notte dei tempi è in noi.

I poeti ci fanno superare la “nostra” infanzia, raccontataci dagli altri, ci chiamano verso questa regione che appartiene ad un fantasticare tenero, tendente ad un’infanzia prima, all’infanzia del mondo e dell’umanità, nella quale si danno, ancora prima dell’essere, ai margini della vita, forze nascenti, emergenze dell’umano.

E’ da questa emergenza che nascono parole e immagini nuove, l’entusiasmo del linguaggio e dell’immaginazione.

Baudelaire in Paradisi artificiali dice: “di infanzie ne ho tante, tanto che mi perderei a contemplarle”.

Quante esistenze abbiamo cominciato! Quante sorgenti perdute, che invece hanno continuato a scorrere! Allora, reimmaginando il nostro passato, con un’immaginazione benefica, rimettiamo in vita delle vite che non sono state vissute, delle vite che sono state immaginate. Queste nuove nascite sono le parole e le immagini poetiche che appartengono all’essere che si stupisce, all’essere che realizza lo stupore di esistere; così, con un’ingenuità ritrovata, riprendiamo contatto con delle possibilità che il destino non ha saputo cogliere.

E’ attraverso le immagini poetiche viventi dell’infanzia che un passato morto può avere un avvenire, un passato che guardiamo con un sorridente rimpianto, in una felice sintesi di rimpianto e consolazione.

Le immagini poetiche ci aiutano a diventare un essere contemplativo, come il bambino permanente che è in noi! Ma attenzione, per entrare nel mondo favoloso bisogna essere seri, come un bambino che fantastica. La favola, prima di divertire, incanta, e noi abbiamo perso il linguaggio che incanta. Le favole che raccontiamo servono a divertire solo il nonno che le racconta. E’ nel proprio fantasticare che il bambino trova le sue favole, favole vissute in totale solitudine. Il bambino fantasticando vive le proprie favole. E allora solo il bambino permanente può restituirci al mondo delle favole, dove riposiamo bene. Per risvegliare questo bambino, occorrono le immagini nuove che ci offre il poeta, davanti alle quali l’ingenuità dello stupore è del tutto naturale.

Questo fantasticare sull’infanzia è sì un grande riposo benefico, ma un riposo che richiede libertà di sognare. Occorre allora seguire il poeta nel regno delle immagini libere, per sognare liberamente. Queste immagini non appartengono al romanzo familiare a cui si dedica la psicoanalisi. Vanno rivissuti tutti i nostri sogni infantili, al di là dei complessi familiari. Le nostre prime fantasie vanno riprese per porci sul loro pieno slancio, per ritrovare gli universi della felicità semplice. In questo, facciamoci aiutare dai poeti. Con i poeti si risveglia in noi non la “nostra”, ma l’infanzia che si è sognato di avere da bambini, e che non si è vissuta, uno stato di nuova infanzia, un’infanzia che va più lontano dei ricordi, come se il poeta ci facesse continuare un’infanzia che non è finita bene, e che, nonostante ciò, era la “nostra” infanzia, e che in diverse riprese, abbiamo senza dubbio sognato. L’infanzia che ci fanno ritrovare i poeti è un vero archetipo, l’archetipo della felicità semplice. Sanno che è certamente in noi una immagine, un centro di attrazione delle immagini felici, che respinge le esperienze infelici. E sanno che questa immagine non è del tutto nostra, ha radici più profonde, che non i nostri semplici ricordi. La nostra infanzia, immaginata e ritrovata, testimonia l’infanzia dell’uomo, un principio di vita profonda e sempre disposta alle possibilità di nuovi ricominciamenti.

E’ la felicità che tutti conoscono, che tutti vogliono e che nessuno non vuole. Vi fu un tempo in cui eravamo felici, felici in speranza o felici di fatto. La felicità la conserviamo al fondo della memoria.

La felicità e l’infanzia liberata sono un archetipo, sono ciò che lega l’uomo al mondo, in un accordo poetico dell’uomo con l’universo. E i poeti, traendo le loro immagini dagli archetipi, rivivificano l’energia psichica riconosciuta da Jung ad ogni archetipo. L’archetipo infanzia, come ci ha dimostrato Bachelard, ha la prerogativa di mettere in accordo e di ricaricare tutti gli archetipi fondamentali, il fuoco, l’acqua, la terra, la luce, in quanto riserve di entusiasmo che ci aiutano a credere al mondo, ad amare il mondo, a creare il nostro mondo. L’acqua, il fuoco, l’albero li amiamo dall’infanzia. Tutte queste bellezze del mondo quando le amiamo ora, nel canto dei poeti, le amiamo, non nei ricordi, ma in un’infanzia ritrovata, in un’infanzia rianimata, a partire dall’infanzia che è latente in ciascuno di noi.

Da dove viene questa festa di parole! Acqua, luce, sole, silenzio, parole:

Ecco il fanciullo acquatico e felice.
Ecco il fanciullo gravido di luce
più limpido del verso che lo dice.
Dolce stagione di silenzio e sole
e questa festa di parole in me.

Il vegetale, Sandro Penna

Prendendo coscienza dell’archetipo dell’infanzia, insieme agli altri archetipi fondamentali, la poesia ci invita al mondo, ci fa ripensare al bambino che siamo stati, dopo aver appreso ogni storia familiare, dopo aver superato la tensione dei rimpianti, dopo aver disperso tutti i miraggi della nostalgia, per farci raggiungere un’infanzia anonima, puro focolaio di vita, vita prima, prima vita umana.

Per ritrovare questa vita che è in noi, siamo sollecitati a sognare in profondità e in sintonia con il poeta.

Infine, l’invito a fantasticare sull’infanzia è l’invito ad uno stato d’animo che ci aiuta a mettere in riposo il nostro essere, in un riposo attivo. E’ l’infanzia creativa, vitale e senza turbolenze. Gli avvenimenti ostili, gli atti di collera, l’essere stati un bambino difficile sono ora psicologicamente disarmati dalle immagini poetiche. Il fantasticare sull’infanzia non può essere aspro, ci deve dare la pace. Siamo lontani dall’immagine della giovinezza che ci offre Umberto Saba:

La giovinezza è un mare
tempestoso, mai pace
la tua barca trova.

Le quattro stagioni, Umberto Saba

E’ quando la città si rivela “nido difficile” per l’antica giovinezza:

Ho vissuto
nelle città più dolci della terra
come una rondine passeggera.
Lucca era
un nido difficile tra le vigne
impolverate, in fondo a bianche strade,
donde sarebbe traboccata
con ali troppo folli
pe’ tuoi cieli molli, Toscana,
antica giovinezza.

Pescia – Lucca, Piero Bigongiari

Quale migliore immagine per l’antica giovinezza! dalle ali troppo folli traboccante dal difficile nido polveroso.

Al bambino è più facile trovare il suo nido, e quando il bambino fantasticava nella sua solitudine, non era in città, esplorava una conoscenza senza limiti, e il suo fantasticare non era semplicemente evasione, era una fantasia e un desiderio di volare.