Felice volare

 

Felice volare

Le ali impalpabili sono quelle che volano più lontano

La città morta, Gabriele D’Annunzio

Ci sono stimoli fisici che possono essere tali da non permettere il sonno. Il sognare notturno richiede infatti che siano soddisfatte delle condizioni ambientali e sensoriali prioritarie: per dormire occorre almeno non parlare più, non vedere più. La notte e il silenzio sono entrambi custodi del sonno. Dormire è lasciarsi andare ad una vita elementare, rinunciare alla gioia di parlare, all’entusiasmo linguistico.

Un’immagine donata dal poeta che ci aiuta ad addormentarci e a sognare bene:

Faccio un sogno
sono sepolto
sotto le foglie autunnali
e il mio corpo germoglia.
Un lupo in agguato, Abbas Kiarostami

Spesso accade, con i poeti, che le immagini ci sorprendono, creando prodigi di parole e immagini nuove: il corpo germoglia sotto le foglie autunnali. Con le immagini poetiche spesso non ci è dato di addormentarci, ci tengono svegli anche da sepolti. Perché ci prenda sonno, dobbiamo mettere i versi e le immagini in prosa.

Eppure, anche per passare all’immagine di un dolce addormentarsi ci possono venire in aiuto i poeti (e i bimbi). Lasciamoci andare alla magia sonora di questi semplici versi:

Lenta la neve fiocca, fiocca, fiocca.
Senti: una zana dondola pian piano.
Un bimbo piange, il piccol dito in bocca;
canta una vecchia, il mento sulla mano.
La vecchia canta: – Intorno al tuo lettino
c’è rose e gigli, tutto un bel giardino.
Nel bel giardino il bimbo s’addormenta.
La neve fiocca lenta, lenta, lenta.

Orfano, Giovanni Pascoli

Per addormentarsi, un universo di immagini visive e sonore avvolge progressivamente tutt’intorno il bambino e accompagna il sonno. E’ questione di ritmo: il nostro cuore, appesantito dell’affaticamento del giorno, viene alleviato nel corso della notte con la dolcezza e con la facilità del sogno di volare. E se questo volo viene rianimato dal ritmo poetico leggero, allora è proprio ila poesia a ridarci il ritmo del nostro cuore placato ed è nella poesia che sentiamo la felicità di volare.

Pensiamo al verbo e alla parola spegnersi e alla candela, alla candela che si spegne. Da buoni sognatori ci mettiamo a meditare in compagnia della candela: la candela che va spegnendosi è un sole che muore. La candela muore più dolcemente persino del sole che muore. Lo stoppino si piega e si annerisce. La fiamma muore bene, muore addormentandosi.

Ma se lasciamo entrare i rumori del fuori, se conserviamo la luce solare, i colori minuziosi dei fiori, troppi orizzonti aperti, se vi si attardano gli spazi e le geometrie del giorno, siamo nello spazio dell’insonnia, e in sogni ed incubi strampalati.

Il problema dell’insonnia si potrebbe risolvere tacendo, evitando di pensare e di parlare del collega, del vicino, dei propri superiori, dei propri dipendenti, tornando a noi stessi, alle nostre origini, ai nostri archetipi, con l’aiuto dei poeti. Per dormire bene, abbiamo bisogno di dormire nel nostro elemento, occorre ritrovare il nostro elemento naturale fondamentale. Chiediamoci qual è il nostro elemento? In quale elemento dormiamo bene. I nostri sonni benefici sono quelli cullati dall’acqua o quelli portato dall’aria? Dall’aria in cui respiriamo, seguendo il ritmo del nostro stesso respiro. Chiediamoci se è in noi un’impronta aerea, se il vento, la luce, l’aria, l’odore di un fiore provocano in noi emozioni forti. Potremmo allora godere degli archetipi naturali: le nuvole, il vento, il fuoco, le acque dormienti, il fiume, il lago, la foresta.

Ma come fare per dormire bene? Come trovare il regno dei sogni profondi?

Immaginiamo che con l’addormentarci cali un velo, non più grande della palpebra abbassata. Abbiamo voglia di occultarci e di riposare, la palpebra abbassata appartiene alla notte e a noi stessi. Adesso i nostri occhi hanno una loro volontà di sonno ed entra in azione la nostra retina autonoma. Anche le mani vogliono rilassarsi. A un certo punto rifiutano gli oggetti, allentano la presa.

A questo punto è necessario assecondare lo spazio, le geometrie, i luoghi, alla nostra volontà di ripiegamento. Per dormire bene, infatti, bisogna cedere ad una volontà di avvolgimento, seguendola in un divenire curvo che rifugge angoli e spigoli: ogni traiettoria graziosamente ricurva è un invito ad un raccoglimento intimo. Occorre lasciarsi andare a tale ipnotismo che segue le linee graziose, la dolcezza delle spirali, in un movimento avviluppante, in uno spazio che si ripiega e ravvolge su se stesso. Si tratta in breve di farsi curva e circolarità, di assumere forme ovoidi, oblunghe o rotonde, evitando angoli e spigoli, in quanto forme che provocano, respingono piuttosto che invitare. Non stiamo proponendo un’estetica, ma lo spazio che racchiude i sogni della pace e del riposo. Occorre lasciarsi andare ad una progressiva concentrazione fino ad un centro.

Insieme al rilassamento degli occhi, anche le mani, le dita allentano la tensione, lasciano qualsiasi oggetto.

La parte della notte che ci fa rifluire verso la luce dell’aurora, che porta verso il risveglio, invece, si anima in una geometria dinamica che si gonfia e s’espande, rinasce: la dimensione ravvolta del buon sonno prende direzioni prescelte, direzioni volute e aggressive, che sono frecce appuntite, anzichè spirali avvolgenti. L’uomo, quando viene da un buon sonno, da una notte sana che rigenera, tornato rinnovato sulla soglia del nuovo giorno è preso da una volontà di irraggiamento: gli occhi, sebbene ancora socchiusi, si aprono da tutte le parti, si compiacciono di guardare avanti dritto, le mani, sebbene ancora pigramente allentate, diventano una sorgente viva di desideri, progetti, volontà di azione. Vicini al risveglio, alle soglie del nuovo giorno, lo spazio si apre ed irradia da ogni parte, si riempie di oggetti che le mani sono disposte a plasmare, gli occhi accettano la luce improvvisa e ancora intima del mattino.

Ma torniamo a sognare, seguiamo le felici e tranquillizzanti immagini dell’oscillare su e giù del sonno, come due grandi maree. Anche quando ci addormentiamo bene, la notte e il silenzio non ci sono concessi nella loro pienezza, pur in presenza del sonno più profondo; la nostra vita notturna, infatti, è un mare dove siamo cullati su e giù. Nel sonno, non viviamo mai immobili sulla terra. Cadiamo da un sonno a uno più profondo, oppure una parte di anima, dentro di noi, desidera svegliarsi, e così ci solleva. Saliamo e scendiamo continuamente. Il sonno oscilla verticalmente tra il dormire profondamente e il dormire meno profondamente. La notte e il giorno sono dentro di noi, hanno un divenire verticale oscillante. Sono atmosfere e sostanze di ineguale densità in cui il sognatore sale e scende, seguendo il peso delle sue colpe e delle sue paure, o il senso di leggerezza della sua beatitudine.

La forza di gravità non sta sul mondo, sta sulla nostra anima, sullo spirito, sul cuore: sull’uomo, nella sua globalità. Siamo in balìa delle due grandi maree che alternativamente ci trascinano verso il cuore della notte e del sonno profondo e quindi ci restituiscono alla chiarezza e all’attività del giorno. E, all’apparire del giorno, non ritroviamo che qualche frammento della nostra vita notturna. Infatti, il buon sonno possiede il suo centro, un’ora psichica, dalla quale il sonno si ritrae per poi espandersi e ristrutturarsi, pulsando senza tregua dal minuscolo all’infinito. Così noi osserviamo le diastole e le sistole dello spazio notturno verso il centro della notte.

In questo oscillare del sonno, quando dormiamo bene, nelle acque del buon sonno, c’è una realtà della notte, una realtà notturna a sé: il sogno di volare. Affaticati e appesantiti dalla vita diurna, il nostro cuore viene sollevato, con la dolcezza e la facilità del volo sognato.

Quando da svegli ci stupiamo di non saper più volare, affidiamoci ai sandali leggeri dalle ali dolci e soavi: siamo noi stessi così leggeri, aerei, dolci e soavi. Ecco, sentiamo dentro di noi l’impulso facile e naturale di spiccare il volo, fremiamo per il non poter volare. Non ci ispira allora il volo planato, presi dalla visione delle bellezze del mondo sorvolato.

Il sogno di volare e l’esperienza notturna di volare con tanta facilità appartengono ad una realtà autonoma della notte che lascia tracce profonde durante la veglia, e sono impressioni felici, e non le angosce dei sogni labirintici. Le impressioni provocate dal volo sognato permangono durante il fantasticare della veglia, lasciano dentro di noi il ricordo di una capacità di volare, con tanta facilità, che ci stupisce di non volare di giorno. E quando un’impressione felice di leggerezza arriva nell’anima, arriva al corpo e il sogno chiede di essere cantato.

Nessuno più dei poeti vive nella veglia queste tracce del sogno di volare, di questa condizione deliziosa, della capacità di volare con tanta facilità, vivendo fino in fondo la dinamica del volo leggero e del volo pesante.

Penso che un sogno così non ritorni mai più
mi dipingevo le mani e la faccia di blu
poi d’improvviso venivo dal vento rapito
e incominciavo a volare nel cielo infinito

Nel blu dipinto di blu, Domenico Modugno

Cantare e il mondo immaginoso sono di per se stessi grandiosi, ma con Modugno scopriamo, oltre alle belle immagini, qualcosa di dinamico, scopriamo che il canto è volo, che una canzone può essere una sintesi pura di un volo e di un canto. Il canto allora canta naturalmente quel sogno e quella volontà di volare sempre più su e di infinito, che ritornerà sempre nell’uomo, al di là di quello che pensiamo. C’è da dire che forse, in quest’ultimo secolo, nessuno più di Modugno ha saputo farci cantare l’archetipo di volare, spinti dal desiderio di raggiungere il cielo e l’infinito, sotto il segno del maschile. Nella canzone, volare è un voler volare, è una volontà verticalizzante, è un impulso a lasciarsi rapire nell’altrove che è al disopra, è la voglia di altezza e di cielo, di infinito. Il dipingersi le mani e la faccia di blu è un’iniziazione a diventare cielo. Siamo rapiti da un vettore che s’innalza dritto in cielo, cantiamo un inno che sale, sale e riempie tutto il cielo. Partecipiamo ad una vita aerea nella quale volare è un po’ nuotare. Non siamo in balia di una forza graziosa che ci prende dolcemente come quando facciamo esperienza di una natura aerea, di una leggerezza sostanziale, di una leggerezza di tutti noi stessi, per la quale basta un nulla per balzare e liberarsi nell’aria. Non è l’anima che sogna, canta e si espande, è piuttosto l’animus che vuole e vola via. Modugno è canto e movimento verticale verso l’alto, sembra preso da prodezze sportive, ma attenzione non si tratta di conquistare delle vette reali, il sogno va più in alto, il sogno ci proietta in un al di là e in un altrove.

Non c’è lo spazio leggero, orizzontale e fiducioso del femminile, per cui si è cullati e portati dall’aria, leggeri come una foglia al vento. Con Modugno siamo nel dominio totale della verticalità, e allora volare non è planare e guardare, è salire, salire sempre più su, conquistare l’altezza all’infinito, mentre il mondo, l’al di sotto, scompare. Volare allora è penetrare nel blu dipinto blu, spinti da questa forza tutta verticale, così lo stesso canto non può distendersi su parole al femminile, procede per sbalzi, impulsi, oh oh, rimbalza sulle “u”. Sono suoni tonificanti nel senso dell’altezza. Sentiamo lo slancio poetico e il grido “involati con me”.

Quella di Modugno è un’ascesa dritta, il canto è un buttarsi in alto, liberi come l’aria, diventando sostanza di libertà. Con Volare sentiamo di vincere i pesi della terra, ci sentiamo potenti come il vento, non abbiamo paura dell’abisso. Sono sensazioni così concrete, così utili, così preziose, così energizzanti, che spetta al poeta cantante insegnarci a inserire queste impressioni nella nostra anima, a dare corpo ad impressioni troppo spesso trascurate. Sì, Modugno ci fa cantare, saltare, volare, oh oh, felici e potenti, sempre più in alto, nel blu dipinto di blu. Lasciamoci rapire dall’impulso della voce di Modugno, tuffiamoci felici ed energetici nell’abisso del cielo e degli occhi tuoi blu. Cantiamo …

Volare oh, oh
cantare oh, oh, oh
nel blu dipinto di blu
felice di stare lassù
e volavo, volavo felice più in alto del sole
ed ancora più su
mentre il mondo pian piano spariva lontano laggiù
una musica dolce suonava soltanto per me

Continua a prevalere la verticalità penetrante, il sogno continua ad essere maschile, non cantiamo che vocali chiuse, solo per poco ci è dato di lasciarci andare a lente sonorità, ad un canto dolce e avvolgente: con l’ultimo verso, Modugno ci fa finalmente planare, accompagnati da una musica dolce che suona solo per noi, mentre guardiamo il mondo pian piano sparire lontano laggiù.

Ma, con le strofe successive, non resta che riprendere il canto vigoroso e saltare quaggiù. Continuiamo a volare e a cantare dietro l’impulso tutto verticale e maschile della voce di Modugno, per poi ribaltare il sognare e il cielo negli occhi suoi blu, fino a dissolversi nella musica e nella sua voce che canta per noi.

Volare oh, oh
cantare oh, oh, oh
nel blu dipinto di blu
felice di stare lassù
ma tutti i sogni nell’alba svaniscon perché
quando tramonta la luna li porta con sé
ma io continuo a sognare negli occhi tuoi belli
che sono blu come un cielo trapunto di stelle

Volare oh, oh
cantare oh, oh, oh
nel blu degli occhi tuoi blu
felice di stare quaggiù
e continuo a volare felice più in alto del sole
ed ancora più su
mentre il mondo pian piano scompare negli occhi tuoi blu
la tua voce è una musica dolce che suona per me

Volare oh, oh
cantare oh, oh, oh
nel blu degli occhi tuoi blu
felice di stare quaggiù
nel blu degli occhi tuoi blu
felice di stare quaggiù
con te

Volare vive della gioia aerea, del desiderio e dell’impressione di libertà, di libertà aerea che canta, illumina, vola. Il cantare è così leggero e così libero che allevia dal terrestre peso, il volo è la libertà del mondo. La freccia umana, dopo aver visto dal di sopra, oltre e al di là, nel cielo, non vive solo dello slancio, vive anche il suo bersaglio, torna sulla terra a vivere il suo cielo, negli occhi suoi blu, felice di stare quaggiù. Modugno ci rende liberi con la potenza dell’immaginazione e del canto.

Ma il sogno di volare a volte è animato da una forza graziosa: ci sono piccole ali che cantano:

“Alzatevi piccole ali lucenti e cantate la vostra gioia infantile! Alzatevi e bevete la vostra beatitudine, perché tutto ciò che vive è sacro”, Libri profetici, W. Blake.

Spingendo ancora di più la volontà di leggerezza e di volo, Nietzsche ci invita ad essere aerei e a liberarci del peso delle parole, cantando:

“Slanciati e vola: in giro, in avanti, all’indietro, tu che sei lieve! Canta! Non parlare più! Non sono le parole, tutte, fatte per i grevi? Non mentono tutte le parole per chi è lieve! Canta! Non parlare più!” Così parlò Zarathustra.

Il canto forse è animato da quell’istinto di leggerezza che fa liberare nell’aria le parole e la voce. Ma il desiderio di liberarsi in volo è per espandersi, per ampliare la visione.

Deh l’ali avessi anch’io,
qual tu, da girne a volo,
librando in aria il mio terrestre peso:
ch’appagherei il desio
quasi ad un guardo solo,
di tutto quel ch’a gli occhi or m’è conteso.

A un uccellino, Celio Magno

Sogniamo di aver le ali per andare in volo, è una situazione che permette di scoprire, di aprirsi a mondi nuovi, senza per questo perdere in intimità. Le ali del sogno possono essere portatrici di immagini di intimità cosmica, rendono possibili confessioni cosmiche, aprono l’immaginario a possibili mondi felici, liberati dai pesi terrestri.

Forse s’avess’io l’ale
da volar su le nubi,
e noverar le stelle ad una ad una,
o come il tuono errar di giogo in giogo,
più felice sarei, dolce mia greggia,
più felice sarei, candida luna.

Canto notturno di un pastore errante nell’Asia, Giacomo Leopardi

La felicità del volo al di sopra delle nubi può farci sentire tutto più dolce e felice.

In ogni caso, le immagini di leggerezza ci fanno bene perché alimentano la funzione di irrealtà, portano ad elevare le immagini a livello cosmico, ed ogni volta che ciò accade, siffatte immagini ci donano una coscienza felice, e una liberazione dalla funzione di realtà, dall’universo reale, dal mondo che ci circonda, ci stringe, ci opprime. Infatti, mentre la funzione di irrealtà dinamizza le forze psichiche, la funzione di realtà è una funzione di blocco, di inibizione, una funzione che riduce le immagini e le parole ad un mero valore di segno che sta per un contenuto.

Voliamo un volo felice, un volo che dà la sensazione di purezza, di giovinezza, di leggerezza, di vivacità. Lasciamoci portare dal volo che è in noi, senza sforzo e senza ali, come una nuvola è portata dal vento. Voliamo con il bambino che è in noi. Il bambino sa volare, sa meglio fondere il sogno e il fantasticare, quando fantastica nella sua solitudine, conosce un’esistenza senza limiti, e il suo fantasticare, non è semplicemente un sogno di evasione, è un immaginario e un’esperienza di volo.

Quanto è bello volare! Ma anche il nostro volare nel sogno, ancor prima di offrirci belle immagini, è una esperienza, è la presa di coscienza di un’illusione: avere la meravigliosa proprietà di sostenersi e librarsi nell’aria. Quando ci fermiamo a pensare a cosa ci fa volare nel sogno, riconosciamo l’impressione dominante di possedere una leggerezza sostanziale, una leggerezza di tutto l’essere, una leggerezza in sé, la cui causa è sconosciuta al sognatore. Abbiamo l’illusione di aver trovato il segreto per affrancarsi dalle leggi del peso, per meglio fantasticare, senza uno scopo. L’esperienza onirica del volo non ha una meta, è sorretta da un istinto di leggerezza, che spinge a viaggiare, al viaggiare in sé.

“A volte, con gli occhi chiusi, sdraiata sull’erba o sul suo letto, tentava di liberarsi del suo peso. Si esce dal proprio corpo in ciò che c’è di irriducibile al leggero pellegrinaggio. Ci si colloca, con forza, nell’aria, al di sopra della propria pelle – e, tuttavia, questa pelle, vostra carne, la portate con voi, ma disossata, svelenita. Una notte, anche, credette di uscire” Carnage, Jacques Audiberti.

Sono immagini che invitano ad uscire da sé. Sono immagini originarie della leggerezza, che vivono della dinamica pesantezza/leggerezza, dove la leggerezza è un valore, l’ambizione istintiva che tutti gli uomini hanno di elevarsi, mentre la pesantezza appartiene all’inerzia del mondo.

Alleggeriamoci, voliamo scivoliamo via dolcemente dalla nostra vita, nell’aria e nella voce di Gianna Nannini, cresciamo in leggerezza, alleggeriamo il mondo.

Aria com’è dolce nell’aria
scivolare via dalla vita mia
aria respirami il silenzio
non mi dire addio ma solleva il mondo
aria abbracciami
volerò

Aria ritornerò nell’aria
che mi porta via dalla vita mia
aria mi lascerò nell’aria
aria com’è dolce nell’aria
scivolare via dalla vita mia
aria mi lascerò nell’aria.

Gianna Nannini

Non sempre questo lasciarsi portare dall’aria e perdersi nell’aria è accompagnato dalla volontà di abbandono, di lasciarsi scivolar via la propria vita. Questa leggerezza può venire da sé e sorprenderci, spesso provoca meraviglia nel sognatore, come se ricevesse un dono inaspettato.

E’ la meraviglia di Nietzsche di fronte al volo planato, al volo del riposo, senza sforzi di volontà:

Oh prodigio! Vola ancora?
S’innalza mentre le ali sue ristanno?
Cosa lo porta dunque e lo solleva?
Cos’è meta per lui, e impulso e freno?
(…)
in alto un pungolo eterno mi incalza.

La gaia scienza, F. Nietzsche

Partecipiamo a questa ingenuità, a questa capacità di stupirci.

Ci sono sognatori che invece del pungolo incalzante a volare sempre più in alto scoprono in sé un leggero impulso, facile, semplice, tale che, con un leggero colpo di tallone contro la terra, possono liberarsi del loro peso. In questo caso la molla è in noi. Scopriamo che vi è una forza tutta dentro di noi, la percepiamo nettamente e l’assecondiamo senza preoccuparci del ritorno verso la terra, perché non è una caduta: abbiamo infatti la certezza dell’elasticità. Alziamo la fronte come per prendere il volo. Buttiamo al vento i capelli, al vento la propria corsa. Sganciamoci da terra, prendiamo lo slancio, come uccelli pronti a prendere il volo. Affidiamoci alla certezza di cui vive il sogno del volo, nonostante l’esperienza della caduta e la paura di non trovare appoggi siano primarie e si trovino nelle viscere dell’immaginazione dinamica umana. D’altronde il sogno di volare non ha forse la funzione proprio di vincere questa paura? E la felicità che provoca il volo leggero non ha a che fare con il sollievo derivante da una paura che si è trasformata in gioia?

Non abbiate paura di cadere! Risvegliate in voi la natura aerea, l’essere delle piccole ali e scoprirete come una paura possa trasformarsi in gioia. Non sapevi che la gioia appartiene allo spavento? In uno spavento in cui si ha fiducia?

Tutto sta nel diventare aerei. Carmelo Bene, in Nostra Signora dei turchi, ci tiene a distinguere “chi è volo” e in quanto tale, piuttosto che vedere la Madonna, appare alla Madonna: “I cretini che vedono la Madonna hanno ali improvvise, sanno anche volare e riposare a terra come una piuma. I cretini che la Madonna non la vedono, non hanno le ali, negati al volo eppure volano lo stesso, e invece di posare ricadono come se un tale, avendo i piombi alle caviglie e volendo disfarsene, decida di tagliarsi i piedi e si trascini verso la salvezza, tra lo scherno dei guardiani, fidenti a ragione dell’emorragia imminente che lo fermerà. Ma quelli che vedono non vedono quello che vedono, quelli che volano sono essi stessi il volo. Chi vola non si sa. Un siffatto miracolo li annienta: più che vedere la Madonna, sono loro la Madonna che vedono (…) I cretini che vedono, vedono in una visione se stessi, con le varianti che la fede apporta: se vermi, si rivedono farfalle, se pozzanghere nuvole, se mare cielo (…) I cretini che non hanno visto la Madonna, hanno orrore di sé, cercano altrove, nel prossimo, nelle donne – in convenevoli del quotidiano fatti preghiere – e questo porta a miriadi di altari”.

La questione allora non è volare o avere apparizioni della Madonna, ma diventare ed essere volo, e apparire alla Madonna, appunto come nel sogno di volare, quando si vola in cielo senza aver bisogno di ali.

Diventare volo non è solo liberarsi dai pesi, non appartiene semplicemente ad un’immaginazione primaria e dinamica che cerca di liberarsi della forza di gravità. E’ piuttosto un impulso concreto verso l’alto, una forza di elevazione psichica e di liberazione. E’ volare laddove non è segnato alcun percorso. Certo, una legge della fisica strettamente umana è dentro di noi, è un destino da vincere, ma non rimovendo i pesi, bensì divenendo aerei. E’ per questo che il sognatore dal temperamento aereo, nel sognare, se ha esperienza delle sue conquiste contro la gravità non è attraverso una lotta, non ha strumenti o ali per vincere. La sua è una leggerezza ed una forza sostanziali, lui stesso è aereo, è volo. Il volo onirico infatti non conosce dramma né la tragedia, è un fenomeno di felicità dormiente. In sogno, ci dimentichiamo di essere legati alla terra e voliamo solo quando si è “in grazia”. Forse per questo, nessun volo sognato si conclude con una caduta verticale.

Si cade invece nei baratri, negli abissi senza luce, da terra, e senza la speranza di poterne risalire. Durante il sonno infatti si può avere la percezione del pericolo dello svenimento, del venir meno, di avere un mancamento, di questa caduta essenziale, senza sforzarsi di riprendersi, rinascere e risalire. E ciò perché la realtà della caduta immaginaria è una realtà psichica, va cercata nel peso della sofferenza del nostro essere, mentre nel sogno di volare è il trionfo della felice leggerezza dell’essere. E’ lo spirito della gravità che rende il destino della caduta ineluttabile: nel momento stesso in cui ci lanciamo in aria, sappiamo che ogni pietra lanciata in aria deve ricadere. Ma nel sogno di volare, vivendo bene il legame tra caduta e volo, possiamo scoprire come una paura possa trasformarsi in gioia.

Tutti cadiamo. Cade questa mano,
e così ogni altra mano che tu vedi.

Ma tutte queste cose che cadono, qualcuno
con dolcezza infinita le tiene nella mano.

Autunno, R.M.Rainer Maria Rilke

Che conforto, che fiducia infinita ci danno questi versi!

A fronte della forza di gravità terrestre, c’è una legge universale: la forza dell’immaginazione è diretta verso l’alto, segue la traccia di un istinto di volare che sopravvive nella luce del giorno e si annida nella nostra vita notturna. E’ la traccia di un istinto di leggerezza, ovvero di uno degli istinti più profondi nella vita. Siamo infelici quando sogniamo la pesantezza! Infelice è colui il cui sogno è popolato di abissi!

Volete ritrovare la calma? Respirate dolcemente davanti ad una fiamma leggera, pacatamente al lavoro per donarci la sua luce.

I poeti, e i santi, ci fanno provare che la leggerezza è sostanziale, è una leggerezza in sé, della quale non cerchiamo le cause, ci basta fare l’esperienza di volare nelle immagini poetiche per scoprire che siamo aerei. E che la leggerezza del sogno di volare sia sostanziale, e non funzionale, lo dimostra il fenomeno che in nessuna delle esperienze della notte portiamo le ali, né siamo portati, cullati dall’aria, nelle gioie della cullata, in un’ebbrezza della passività. Quest’esperienza afferma il seguente principio di causalità sostanziale: non si vola perché si hanno le ali o perché si è portati da una navicella nel cielo, si vola perché si pensa di essere delle ali, per il fatto stesso di aver volato, ed è forse per questo che questa convinzione lascia i suoi effetti anche da svegli, tanto che ci viene da tentare il volo. Ci fa bene ricercare, attraverso le nostre esperienze notturne, il volo dinamico puro, l’impressione di una leggerezza sostanziale, senza mezzi, che non ha bisogno di ali, di una leggerezza di tutto se stessi, per cui sentiamo di essere la sostanza del volo e della leggerezza liberata dal peso terrestre.

E attenzione, se si è volo, aerei, l’esperienza di leggerezza e del volo avuta nel sonno appartiene alla vita diurna.

Immaginiamo l’emozione sostanziale di Gabriele D’Annunzio quando, immerso nella sinfonia di una campagna in fermento, dice: “Ero una forza ascendente e molteplice, una sostanza rinnovellata per alimentare la divinità futura”. La contemplazione della morte, G. D’Annunzio.

L’unica immagine delle ali che può essere in sintonia con l’esperienza dinamica primitiva del volare nel sogno è quella dell’ala attaccata al tallone: sono le ali di Mercurio, le ali del volo umano.

Nell’uomo che sogna, le forze che fanno volare sono soltanto nei piedi, nei talloni.

Serviamoci di questa immagine intima e cosmica di Rainer Maria Rilke, sulle ali di Mercurio.

Attraverso i nostri cuori, che teniamo aperti,
passa il dio, con le ali ai piedi.

Queste alette possiedono un’intimità leggera e così profonda che mettono dentro di noi, insieme, il salto, il volo e il cielo. Nell’intimità del nostro essere, sentiamo realizzarsi tutto un universo volante.

Immaginiamo, fiduciosi, di lasciarci cadere e di balzare sul suolo e che il suolo reagisca e ci lanci in aria; la molla che ci fa balzare è nella terra, ci basta toccare il suolo con le sole dita dei piedi. Con il secondo e con il terzo salto arriviamo sempre più in alto. Siamo euforici dei balzi e ci guardiamo bene dal volare.

Proviamo l’estrema dolcezza di questo ricordo.

“La strada era larga, mattinalmente vuota; era un viale che scendeva, che si incurvava, quanto basta a togliere al passo di un fanciullo la sua già scarsa pesantezza. Ed ella andava come se avesse avuto ai piedi delle piccole ali. Mi ricordavo …”

Frammenti in prosa, Rainer Maria Rilke

Affidiamoci a questa certezza di felicità per uno stato aereo, dove tutto dentro di noi è leggero; è un’esperienza di benessere psichico nella quale tutto ci innalza, tutto ci solleva, anche quando scendiamo. Basta proporre l’immagine di un minimo pendio, di una strada che scende un po’ e si incurva con grazia, per far crescere le alette ai piedi.

Fa bene allo spirito e al corpo essere così leggeri e in elevazione: percorrendo, con i poeti, in sogno, i dolci pendii, si ha la prova di come ci siano sogni che favoriscono il riposo, sogni portatori dell’infanzia, della leggerezza e della forza fiduciosa che ci consentirà di abbandonare la terra, che ci farà salire naturalmente verso il cielo, insieme col vento, con un soffio, in un volo planato, nel volo del riposo, trasportati da un’ineffabile felicità.

C’è un’immagine tra il salto e il volo che ci lascia sospesi: un’antilope, nell’impulso della propria corsa, salta e rimane sospesa nell’aria come in una ripresa in rallenty. E’ un’elevazione ed una sospensione che possiamo vivere come l’immagine di un lieve passaggio di stato, da un fluido acquatico ad un fluido aereo: siamo sulla barca del sogno che ondeggia sulle acque. Siamo immersi in una felicità cullata senza limite. La barca si muove lentamente dall’acqua verso il cielo. Siamo portati dall’aria e cullati da braccia materne. Viviamo una cullata serena.

In alcune fantasie e condizioni diurne, a chi si sente aereo piace lanciarsi nell’aria, sente la felicità di volare, in ogni ora del giorno. Il benessere del sogno notturno di leggerezza rimane. Il fantasticare riprende l‘ambizione dell’essere aereo, formatosi nella notte. Chiediamo ai poeti di inserire queste impressioni di leggerezza nella nostra vita, solo loro sanno il valore di queste esperienze, troppo spesso ignorate, eppure così concrete, così benefiche, così preziose, così umane. Non finiremo di ripetere, con Nietzsche, che la leggerezza è un valore, tanto che tutto ciò che è leggero è buono e che tutto ciò che è divino si eleva da terra su piedi delicati

Proponiamo al lettore di riportare alla luce del giorno le sue esperienze del sogno di volare. Allora, e solo allora, riconoscerà una leggerezza sostanziale vera, una leggerezza di tutto l’essere, in un impulso facile, semplice: basta un colpo di piede contro terra per balzare o liberarsi in volo. Basta lasciarsi andare nel vento lieto:

Come allodola ondosa
nel vento lieto dei giovani prati,
le braccia ti sanno leggera, vieni.

Dove la luce, Giuseppe Ungaretti

Per dormire bene, serviamoci delle immagini poetiche sull’involarsi, sul volo, sull’alleggerimento, sono tutte esperienze psicologiche positive e riposanti. Scacciamo le ombre dalla fronte, scacciamo ciò che oscura il pensiero, scacciamo i pensieri come cenere, e poi come fumo. Alziamo la fronte come per prendere il volo, allora apparirà l’aureola che circonda coloro che salgono, salgono. E salendo sempre più su, l’orizzonte diventa più ampio, più luminoso. L’orizzonte diventa l’immensa aureola della terra contemplata dall’essere che si eleva.

Spesso abbiamo potuto constatare che quando un’impressione felice di leggerezza arriva nell’anima, arriva anche al corpo, e allora la vita tutta si nutre di immagini salutari. Perché la notte sia riposante, ci si deve sentire alleggeriti, liberati. Non è questione di buona o cattiva digestione, ma di buona o cattiva immaginazione.

Addormentiamoci così in alto da sognare con ogni soffio dell’aria, con i monti imponenti e le distese del mare, attraversare senza fine il sonno della terra e dell’oceano. La terra e l’oceano sembrano dormire l’uno nelle braccia dell’altro, sognando onde, fiori, nuvole, colline, rocce, che sorridono. Siamo nell’immensità cullata. Il mondo è per noi una culla immensa, una culla cosmica, da cui si dipartono senza tregua i sogni. E’ un sognare che può darsi soltanto partecipando ad un sollevamento, ad un’ascensione, abbandonando la terra verso il cielo.

Ma occorre prima volare di giorno. Poi si conoscerà la terra. E chi vuole imparare un giorno a volare, deve prima di tutto imparare a stare, e ad andare e camminare e ad arrampicarsi e danzare. Il volo non è una tecnica da imparare, è piuttosto una sostanza da trasformare, con l’aiuto delle immagini poetiche: il nostro essere da terreno deve diventare aereo. Soltanto a seguito di questa trasformazione, tutta la terra diventerà leggera, e la stessa terra dentro di noi diventerà leggera. Soltanto così, direbbe Carmelo Bene, potremo “apparire alla Madonna” e tornare sulla terra.

Le immagini terapeutiche che pensiamo allora devono essere aeree, ascensionali, campioni di leggerezza, proprio perché possiedono la leggerezza aerea, volano e misurano i pesi del mondo. Queste immagini ti chiederanno: perché non voli? qual è il peso che ti impedisce di volare, insieme a me, sulle mie ali? non aspettarti che di farò sentire il tuo peso, ti dirò invece la tua capacità di avvenire aereo. Ti farò prendere coscienza della leggerezza alata, della vita leggera dell’essere aereo, perché “colui che un giorno insegnerà il volo agli uomini avrà spostato tutte le pietre di confine; esse tutte voleranno in aria per lui, ed egli darà un nuovo nome alla terra, battezzandola – la leggera” Così parlò Zarathustra, F. Nietzsche.

Oppure sentiamoci una cosa leggera e vagante, immaginando appunto le altre cose leggere e vaganti: la schiuma che biancheggia sulle onde, la scia che esce azzurra dai tetti e che il vento disperde, le nubi che si fanno e disfanno in un chiaro cielo.

Planiamo in un cielo lontano, dolce e grande. Un suono leggero arriva dall’estremità del silenzio. Si sentono i dolci passi del vento immobile che si trasformano in sussurri di amore, in cui i gigli hanno voci talmente suadenti da diffondere l’amore nell’intero universo.

Nel desiderio di diffondere questo amore, partecipiamo alla natura dei fiori, elevandoci in un processo graduale. Dalla radice si libera sempre più leggero il ramo verde; dal ramo spuntano le foglie più aeree, infine il fiore esala i suoi spiriti odorosi. Nutriamoci dei frutti dei fiori, i vostri corpi potranno alla lunga diventare completamente spirito e involarsi su delle ali, come succede agli Angeli.

Immaginiamo le ali degli Angeli, testimoniano la libertà dalle leggi del mero terreno e la libertà spirituale, e anche l’uomo, secondo Dante, se sa non volgersi con le ali in giù, potrà, ad immagine dell’Angelo, liberamente muoversi, volare ed aderire alla sua patria, al Principio cui è spiritualmente diretto, e come l’Angelo potrà fare finalmente ciò che gli piace “lo tuo piacere ormai prendi per duce” (Purgatorio).