Fiumi che scorrono verso l’acqua dormiente

 

Fiumi che scorrono verso l’acqua dormiente

Il riposo al femminile può essere evocato anche dall’acqua che scorre, dal fiume.

Vediamo a questo riguardo l’immagine e l’idea del fiume che ci offre Holderlin, nell’ode Heidelberg:

Come mandato dagli dei, una volta m’avvinse un incanto
sopra quel ponte, mentre l’attraversavo,
e di laggiù nello sfondo dei monti
malioso m’appariva lontano

E il giovane fiume fuggiva, ilare e fosco, alla piana
come il cuore che oppresso dalla sua troppa bellezza,
per trapassare amando
nei flutti del tempo si scaglia.

Sorgenti avevi, avevi al fuggitivo
fresche ombre donato e lo seguivan le rive
tutte con lo sguardo, ne tremava
sulle onde l’immagine amabile.

Ma sulla valle cadeva a piombo il titanico
castello, provato dal fato, ai fondamenti
arato dalle folgori;
pur versava l’eterno sole

Ringiovanente luce sul decrepito
gigante e la virente edera i cespi;
amorose boscaglie
crosciavano giù sulla rocca,
e arbusti in fiore fino alla valle serena
dove appoggiate al colle o inclini alla riva
le tue stradette gaie
in un profumo di giardini dormono.

Partecipiamo a questa sosta felice sul ponte. Lasciamoci incatenare a guardare lontano verso l’incantesimo dei monti raggianti. Seguiamo l’animus del giovane fiume, ilare e fosco, “oppresso dalla sua propria bellezza”, scagliarsi verso la pianura, invano trattenuto dalle fresche ombre e dagli sguardi amorosi delle rive. Così appartiene all’animus la tensione dell’immagine del castello squarciato dalle folgori, dello scrosciare degli arbusti e dell’edera verdeggiante. Nell’anima della valle serena, tutto si distende e si placa, si spegne silenzioso in accordi lievissimi di profumi e di fiori. Possiamo ora riposare con le “stradette gaie in un profumo di giardini”. Con lo scorrere dell’animus nell’anima, con il fiume, dopo essere sceso impetuoso riposa nella valle, con il dileguarsi delle tragiche immagini, riposiamo meglio.

Seguiamo l’esercizio di fantasia proposto dal padre gesuita John Callanan.

Quale straordinaria funzione per lo spirito ha il dolce e rassicurante scorrere via dell’acqua del fiume, insieme alle parole, ai ricordi, alle preoccupazioni, ansie, dolori: “È una bella giornata calda e voi siete soli, ma questo vi fa sentire bene. Mentre attraversate il campo sapete che a un’estremità di esso scorre un fiume, e sentite cantare gli uccelli. Passeggiando, vi sentite felici e rilassati. Ora state arrivando alla riva stessa del fiume, lungo la quale cominciate a camminare lentamente. Ascoltate il gorgoglìo dell’acqua che scorre pacifica, possibilmente serpeggiando tra piccole rocce e gruppi di canne. Godetevi quest’esperienza. Mentre continuate a camminare lentamente, percepite vagamente la presenza di qualcuno che, poco più avanti, si trova in piedi in mezzo al fiume. A un certo punto vi accorgete che si tratta di Gesù. Quando arrivate al punto del fiume in cui si trova Gesù, vi accorgete che vi sta facendo cenno di avvicinarvi e raggiungerlo. Togliendovi le scarpe e le calze e notando che l’acqua non è molto profonda, vi avviate verso di Lui. L’acqua vi arriva alle caviglie, poi alle ginocchia, e Gesù continua a farvi cenno di avvicinarvi. Quando finalmente lo raggiungete, Egli vi prende le mani e, guardandovi negli occhi, dice: “Non avere mai paura di venire da me”. Poi, con estrema dolcezza, vi conduce fino alla riva opposta e insieme vi sedete sulla sponda erbosa. Mentre entrambi osservate l’acqua che scorre, voi iniziate a parlare a Gesù della vostra vita e di come sono andate le cose negli ultimi mesi. Indugiate sugli aspetti della vita che vi hanno preoccupato, o di qualsiasi cosa vi abbia procurato ansia o tristezza, delusione o ira. Mentre raccontate questi avvenimenti e le vostre emozioni, iniziate a sentire che il dolore o la preoccupazione legati a questi eventi scorrono via con l’acqua del fiume. Prendetevi tutto il tempo che vi serve e restate con Gesù, ricordando gli avvenimenti e sentendo che la preoccupazione scorre via. Ora, mentre cominciate ad avvertire il senso di libertà che deriva dal sollievo, cercate di concentrarvi sulle cose che desiderate per voi stessi: pace interiore, amore, felicità. Esse scorrono dentro di voi, lungo il fiume, e dopo un po’ sentite che Gesù riprende a parlarvi. Vi dice qualcosa di speciale su voi stessi, e dunque date a questo momento la massima attenzione, ascoltando ciò che ha da dirvi. Adesso, Gesù vi riconduce dall’altra parte del fiume e si congeda. Lo osservate allontanarsi, e dopo esservi rimessi calze e scarpe, lentamente, seguendo a vostro ritmo, ripercorrete il tratto lungo la riva del fiume e poi attraverso il campo che ben conoscete, portando con voi i ricordi che conservate nella mente, per ritornare infine in questa stanza, qui e ora”.

Mettiamoci a guardare, affettuosamente, l’acqua che a sua volta guarda, ad ascoltare col cuore l’acqua del fiume, a comprendere e ad imparare dall’acqua: “in quel suo verso trasparente, nelle linee cristalline del suo disegno pieno di segreti. Per leggere vedeva salire dal profondo, tranquille bolle d’aria che galleggiavano alla superficie, e l’azzurro del cielo vi si rifletteva. E anche il fiume guardava a sua volta, coi suoi occhi verdi, bianchi, cristallini, azzurri come il cielo. Quest’acqua lo affascinava: quanto l’amava, come le era riconoscente! Udiva il cuore parlare la voce ora ridesta, ed essa gli ripeteva: «Ama quest’acqua! Resta con lei! Impara da lei!» Oh sì, voleva ascoltarla, da lei voleva imparare! Chi fosse riuscito a comprendere quell’acqua e i suoi segreti – così gli pareva – avrebbe compreso anche molte altre cose, molti segreti, tutti i segreti”. Siddharta, Hemann Hesse

Pensiamo alla nostra vita con l’immagine di un fiume, in accordo col fiume del divenire, con la corrente della vita, con la musica della vita. Immedesimiamoci nei due barcaioli del Siddharta di Hesse: “Spesso andavano insieme di sera su un tronco presso la riva, e tutt’e due ascoltavano l’acqua, che per loro non era acqua, ma la voce della vita, la voce di ciò che è ed eternamente diviene”.

Rispecchiamoci, rubiamoci e restituiamoci nell’acqua del fiume che somiglia alla vita:

Di acqua nel fiume che è nostro
ce n’è e non ce n’è…
Inventerò un nuovo mese
ricco d’acqua per te…

Che si rifletta in me
nei miei occhi
china dalla veranda inverdita
sull’acqua che somiglia la vita

rubandomi e restituendomi a te

Sei stata mia compagna di scuola, Attilio Bertolucci

La vita scorre e il fiume corre, corre, sempre corre, scorre tra due rive, ma non per restar chiuso tra di esse, ma per continuare ad ogni istante il suo libero corso verso il mare – e diventare mare, in pace. Il fiume procede, meta dopo meta, tende a continue mete che si succedono: la cascata, il lago, le rapide, il mare, e tutte le mete vengono raggiunte, e ad ogni meta una nuova ne segue. Ma non corre soltanto verso il basso, c’è un ciclo e un’altra metamorfosi, un altro divenire che è verticale: dall’acqua si genera vapore, e sale in cielo, poi diventa fonte, ruscello, fiume e di nuovo riprende il suo cammino, di nuovo comincia a fluire.

Tutto ciò è bello, così come non c’è nulla di più bello della forza di gravità che si manifesta nelle pieghe fugaci delle onde marine. Quello che ci affascina è forse proprio il suo essere perfettamente obbediente a ogni pressione esterna. Non fa nulla per salvare una nave che sta affondando, se modificasse il suo moto sarebbe un essere capace di discernimento. In questa perfetta obbedienza risiede forse tutto il suo mistero e tutta la sua bellezza.

Non ci si bagna mai due volte nella stessa acqua del fiume, e a fronte di questa radicalità ci vien da pensare che abbiamo lo stesso destino, di essere transitori come l’acqua. Ma questo destino è anche il destino (e il mistero) della continua metamorfosi:

Che verità! L’acqua racconta e canta, e se ascoltiamo (e guardiamo) in solitudine questo canto eterno e sempre nuovo, viviamo un dolce abbandono:

Tutte le ore sono uguali
per chi cammina
senza perché
presso l’acqua che canta

Solitudine, Attilio Bertolucci

Bertolucci ci dona e risveglia un’immagine e una condizione dello spirito di grande semplicità e riposo dell’anima, con il tempo che scorre tranquillo.

San Juan de la Cruz, nel condurci lungo l’itinerario dell’anima innamorata di Dio, ci offre le immagini dei “fiumi rumorosi” che sono l’Amato. Nel suo Cantico spirituale, osserva che i fiumi hanno tre proprietà: inondano e sommergono tutto quanto incontrano, colmano tutti gli avvallamenti e i vuoti che si trovano davanti, fanno un tal rumore da coprire ogni altro suono. Sono proprietà che, nonostante siano di tanta forza, ispirano immagini di pace e di gloria perché questi fiumi sono fiumi di pace per l’anima. Immaginiamo: l’anima si vede investita dal torrente dello spirito di Dio e sente che tutte le azioni e le passioni in cui si trova sono in esso annegate; quest’acqua divina colma gli avvallamenti della sua umiltà e riempie i vuoti dei suoi appetiti; l’anima sente che in questi fiumi il rumore è una voce spirituale superiore a ogni suono e voce, copre ogni altra voce, domina ogni altro suono del mondo.

Ben altra cosa è vivere la grande e amorosa apertura visiva, sonora e silenziosa, immensa e intima, che segue “il mio Amato”:

Il mio Amato: le montagne,
le boscose valli solitarie,
le isole esotiche,
i fiumi rumorosi,
il mormorio delle brezze amorose,

la musica silenziosa,
la solitudine sonora,
la cena che ricrea e innamora.

Canzoni fra l’anima e lo Sposo, Juan del la Cruz

Immaginiamo e ascoltiamo il suono arcaico dei versi nei quali scorrono i fiumi rumorosi, la notte tranquilla al primo levarsi dell’aurora, immergiamoci in queste immagini, lasciamoci cullare nei giochi amorosi delle parole.

La nostra vita, il nostro fiume è destinato a trovare pace; per quanto possa indugiarsi a lungo tra campi e foreste, villaggi e città, ne resta separato, non potrà mai divenire una città o foresta. Può diventare e diventerà mare. La più piccola quantità di acqua in moto ha sempre la sua affinità con le immense acque del mare. Ma attenzione il flusso è in un solo senso: il fiume diviene mare, ma non potrà mai far essere il mare fiume, non potrà mai incorporare il mare in se stesso.

La corrente continua a cercare il suo riposo, nel grande oceano che non potrà mai contenere. Così l’anima alla ricerca dell’infinito riposo, nella musica dell’impetuosa corrente della vita, canta lieta: ”Io diventerò mare”.

Sì, l’anima è come un fiume, da un lato ha raggiunto il suo compimento nel mare, per altro lato va sempre raggiungendolo: da una parte è eterno riposo e completezza, dall’altra è movimento e variazione incessante. Quando riconosciamo come inseparabili questi due aspetti, riconosciamo il mondo e la vita come nostra propria casa. Il mare allora è la mia casa e la casa di tutti. Tutta la mia acqua corrente confluisce in te, e diventa mia e tua.

Aiutati da queste sante immagini, in mezzo all’agitazione delle nostre preoccupazioni, non sentiremo ripetere il grido “portami all’altra riva”, alla ricerca affannosa di una casa che riconosca definitamente come mia, dove trovare riposo da tutte le nostre fatiche. Sappiamo di non avere raggiunto il nostro scopo. In verità, questa sponda e l’altra non ne formano che un’unica in te. E’ qui, in questo mare, la tua casa. Ed ugualmente qui, in questo mare, che si trova l’altra riva che aspetta di essere riconosciuta e raggiunta; ed è qui, sì, è proprio qui, in questo continuo presente, non lontano, non in qualche altro luogo.

La pace appartiene alle fantasie del fiume che fluisce nel profondo dell’acqua dormiente, queste immagini ci portano un grande riposo d’anima. Ma forse proprio perché sentiamo queste correnti che scorrono nel profondo, il riposo al femminile appartiene all’acqua limpida dormiente. Immaginiamo e camminiamo davanti all’acqua che dorme, diciamo soltanto le parole l’acqua che dorme e proveremo una tranquillità, una dolcezza ipnotica, aderiremo al riposo del mondo.

Nella stessa parola acqua troviamo il nostro riposo al femminile. Ma tutto ciò che è avvolgente e dolce, come l’acqua tranquilla e dormiente, è al femminile o ha bisogno di essere messo al femminile. Pronunciamo le belle parole al femminile, hanno il potere di darci un dolce benessere, alba, aurora … fontana, sorgente … casa, capanna, grotta … camera, stanza …. tranquillità, serenità … anima, pace … alcuni accoppiamenti sembrano di sinonimi entrambi femminili, ma le sonorità e vocalità aprono dentro ciascuno echi diversi.