Il sogno e il fantasticare

 

Il sogno e il fantasticare

“Verrà un giorno in cui l’uomo non cesserà di vegliare e di dormire al tempo stesso” Novalis

Essere uomo tra gli umani,
io non so più dolce cosa.
Io non so più dolce cosa,
né più amara a chi n’è privo.
Nel presente appena vivo,
vedo più ch’altri non vede.

Preludio e fughe, Umberto Saba

“Essere uomo tra gli umani” è la semplice e dolce condizione esistenziale per superare l’“io” e per vedere nel vivo del presente “più ch’altri non vede”, fantasticando sull’umanità.

Eppure, il fantasticare è considerato dalla psicologia classica un fenomeno di distensione psichica e di abbandono, in un tempo lento, senza attenzione e senza memoria, seguendo il flusso delle fantasticherie – flusso sempre discendente. In questo stato d’animo, si vede la coscienza disperdersi – e di conseguenza offuscarsi. Il fantasticare diventa così sonnolenza, tepore, uno stato crepuscolare, in cui si fondono vita diurna e vita notturna. Il sognatore si addormenta, e lo stesso sonno può essere, seppur raramente, un “riposo attivo”.

Immaginiamo, leggendo i versi che seguono, quei rari casi nei quali ci siamo coricati senza stanchezza o con una stanchezza buona, trovandoci così bene da non riuscire ad addormentarci, tanto quel benessere ci sembrava riposante di per se stesso,

Riviviamo questi momenti di ripiegamento su se stessi:

Come ogni notte, quando il lume spengo,
che agli occhi miei gravi di sonno apporta
esso fastidio, e metto il capo sotto
la coltre, e tutto a me rinvengo,
tutto in me mi ranicchio, or sì vorrei
fare, e che più per me non fosse giorno!
E sì tutto m’arride. Anche la gloria
viene; il suo bacio, ancor che tardo, io sento.

La vetrina, Umberto Saba

In questo ritrovarsi vivono gioie e condizioni dello spirito proprie di un raccoglimento felice, verso un famigliare passaggio ad un altro mondo, il mondo dove non ci sono drammi e tutto viene dolcemente in sogno.

Seguiamo questo dolce calar della sera, accompagnato dalla stanchezza buona e accolto dalla coperta di sogni e nostalgie inventata dal poeta:

Quando scendeva la sera
piena di stanchi gridi e di voli,
gli entrava nel cuore come una frescura,
gli si chiudevano gli occhi, lo coprivano sogni e nostalgie.

Poi nella serena luce, Attilio Bertolucci

E’ un passaggio all’attraente riposo che succede alla fatica, ed è al tempo stesso un richiamo al risveglio, ad una vita che si dona ogni giorno.

Eppure, dopo questo lieto e vivo stare per addormentarsi, un sogno notturno può disgregare un’anima e diffondere, nel giorno stesso, le follie sperimentate nella notte.

In sogno, si possono vivere emozioni, apparizioni che rimangono impresse e non si possono esprimere tanto sono intense. “Parecchi mesi sono passati da quel sogno dolce, tuttavia il ricordo che esso lascia nell’anima mia non ha perduto niente della sua freschezza, del suo fascino celeste. Vedo ancora lo sguardo e il sorriso pieni di amore della venerabile Madre. Credo di sentire ancora le carezze che mi prodigò” Storia di un’anima, manoscritto B, Teresa di Gesù Bambino.

Noi riconosceremo comunque al fantasticare ben altro valore e ben altra condizione dello spirito: in quanto fenomeno spirituale troppo naturale e umano, non può essere trattato come un derivato del sonno. Il sognare ad occhi aperti aiuta veramente l’anima a fruire del proprio riposo, di un riposo attivo, che propende verso la semplicità e la spensieratezza del femminile.

Il sognare ad occhi aperti è il riposo dell’anima, come rifugio della vita semplice, tranquilla, continua, ha la funzione di liberarci dalle agitazioni contingenti e ci restituisce, contemporaneamente, alle alternative di una vita veramente viva e dinamica.

Dante, autore delle più grandi idealizzazioni dei valori umani, ci illumina su cos’è l’immaginazione, il nostro sognare ad occhi aperti.

O immaginativa che ne rube
talvolta sì di fuor, ch’om non s’accorge
perché dintorno suonin mille tube,
chi muove te, se ‘l senso non ti porge?
muoveti lume che nei ciel s’informa
per se o per voler che giù lo scorge.

Purgatorio Canto XVII. La Divina Commedia

L’immaginazione ha il potere di imporsi alle nostre facoltà e alla nostra volontà, e di rapirci in un mondo interiore, isolandoci dal mondo esterno, tanto che possono suonare mille trombe senza che ce ne accorgiamo.

Ma da dove vengono le immagini che tu ricevi, se non ne conosci il senso? Dante non pensa a muse o a liuti ispiratori. C’è una fonte luminosa nel cielo che proietta queste immagini, formate secondo la logica dell’immaginario (“per sé”) o secondo il volere di Dio (“per voler che giù lo scorge”). Sono immagini che si presentano, come attraverso una proiezione cinematografica su uno schermo, immagini dell’irrealtà, prodotte da riprese che non appartengono alla realtà oggettiva.

Abbandoniamoci a questa fonte luminosa “che nei ciel s’informa per sè o per voler che giù lo scorge”, per fare esperienza del riposo attivo: un riposo spirituale, un riposo che viene a svegliarci, un rigore nuovo, poiché nulla nasce di nuovo e di buono dal torpore. Nello stesso tempo, ogni sognatore sveglio sa di sentire in modo diverso quando sta con gli occhi chiusi.

Boezio sostenendo che nessuno può sottrarsi al diletto di una dolce melodia, ne faceva una questione di modulazioni: “I pitagorici, pacificando col sonno le cure quotidiane, si facevano addormentare da determinate cantilene; svegliatisi, si liberavano dal torpore del sonno con altre modulazioni”.

Giacomo Leopardi, nel suo L’Infinito, non manca di esaltare la straordinaria capacità dell’immaginazione:

Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare.

Siamo affascinati da questa espansione cosmica. Si apre un mondo insieme alla nostra gioia di leggere e di parlare. Sono accostamenti di immagini che creano immagini nuove.

Immaginiamo oltre, proprio a partire dalla nostra condizione, dal nostro “ermo colle” e dalla nostra “siepe”, abbandoniamoci al dolce naufragar leopardiano, per fare esperienza del mistero di “interminati spazi e sovrumani silenzi e profondissima quiete”. Da questa condizione dello spirito, si risvegliano nuove ed eterne realtà, insieme ad una nuova capacità di immaginazione e di ascolto.

Il sognatore leopardiano ha gli occhi ben aperti, è preso da una straordinaria ricchezza di sentimenti, fantasie, sensazioni, vissute tra l’hic et nunc e l’infinito e l’eterno. Ascolta le voci di fuori e le voci interiori. L’anima si fa eco della natura e della voce di lei.

Così, il nostro sognatore sveglio, stimolato dal poeta, si sente alla ricerca di valori di lucidità: egli vive un’esperienza completa della lucidità; egli fa decantare, innanzitutto in se stesso, la materia notturna, per conoscere al risveglio la chiarezza e la lucidità. Egli sogna, ad occhi aperti, serrati, socchiusi o spalancati, per ascoltare la voce interiore e per vederci chiaro, per rivelarci delle chiare idee, delle immagini luminose, un verso folgorante. Il sognatore sveglio non ci comunica altro che il proprio risveglio, in armonia con il risveglio della natura.

Lasciate le preoccupazioni, le immagini poetiche ci dimostrano che il risveglio della natura ci riguarda, riportano sotto i nostri sguardi le immagini primarie, la grazia di una natura che si sveglia. Ci restituiscono le ore incantatrici del mattino primitivo. Ci rendono lo stupore dell’uomo che ascoltò nascere le voci della natura, che assistette all’apparire delle stelle. Ci fanno vivere il senso di armonia che ci restituisce al dolce ritmo del mondo. Sono immagini e una simpatia universale che prendono il cuore. Così, il sognatore risvegliato ascolta la voce interiore della coscienza del soprannaturale che è in noi, nel fondo perpetuo della nostra anima.

Il risveglio del fantasticare lo si ha quando viviamo, con la freschezza dell’anima, questa atmosfera cosmica e questa redenzione contemplativa, quando conquistiamo la felicità e la fiducia, l’ottimismo e la volontà: la bontà supera la coscienza del male, perché la coscienza del male è, di per se stessa, il desiderio di redenzione. E allora, ritorna l’esperienza di ore di immaginazione ricche di momenti fecondi, contrassegnate da mille suoni delle campane della resurrezione, ore che hanno ciascuna un’eco nella nostra anima risvegliata. E quando assimiliamo questi echi e confrontiamo queste ore di vita totale con ore morte perché vuote, con ore interminabili perché non danno niente, siamo presi dal rimpianto e dal rimorso.

Tu non sai come sia dolce la vita
agli amici che fuggi, e come vola
a me il mio tempo, allegro e immaginoso.

Glauco, Poesie dell’adolescenza e giovanili, Umberto Saba

Questo tempo che ci vola via, allegro e immaginoso, ci porta la consapevolezza che in noi c’è il sogno di un’ora divina che darebbe tutto, l’ora in cui tutti i momenti della vita sarebbero sentiti, amati, pensati, un tempo completo, fatto della straordinaria e misteriosa frequenza degli atti del Creatore.

Facciamo la preghiera di Tagore: ”O lavoratore dell’Universo! Noi ti preghiamo, irrompa la corrente irresistibile della tua energia universale, come l’impetuoso vento del sud in primavera per gettarsi sul vasto campo della vita umana, e vi porti il profumo dei fiori, il mormorare dei boschi, renda dolce e musicale la mortale inerzia della nostra inaridita esistenza spirituale. Che le nostre energie vitali, di nuovo risvegliate, reclamino a gran voce una illimitata produzione di foglie, fiori e frutta” La vera essenza della vita.

Tramite queste immagini e illusioni, quindi, è possibile superare preoccupazioni e immagini ossessive, e consentire al soggetto di sublimare e guarire rispetto a suoi propri malesseri e raggiungere una armonia dell’immaginazione. Non è possibile essere felici con una immaginazione scissa o con la fantasticheria anarchica. Ecco perché, in alcuni casi, si rende necessaria una vera e propria terapia che, scendendo nel profondo, apre la strada alla rieducazione della volontà di immaginazione, e non di conquista.

Seguiamo una favoletta di Bertola, inno alla volontà di immaginazione:

Una sera al focolare
si sedean, Dorillo e Nina:
el dicea: veder regina
ti vorrei di terra e mare;
di superbe vesti adorna,
e di gemme preziose.
Ma perché, Nina rispose,
l’impossibil bramar?
Se formar desiri godi,
brama il prato ognor erboso,
brama il gregge numeroso;
quello alfin che aver si può.
A che pro? L’altro rispose:
se provar finor, bramando,
che il piacer vien meno, quando
l’alma ottien quel che bramo?

Una volta spazzate via le preoccupazioni, nell’immaginazione, l’anima veglia, senza tensione, serena e attiva, in profondità. L’immaginazione ci distacca, nello stesso tempo, dal passato e dalla realtà, apre verso la funzione di irrealtà e verso l’avvenire. Si conserva la risonanza di ritmi di istanti felici, un’abitudine presente.

E’ il gioco continuo che continua, come una frase musicale che avanza e che deve riprendere, perché fa parte della sinfonia del nostro essere, in cui assolve a un ruolo. Per mezzo di sane e care abitudini, si crea una solidarietà del passato e dell’avvenire: in noi, il passato può durare soltanto come una voce che ha trovato un’eco, nel presente e nell’avvenire.

Vogliamo dire che il sognatore ad occhi aperti riposa in un fantasticare fatto di armonie, risonanze, echi, e senza avvenimenti, nel senso che mantiene la sua solitudine e non si inserisce negli avvenimenti degli altri, né permette che la vita degli altri porti gli avvenimenti nel fantasticare. Il sognare notturno, invece, nella parte meno profonda, può essere pieno di avvenimenti.

Nel sognare ad occhi aperti, si è attaccati alla propria pace, alla pace dell’anima, dell’essere femminile che è in noi. A questa pace, contribuisce il fantasticare che muove dall’immagine poetica, dal momento che ci aiuta a riconquistare il nostro immaginario. Il fantasticare conduce il sognatore malato nel suo processo immaginativo verso la guarigione, dove la riconquista del proprio immaginario avviene attivando un movimento, sia in ascensione che in discesa, che è il segno stesso della vita e della libertà. Seguendo i due percorsi in verticale, l’idea del movimento provoca i risultati più completi e più inattesi. La discesa nel profondo sembra precedere sempre l’ascesa.

“Al sognatore che tende ad una più luminosa altezza si oppone la necessità di sprofondare in un baratro oscuro: questa si dimostra condizione indispensabile per un’ulteriore salita” Gli archetipi dell’inconscio collettivo 1934/1954, Jung.

La verità poetica ci illumina, fa risplendere un senso profondo dell’animo umano; muovendosi su un asse verticale e dinamico, essa non scende a patti con la realtà, la riconosce per prenderne coscienza e trasformarla, conservando di essa solo ciò che conduce ad una dimensione più alta e libera.

Questi percorsi interessano l’immaginazione attiva, il sognatore sveglio. In questo senso, condividendo l’urgenza manifestata da Bachelard, occorre una chiara differenziazione tra il sognatore notturno e il sognatore diurno, tra il sogno notturno e il sognare ad occhi aperti. C’è una differenza radicale rispetto al grado di coscienza che caratterizza le due esperienze: se il sognatore notturno è un’ombra che ha perso il suo io, il sognatore del giorno ha coscienza del suo sognare. In altre parole, il sognatore ad occhi aperti è molto presente alle sue fantasie, il fantasticare è un’attività onirica nella quale esiste un bagliore di coscienza. E anche quando il fantasticare dà l’impressione di una fuga al di là del reale, al di fuori del tempo e dello spazio, il sognatore del giorno sa che è lui che si assenta.

Si potrà obiettare che vi è tutta una gamma di stati intermedi. Ma va da sè che dal fantasticare si cade nel sogno? Esistono veramente dei sogni che continuano nel fantasticare? Se il sognatore di fantasie si lascia prendere dalla sonnolenza, il suo fantasticare scivola via, si perde nelle sabbie del sogno, così da poter affermare che esiste una continuità dal fantasticare al sogno notturno. A queste obiezioni, da buoni fenomenologi, risponderemo che nel fantasticare l’uomo si mantiene in un più di presa di coscienza di se stesso, è perspicace, stupìto, affascinato dalle immagini, mentre una coscienza che si ottenebra, che diminuisce, che si addormenta, non è più una coscienza.

Se proprio vogliamo mantenerci nella condizione incerta tra sonno e veglia, invece di cercare il sogno nel fantasticare, occorre cercare il fantasticare nel sogno: tra le angosce più profonde possono darsi isole di tranquillità, gli splendori del giorno. Come dire che il sognatore, nella notte del sonno, e nell’intimità fisicamente raccolta, tutto gli arride, può sentirsi baciato dalla gloria, e ciò perché al vero sognatore interessa l’immaginazione attiva, non il sogno o l’immaginazione che addormenta.

E quando, con la stanchezza buona, ci sentiamo veramente bene, ingenuamente fiduciosi, non riusciamo ad addormentarci per godere del vero riposo: “Mi stesi su un vecchio divano impagliato proprio in fondo alla stanza, dove la volta e i muri spessi conservavano una provvista di frescura. Mi ci trovai così bene da non riuscire ad addormentarmi, tanto quel benessere mi sembrava riposante di per se stesso, e vi abbandonai tutto quanto mi restava di inquietudine con una fiducia ingenua che era anch’essa una voluttà” La fattoria, Henri Bosco

Quindi, se ci atteniamo al fenomeno del fantasticare, ci accorgiamo che è la coscienza a differenziare in modo determinante dal sogno notturno. Nel fantasticare c’è pur sempre una presa di coscienza che è un aumento di coscienza, una crescita di essere, nel senso che abbiamo esperienza di un più di essere, mentre il sogno è caratterizzato dalla passività e dall’estraneità, tanto che un altro soggetto sembra sognare in noi. Il sogno, infatti, si lascia raccontare e il sognatore sorride del proprio dramma e delle proprie paure, tanto che non esiste identità tra chi racconta e il soggetto che ha sognato. Il sognatore notturno non è sicuro di essere colui che sogna il proprio sogno. Il sogno della notte è un sogno senza sognatore.

Al contrario, il sognatore diurno mantiene abbastanza coscienza per dire “sono io che sogno”, sono io che sono felice di sognare, sono io che godo di un piacere in cui non ho più l’obbligo di pensare.

Non si guarisce, né si riposa veramente, dormendo.

Ora dormi, cuore inquieto,
ora dormi, su, dormi.
Dormi, inverno
ti ha invaso, ti minaccia,
grida:”T’ucciderò
e non avrai più sonno”.
La mia bocca al tuo cuore, stai dicendo,
offre la pace,
su, dormi, dormi in pace.

Dono, Giuseppe Ungaretti

Difficile dormire, quando non c’è la pace nel cuore. Meglio cercare di fantasticare, voler sognare e averne coscienza.

E’ l’essenza stessa del fantasticare raddoppiare il benessere del fantasticare con la coscienza stessa del fantasticare. Per continuare a stare bene e godere del potere tranquillizzante del fantasticare, basta che il sognatore mantenga la coscienza di tranquillità.

Quando colui che coltiva il fantasticare ha eliminato ogni preoccupazione che assilla la vita di ogni giorno, quando si è liberato dell’ansia che gli è trasmessa dalle ansie degli altri, quando è veramente tutto immerso nella sua solitudine, allora sentiamo un essere che si apre in noi, e riposiamo fantasticando, viviamo il riposo di tutto il nostro essere, il riposo femminile, al di fuori degli affanni, delle ambizioni, dei progetti. Il sognatore allora si apre al mondo e il mondo si apre a lui. Il tempo è sospeso senza ieri né domani. Il mondo riposa nella sua tranquillità.

E’ in questa dimensione cosmica che si gode del vero riposo, del riposo dell’anima, dove l’anima è il rifugio della vita semplice, tranquilla, continua. Jung ha potuto dire: ”ho definito l’anima semplicemente come archetipo della vita”. E’ l’archetipo di ciò che vive di per sé e dà la vita, è la vita immobile, stabile, unita, di un’esistenza senza drammi.

In merito al riposo fisiologico, è facile constatare che il riposo dell’anima non può che essere anche quello del corpo. Chi conosce questo riposo concreto in cui anima e corpo sono immersi nella tranquillità del sognare ad occhi aperti comprende il paradosso evidenziato da E. La Jeunesse George Sand per il sonno: ”Dormire è la funzione più faticosa che esiste” L’imitation de notre maitre Napoleon. Perché il sonno, quando è un buon sonno, fa riposare soltanto il corpo, raramente fa riposare anche l’anima.

In genere, il riposo della notte non ci appartiene, non è il bene del nostro essere. Il sonno alberga inquietanti fantasmi, senza una coscienza che può assimilarli.

Al mattino dobbiamo spazzare le ombre, bisogna sloggiare e anche stanare i fantasmi che si attardano in fondo agli abissi, i mostri che appartengono spesso più che ad un passato personale ad un passato remoto, che non ci appartiene.

Al contrario, il sognare del giorno ci dà il benessere di una lucida tranquillità.  E questa lucida tranquillità non è frutto soltanto della mancanza di preoccupazioni, non durerebbe se non fosse alimentata dalle immagini della dolcezza di vivere, dalle illusioni della felicità. Colui che fantastica è tranquillo davanti ad un’acqua tranquilla. L’immaginazione non può essere approfondita, se non di fronte ad un mondo tranquillo. La tranquillità è il legame che unisce il mondo a chi sogna, il sognatore e il suo mondo. E’ il dono di un’ora che conosce la pienezza dell’anima. All’anima appartiene il fantasticare che vive di immagini felici, tranquille, doni di una grande spensieratezza che è l’essenza del femminile: la pace dell’anima, un calore intimo, la costante dolcezza.

Il sognatore e il suo fantasticare entrano anima e corpo nella sostanza della felicità, e a chi vuole sognare diciamo cominciate ad essere felici. E per cominciare, consideriamo che ogni volta che siamo riusciti a elevare le immagini a livello cosmico, ci siamo resi conto che tali immagini ci donavano una coscienza felice, una felicità cosmica: un universo nasce da immagini in espansione, dalla cosmicità di un’immagine riceviamo l’esperienza del mondo. L’immaginazione cosmica ci fa abitare un mondo, e in questo universo immaginato il sognatore di sente al sicuro. Tutto l’universo contribuisce alla nostra felicità, tutto attraverso il fantasticare diventa bello. Ritroviamo al fondo di ogni immaginazione un essere che approfondisce e al tempo stesso espande, alla ricerca del segreto del mondo. E’ un’apertura ad un mondo, a mondi belli e veramente elementari.

Il fantasticare infine è benessere, è una coscienza di benessere psichico e spirituale; in un’immagine cosmica e al tempo stesso familiare, siamo nel benessere del riposo. E’ un benessere psichico e una concentrazione che si diffondono, senza richiedere un più di concentrazione.

Immaginiamoci sotto queste ombre traquille:

Ombroso, ombroso il bosco davanti all’atrio;
A mezza estate – pieno d’ombre tranquille.
Il vento del Sud segue il corteo dell’Estate;
E con le sue girandole mi apre il mantello:
Son sciolti da lacci e posso stare a riposo.

Ombroso, ombroso il bosco, T’ao Ch’ien

Raccogliamoci da buoni sognatori in queste immagini di pace. Non concentriamoci a pensare. La coscienza del sognatore è meno concentrata di quella del pensatore. L’essere del sognatore, immerso nelle ombre tranquille del bosco e liberato dal vento, è un essere diffuso, è l’essere di una diffusione, sfugge alla puntualizzazione dell’hic et nunc. Lasciamoci andare ad una regione intermedia che attutisce la dialettica dell’essere e del non-essere, eppure è una regione piena, piena di una pienezza leggera, che riempiamo con immagini ispirate dai paesaggi della natura.

Il sognatore è dovunque nel proprio mondo, il sognatore è totalmente immerso nel suo sognare. Il mondo non gli si oppone più, perché è plastico, malleabile. Nella solitudine, è sufficiente che venga offerta alle nostre dita una pasta da plasmare, per far sì che ci mettiamo a sognare.

Il sogno notturno invece non conosce questa dolce plasticità. Il suo spazio è ingombro di solidi, di una rigidità geometrica. Nelle angosce della notte gli oggetti sono cattivi.

Si tratta infine di superare la dicotomia tra l’uomo diurno e l’uomo notturno, attraverso l’immaginazione attiva, che appunto ci riconcilia nelle ventiquattro ore, riconfigurandole come totalità umana: l’uomo delle ventiquattro ore della sua vita. Il recupero dell’uomo totale, di questo archetipo, ci fa cogliere la felicità come esito dell’esperienza di riposo autentica.