Immaginazione e menoria

 

Immaginazione e menoria

Non ci sono ricordi. Solo un sussurro

che è la voce del mare fatta ricordo.

Mattino, Cesare Pavese

Non ci sono ricordi, siamo invitati ad ascoltare una voce sovra personale, una voce della natura, del mare che viene da lontano e che si perde nel tempo. Sì, questa voce c’è. In questo sussurro, immaginazione e memoria appaiono in un complesso indissolubile, ma la memoria non è fatta necessariamente di ricordi personali. Così, il passato ricordato non è semplicemente un passato direttamente vissuto. Viviamo in un passato che non è più unicamente nostro. Piuttosto lo reinventiamo il nostro passato, senza comunque che il sognatore sia completamente indifferente verso il suo passato, seppur reinventato.

La memoria è una strada che si perde
e si ritrova dopo un’ansia breve,
tranquilla: già nel sole di settembre
scottante sulla schiena è un’altra estate.

Fine d’estate, Attilio Bertolucci

Serena e leggera è l’immagine della memoria come strada che si perde e si ritrova, naturalmente, senza dramma, dopo “un’ansia breve tranquilla”. Non c’è senso, responsabilità o volontà, nella memoria, il futuro è già nel presente.

Bertolucci sembra svelarci il segreto per vivere il tempo che scorre e la memoria, con ansia breve e tranquilla: entrare in sintonia con il tempo regolare, calmo e lento delle stagioni, con un tempo che scorre senza chiedersi perché, secondo il ciclico ripetersi della natura.

Giorno che scorri
senza nostalgie
canoro giorno di settembre
che ti specchi nel mio calmo cuor

Settembre, Attilio Bertolucci

Noi invece ci chiediamo quanto e come il passato, la memoria, i ricordi siano presenti e convivano, felicemente, malinconicamente o con angoscia. Il passato personale è come la forza di gravità che pesa sul nostro futuro e sull’immaginazione? L’immaginazione racconta un pò della nostra storia? E nell’interrogarci sulle origini di questo nostro rapporto con il passato, ci chiediamo il ritorno indietro nel passato fin dove porta? C’è forse un passato che va oltre il nostro passato personale? La psicanalisi ha analizzato fin troppo il rapporto col passato personale, non avendo fiducia nella possibilità di essere liberi dal peso del passato personale, di essere nella semplice condizione di purezza e di leggerezza dell’immagine che ci dona Bertolucci:

Un cielo così puro
un vento così leggero
non so più dove sono
dove ero.

Per un bel giorno, Attilio Bertolucci

A noi interessa piuttosto sentire, con Jung e con i grandi poeti, l’immaginazione raccogliere l’eco di un passato lontano, sovrapersonale, che si perde nel tempo e che continua a durare nel presente e nel futuro dell’uomo, nell’umanità e nelle cose, nel nostro fantasticare più terrestre o più acquatico o più aereo. Con i poeti, poi, con l’immaginazione letteraria, non c’è passato se non attraverso la parola, attraverso immagini parlate. E’ nelle audacie del linguaggio poetico che si ha una lenta fusione di immaginazione e memoria.

Poco invero tu stimi, uomo, le cose.
Il tuo lume, il tuo letto, la tua casa,
sembrano poco per te, sembrano cose
da nulla, poi che tu nascevi, e già
c’era il fuoco. La coltrice, la cuna
per dormire, per dormirti il canto.
Ma che strazio sofferto fu, e per quanto
tempo da gli avi tuoi, prima che una
sorgesse – fra le belve – una capanna;
che il suono divenisse ninna-nanna
per il bimbo, parola pel compagno.

A la finestra, Umberto Saba

Partecipiamo a questa coscienza e ringraziamento cosmici, poniamoci nel flusso della vita che ci trasporta da prima della nascita. Sembra che, nelle fantasie poetiche, specialmente in quelle sull’infanzia, sentiamo un’origine precedente al nostro passato, preliminare al nostro essere, sentiamo tutta una prospettiva che si perde lontano nel tempo e che si ritrova forse nell’infanzia cosmica. Sono forse i rimandi della lenta e felice infanzia del mondo e della creazione. E’ quel fantasticare dell’origine dell’umanità a cui ci invitano i poeti, al di sopra di se stessi, che va oltre la nostra storia personale e risale alle sorgenti prime della nostra esistenza.

Ci viene in aiuto un’immagine per tutte: il pozzo, una delle immagini umane più pesanti. Immaginiamo quest’acqua nera e lontana che ha rispecchiato un viso stupito. Il suo specchio non permette ad un Narciso di contemplarsi. Nella sua immagine profonda il bambino non si riconosce. L’acqua è torbida e buia. Il viso restituito da questa notte della terra è un viso di un altro mondo.

Il pozzo è l’immagine della nostra esistenza, è un’immagine cosmica che ci aiuta a risvegliare un nucleo di infanzia permanente, sempre vivo, l’infanzia anonima, come prima vita umana, liberata dal passato personale, dal romanzo familiare, dai rimpianti e dalle nostalgie, da certi genitori in un certo luogo.

Altre immagini cosmiche sono portatrici di un grande riposo dell’anima, con esse il benessere del mondo ci invade da ogni parte: Il fuoco primordiale o l’acqua dormiente, l’antica origine terrestre, l’aria, i venti e il volo. Sono immagini che ci fanno star bene.

Non sforziamoci a ricordare o a rimuovere il nostro passato personale, risvegliamo invece quest’infanzia cosmica, il sentimento di fratellanza col mondo, l’amore per le bellezze del mondo, l’essere per il creato, troveremo tutto il riposo e il sollievo desiderato, la vera tranquillità.

Se torniamo invece sul nostro passato personale, è facile constatare che questo passato è sempre re-immaginato e che si ricordano soltanto le immagini del passato che hanno un valore, specialmente sul piano delle emozioni. Non ritorna mai semplicemente il passato dei fatti, si vivono prima di tutto i valori del passato amplificati dalla fantasia, fino ad estendersi nella pace di un grande riposo. E allora memoria e immaginazione ora rivaleggiano ora si fondono, per restituirci le immagini che appartengono alla nostra vita, con il colore di quadri impressionistici del nostro passato.

Siamo nel chiaroscuro dello psichismo di cui scrive Bachelard: “Chi si affida alle rêverie della piccola luce scoprirà questa verità psicologica: l’inconscio tranquillo, l’inconscio privo di incubi, l’inconscio in equilibrio con la propria rêverie, è con esattezza estrema il chiaroscuro dello psichismo, ancor meglio lo psichismo del chiaroscuro. Le immagini della piccola luce ci insegnano ad amare questo chiaroscuro della visione intima.” La fiamma di una candela

Il sognatore solitario, in un angolo, in penombra, dalla luce vacillante, ama darsi al chiaroscuro dell’immaginazione calma, calmante, impregnante della propria luce la propria penombra. In questo stato, può prenderci la dolce malinconia del fantasticare, che mescola i ricordi reali con quelli fantasticati. E in questa malinconia ci si apre alle fantasie altrui, all’immaginazione poetica.

Una volta presa coscienza di questo chiaroscuro e della memoria attiva, della memoria a lavoro, ci chiediamo cosa ci ricordiamo e quanto durano i ricordi. In proposito, sappiamo che ci si ricorda di essere stati, non ci si ricorda di aver durato. Non c’è infatti nulla di più artificioso della localizzazione dei ricordi. Abbiamo bisogno di apprendere e di riapprendere la nostra propria cronologia, e a questo scopo ricorriamo a coincidenze, se non ci affidiamo completamente ai racconti degli altri. La memoria conserva soltanto momenti senza durata, istanti di attenzione, e l’attenzione più che durare comincia, riprende: è piuttosto una serie di riprese e di cominciamenti.

Si ricorda ciò che vale, e quindi non si tratta del frutto di fare sforzi di volontà per ricordare o per liberarsi del passato; i desideri, i sentimenti, le speranze, i ricordi che durano, ciò che dura del passato, nel presente e nel futuro, è ciò che ha un valore, ed ha valore perché ha un avvenire: dura ciò che ha un futuro, ciò che può entrare in relazioni vive di simpatie e di affetti. Allora, per godere di momenti di riposo vero, profondo e attivo, non resta che cogliere le felici unioni di immaginazione e memoria. E’ la missione del poeta: nel dolce sognare che accompagna la scrittura lenta, i ricordi si distendono, respirano. La pace della vita infantile ricompensa lo scrittore.

Eppure non finiamo di chiederci a chi appartiene questo passato. Quando, sognando a lungo nella solitudine, ci lasciamo allontanare dal presente, per rivivere i tempi della nostra vita, sentiamo che noi fummo molti, nella nostra vita già vissuta, nei nostri primi anni di vita. Solo attraverso il racconto degli altri abbiamo conosciuto una nostra unità, e così finiamo di somigliarci sul filo della nostra storia raccontata dagli altri. Ma l’immaginazione non sempre inventa e racconta in superficie. Esistono immagini che ci aiutano a scendere così profondamente in noi stessi che veniamo liberati dalla nostra storia. Ci liberano dal nostro nome. L’immaginazione allora estende la storia verso l’irreale: è vera a dispetto di tutti gli anacronismi, è molteplice nei valori.

Pensiamo alle influenze delle immagini che ci donano i poeti. Ci capita di leggere immagini così belle, che le riscopriamo in noi e diventano le nostre immagini vissute: leggendo infanzie, la mia infanzia si arricchisce. Nella memoria, ai fatti reali del passato, subentrano esperienze e realtà psichiche dell’umanità. Con i poeti, poi, siamo in una posizione di frontiera, vissuta tra storia e leggenda, tra memoria e immaginazione, dove regna la memoria immaginaria.

I poeti, grandi protagonisti dell’infanzia spirituale, ci fanno vivere immagini oscillanti tra la vita reale e la vita immaginaria, che appartengono ad un’infanzia che non conosciamo ancora ma che tuttavia riconosciamo. Ci insegnano le audacie della memoria, i poeti ci dicono che bisogna inventare il passato ci dice il poeta, perché non c’è festa persa al fondo della memoria.

L’infanzia, la nostra infanzia va creata, e non è quella che ci è imposta dal di fuori, spesso un’infanzia vissuta dolorosamente. I poeti ci aiutano a reimmaginare il nostro passato, in un luogo dove si confondono la realtà e la fantasia. Con i poeti troviamo l’altra-casa, la casa dell’altra-infanzia, costruita con tutto ciò che avrebbe dovuto essere. Su un essere che non è stato o che è stato mal vissuto, si costruisce la nostra infanzia e la casa della nostra immaginazione.

I grandi poeti, trasmettendoci le loro immagini, ci fanno ascoltare la voce della nostra immaginazione che ci chiama a re-immaginare il nostro passato, ci confermano le nostre immaginazioni, ci aiutano a vivere nel nostro personale passato, valorizzato e re-immaginato. Sono le tante immagini felici e salutari di Henri Bosco ad aiutarci. Rileggiamo questa bella pagina in Yacinthe, sulla memoria immaginaria e l’infanzia meravigliosa:

“Io non perdevo coscienza, ma ben presto mi nutrii alle prime offerte della vita … se tutto era abolito nella mia vera memoria, tutto invece viveva con straordinaria freschezza in una memoria immaginaria. Al centro di vaste distese spogliate dall’oblio, brillava continuamente questa infanzia meravigliosa che mi sembra di avere un tempo inventata”.

Leggendo Henri Bosco ci sentiamo in dovere di re-immaginare il nostro passato, la nostra memoria, l’infanzia meravigliosa, la giovinezza, in un’oscillazione delle fantasie infantili tra il reale e l’irreale, tra la vita reale e la vita immaginaria. Sono in gioco, senza dubbio, l’infanzia proibita, l’infanzia sognata, l’infanzia rimossa. Quante volte, vivendo momenti oscillanti tra memoria e immaginazione, ricordiamo, immaginiamo un’infanzia e una casa che non conosciamo ancora e che tuttavia riconosciamo: “Vivevo in una casa calma e familiare, che non avevo affatto avuta, con dei compagni di gioco, come qualche volta avevo sognato di avere” Hyacinthe, Henri Bosco.

A fronte delle proibizioni e dei doveri, il bimbo che permane in noi resta bloccato e allora tutti i nostri sogni infantili mancati devono essere ripresi, con l’aiuto dei poeti, perché si ritrovi il loro slancio, quelle riserve di entusiasmo, che ci aiutano a credere al mondo, ad amare il mondo, a creare il nostro mondo.

C’era, un pò in ombra, il focolaio; aveva
arnesi, intorno, di rame. Su quello
si chinava la madre col soffietto,
e uscivano faville.
(…)
C’era, mal visto nel luogo, un fanciullo.
Le sue speranze insieme alle faville
del focolaio si alzavano. Alcuna
– guarda! – è rimasta.

C’era, da Ultime cose, Umberto Saba

Che immagine vitale il focolaio, un po’ in ombra, sorgente delle speranze alimentate dalla madre! Le speranze accese come faville, alcune effimere altre permanenti.

Rispondiamo a questo invito a ricostruire la nostra infanzia su quelle faville, su tutto ciò che avremmo desiderato essere, su un essere che non è stato e che ricomincia ad essere, sognando con i poeti. Dopo aver appreso la nostra storia famigliare, dopo aver preso coscienza di un’infanzia non vissuta ed aver superato la zona dei rimpianti, spingiamoci oltre, raggiungiamo un’infanzia anonima, primo focolaio di vita, che rimane in noi. Se non ricordi nulla, se hai un vuoto sugli anni della tua infanzia, non considerarti per questo privo d’infanzia. L’infanzia non è una cosa che muore in noi, non è un ricordo. E’ il più ricco dei tesori, e continua ad arricchirci e a crescere in noi, a nostra insaputa. Al di là dei ricordi personali, rimane in noi, resiste alle esperienze della vita, l’archetipo dell’infanzia come felicità semplice, l’influenza benefica dei bimbi, forse quella beatitudine primordiale, quell’infanzia dell’umanità, quando il mondo uscì intatto dalle mani del Creatore. Persiste un principio di vita sempre disposta alle possibilità di un ricominciamento.

Così la dolce e fuggitiva giovinezza, che perfino il vento l’accarezza, è un passato re-immaginato che non ha storia, né calendario, è un archetipo e una riserva di entusiasmo. Vive di una memoria cosmica e delle ore inutili, nelle quali non succedeva nulla. Riviviamo, con i poeti, le ore in cui si è soli, proprio soli, profondamente annoiati e beffati per la nostra solitudine, ma liberi di immaginare.

Riviviamo le grandi e belle ore della vita di un tempo, in cui l’immaginazione dominava ogni noia, e la noia diventava una grande gioia, appunto liberando l’immaginazione, diventando liberi di vedere quei grandi fenomeni di luce, che per essere visti nell’intimità cosmica richiedono essere soli: il sole sorgente, la luce di una finestra nel deserto metropolitano, il cielo stellato: “così tra questa immensità s’annega il pensier mio, e naufragar m’è dolce in questo mare” L’infinito, Giacomo Leopardi.

Queste ore vissute, oggi, manifestano la permanenza di un’immaginazione ritrovata, piuttosto che del nostro passato, e hanno la non-durata propria dei grandi riposi.

Riviviamo, con i poeti, e non con i fatti e né con i ricordi personali, l’immaginario del bambino: l’acqua del bambino, il fuoco del bambino, il volo del bambino, l’albero del bambino, i fiori primaverili del bambino … Con immagini non nostre, eppure tutte amate, siamo sollecitati a sognare in profondità e allora diremo, tra noi, “il poeta ha visto giusto, la sua emozione è la nostra emozione, il suo entusiasmo ci stimola”.

Il poeta risveglia in noi la cosmicità dell’infanzia, l’amore per le bellezze del mondo, l’infanzia ritrovata. Attraverso il poeta, ritroviamo impresse le disposizioni infantili, siamo sotto il segno dello stupore che è proprio dello spirito infantile. Si risveglia la nostra capacità di incantamento, di stupore, fascino ed eccitazione. Così nella lettura, ecco, un’immagine ci trattiene, ci fissa e noi vi aderiamo: che felicità rivivere questo darsi con semplicità! che gioia prendere il poeta alla lettera e sognare con lui, credere a ciò che dice, vivere nel mondo che ci offre! E allora chi è il sognatore! I grandi poeti ci insegnano a sognare di nuovo, come in quel tempo in cui ciò che abbiamo vissuto abbiamo creduto di sognarlo e ciò che abbiamo sognato abbiamo creduto di viverlo. I grandi poeti ci invitano a sognare ciò che si vede e a sognare ciò che si è, ci insegnano a soggiornare alla frontiera del reale e dell’immaginario.

Conserviamo del passato ciò che ha un futuro, le parole e le immagini nuove, l’infanzia che dura tutta la vita, fin nella morte:

La morte è un sonno, nel quale si dimentica l’individualità:
ma tutto il rimanente si risveglia,
o piuttosto non s’è addormentato.

Mondo come volontà e rappresentazione, Schopenhauer

Occorre allora cercare di comprendere il passato attraverso il presente, ed evitare di sforzarsi di spiegare il presente attraverso il passato: assaporare, con Leopardi, nella nostra vecchiaia il calore della nostra gioventù:

“Uno de’ maggiori frutti che io mi propongo e spero da’ i miei versi, è che essi riscaldino la mia vecchiezza col calore della mia gioventù; e di assaporarli in quell’età, e provar qualche reliquia di quei sentimenti passati, messa quivi entro, per conservarla e darle durata, quasi in deposito; e di commuover me stesso in rileggerli, come spesso mi accade, e meglio che in legger poesie d’altri” Zibaldone, Giacomo Leopardi.

Immaginiamo con Calvino la nostra città dei sogni, dove noi siamo sempre noi giovani. In questa città, “nella piazza c’è un muretto dei vecchi che guardano passare la gioventù: lui è seduto in fila con loro. I desideri sono già ricordi” Le città invisibili, Italo Calvino