Immagini di leggerezza da fare nostre

 

Immagini di leggerezza da fare nostre

Il giorno fu pieno di lampi;
ma ora verranno le stelle,
le tacite stelle. Nei campi
c’è un breve gre gre di ranelle.
Le tremule foglie dei pioppi
trascorre una gioia leggiera.
Nel giorno, che lampi! che scoppi!
Che pace, la sera!

La mia sera, Giovanni Pascoli

Le tacite stelle, il breve gre-gre di ranelle, le tremule foglie dei pioppi, la gioia leggiera, la pace della sera … che musicalità e ricchezza di immagini di leggerezza e riposo ci dona Giovanni Pascoli in questi pochi, semplici e felici versi. Immedesimiamoci in questa felicità delle immagini sonore. Che questa pace della sera diventi la nostra pace!

La leggerezza è propria della poesia: “La mia operazione è stata il più delle volte una sottrazione di peso; ho cercato di togliere peso ora alle figure umane, ora ai corpi celesti, ora alle città; soprattutto ho cercato di togliere peso alla struttura del racconto e al linguaggio”. Lezioni americane, Italo Calvino.

“Togliere peso” è la missione stessa della poesia: l’immaginazione, come la vita spirituale, è caratterizzata dalla sua azione dominante di crescere, di elevarsi; le immagini poetiche hanno appunto la funzione di alleggerimento, appunto ci alleggeriscono, ci alleviano da pesi, ci elevano. Seguono una solo direzione, quella verticale e diretta verso l’alto. Esse sono essenzialmente aeree.

La leggerezza è un valore profondamente umano, che non può non essere poetico. Calvino scopre Leopardi, nel suo ininterrotto ragionamento sull’insostenibile peso del vivere, nel dare alla felicità irraggiungibile il canto di immagini di leggerezza: gli uccelli, una voce femminile che canta da una finestra, la trasparenza dell’aria, e soprattutto la luna.

La poesia deve essere più lieve del sospiro, più leggera di un soffio, se vuole arrivare a penetrare il mistero. E per essere vita e vera deve poter contare sulla leggerezza della mano che accarezza la tastiera:

Mia mano, fatti piuma:
fatti vela; e leggera
muovendosi sulla tastiera,
sii cauta. E bada, prima
di fermare la rima,
che stai scrivendo d’una
che fu viva e fu vera.
(…)
Sii arguta e attenta: pia.
Sii magra e sii poesia
se vuoi essere vita.

Battendo a macchina. Giorgio Caproni

E ancora Caproni prosegue nel suo volo: “Mia pagina leggera: piuma di primavera” (Piuma); fino ad arrivare all’Ultima preghiera, nella quale il poeta invita ancora una volta l’anima a muoversi agile e lieve per superare l’ostacolo del tempo e della morte:

Anima mia, fa’ in fretta.
Ti presto la bicicletta,
ma corri. E con la gente
(ti prego, sii prudente)
non ti fermare a parlare
smettendo di pedalare. 

La leggerezza è nella natura e nell’anima: l’anima si fa senza più peso in Ungaretti e in noi lettori:

Per un Iddio che rida come un bimbo,
Tanti gridi di passeri,
tante danze dei rami,

Un’anima si fa senza più peso,
i prati hanno una tale tenerezza,
Tale pudore negli occhi rivive,

Le mani come le foglie
S’incantano nell’aria …

Chi teme più, chi giudica?

Senza più peso, Giuseppe Ungaretti

E ancora, Dove la luce:

Come un’allodola ondosa
Nel vento lieto sui giovani prati
Le braccia ti fanno leggera, vieni.

Sentimento del tempo, Giuseppe Ungaretti

La leggerezza appartiene al sogno del volo nel vento, fino a dissolversi nella luce.

Tu ti spezzasti
(…)
Alzavi le braccia come ali
E ridavi nascita al vento
Correndo nel peso dell’aria immota.

Nessuno mai vide posare
Il tuo lieve piede di danza.

Il Dolore, Giuseppe Ungaretti

Sono parole e immagini da vivere, e sentirsi totalmente leggeri: rimaniamo sospesi senza più peso, puri, danzanti e aerei, nell’aria come foglie al vento, con Dio che ride come un bimbo e noi senza timori e senza giudizi.

Ed io pensavo: di tante parvenze
che s’ammirano al mondo, io ben so a quali
posso la mia bambina assomigliare.
Certo alla schiuma, alla marina schiuma
che sull’onde biancheggia, a quella scia
ch’esce azzurra dai tetti e il vento sperde;
anche alle nubi, insensibili nubi
che si fanno e disfanno in chiaro cielo;
e ad altre cose leggere e vaganti.

Ritratto della mia bambina, da Cose leggere e vaganti, Umberto Saba

E’ una straordinaria successione di immagini naturali di leggerezza e di infanzia, tutto è bianco e azzurro, dalla cresta dell’onda del mare al cielo. Sono immagini dell’infanzia eterna della natura che ci danno leggerezza e benessere.

Leggere le immagini poetiche davanti alle bellezze del creato richiede stupore, meraviglia. Si direbbe: chi non sa più nulla dei fiori e delle farfalle perde la leggerezza della luce. Non è più in grado di splendere come luce, chi non si stupisce più di quel “bell’Aldilà” dipinto nella polvere della farfalla irraggerà pesantezza.

Le immagini poetiche dei gigli ci fanno contemplare la bellezza della creazione e partecipare alla leggerezza dell’essere. Viviamo per qualche istante felice la grazia, la leggerezza, la bellezza di queste immagini, e così riconosceremo la nostra bellezza interiore.

Immaginando ancora la leggerezza della natura, bastano questi due versi di Cavalcanti per farci immergere in un’atmosfera di sospesa leggerezza e bellezza:

aria serena quand’ apar l’albore
e bianca neve scender senza venti.

L’aggettivo “bianca” e lo “scendere”, due parole scontate, riescono a cancellare, come per incanto, il paesaggio. Ma, osserva Calvino, è soprattutto la prima parola a determinare il diverso significato dei due versi. In Cavalcanti la congiunzione “e” mette la neve sullo stesso piano delle altre visioni che la precedono e la seguono: una fuga di immagini, che è come una sequenza delle bellezze del mondo.

Queste immagini fanno sempre bene, ed è forse per questa aspirazione, profondamente umana, alla leggerezza, che le immagini poetiche diventano così naturalmente nostre – e non invecchiano. L’immaginazione poetica infatti non ha pretese d’autore né età: i poeti, i grandi poeti, rendendoci le immagini della giovinezza dell’umanità, rendono lo spirito giovane, leggero, universale ed eterno. Basta non interpretare le immagini e viverle immedesimandosi in esse empaticamente.

La dimensione è cosmica e immanente: le immagini poetiche interessano il sentimento umano della verticalità universale e dinamico, che spinge l’uomo ad alzare la fronte e a tendere ad una sempre maggiore verticalità verso l’alto. L’essere che alza la fronte è l’essere che si libera e che sta per prendere il volo: butta al vento i capelli, ha conquistato il volo e può sganciarsi.

Su questa stessa dimensione verticale, seguiamo lo sviluppo della casa dei sogni: dalle tenebre e dai segreti della cantina alla vita luminosa, leggera, aerea e solitaria della soffitta, con la cantina per radice e con il nido sul tetto.

Sogniamo la casa seguendo una linea verticale, secondo i due poli della casa onirica, la cantina e la soffitta. Troveremo scale da percorrere, dove con la scala che va nella cantina si scende sempre, mentre con la scala che va alla soffitta si sale sempre. La scala che va nella camera, invece, la si sale e la si scende, indifferentemente, magari amando fare più gradini per volta.

Abitando la casa onirica, scegliamo i sogni buoni, i sogni della soffitta, quelli che ci fanno sentire leggeri e stimolati da innumerevoli immagini. Immaginiamo di salire di giorno in una soffitta di famiglia, con una scala senza corrimano, stretta tra i muri, rovistiamo tra gli oggetti della giovinezza degli avi, travestiamoci, come nei film di Bernardo Bertolucci, con gli abiti dei nonni, con scialli, nastri e cappelli. Nella soffitta topi e ratti imperversano, ma quando entriamo rientrano nei loro buchi. In soffitta la luce del giorno cancella le paure della notte.

Questo inseguire, con tutte le forze dell’immaginazione, l’altezza, richiede una morale e una volontà. Ed è proprio attraverso questa volontà morale che i poeti, con le immagini, ci fanno sperimentare la potenza dell’immaginazione ascensionale, una sublimazione e una leggerezza raggiunte, volute. Sono immagini libere e leggere, che ci guidano verso l’asse verticale di una sublimazione. Il poeta risveglia questa energia ascensionale: insinua in un’anima un’immagine, così viva nella sua anima, che riporta in vita in noi una sublimazione rimossa, dà vita a forze immaginifiche sconosciute da quell’anima.

La poesia aiuta il formarsi di questa volontà che opera a favore dell’immaginazione, di una volontà immaginativa, che non è una volontà che si impone, ma è piuttosto un porsi in una felice prospettiva di attrazione, di distensione e di rilassamento, che invita il lettore a comporre insieme all’autore.

Così la poesia restituisce all’immaginazione il suo ruolo preminente per un vero riposo dell’anima: quella leggerezza ascensionale che, per realizzarsi, richiede un lasciarsi andare all’immaginazione, una partecipazione, un farsi leggeri, aerei, appunto.

La leggerezza si sposa con la solitudine, la pace, la quiete della sera.

Va la nave, sola
Nella quiete della sera.

Qualche luce appare
Di lontano, dalle case.

Nell’estrema notte
va in fumo a fondo il mare.

Resta solo, pari a sé,
Uno scroscio che si perde …

Si rinnova …

Pari a sé, Giuseppe Ungaretti

Leggiamo questi versi, ascoltiamo gli echi di queste immagini di una amata solitudine cosmica. Sono immagini che ci danno la pace, il benessere della quiete della sera, dell’apparire di qualche casa illuminata. Sono immagini di un universo solo, pari solo a sé.

Perdiamoci nello scroscio, in pace col mondo.

Il farsi leggeri trova nel lasciarsi trasportare dal vento, come le nuvole, un particolare abbandono: apriamo le finestre, lasciamo posare ogni essere pesante, riposiamoci nella giocondità dello Scirocco evocato da Dino Campana, lasciamo cullare e svanire all’orizzonte laggiù ricordi speranze: “Sentivo che tutto posava: ricordi speranze anch’io li abbandonavo all’orizzonte curvo laggiù: e l’orizzonte mi sembrava volerli cullare coi riflessi frangiati delle sue nuvole mobili all’infinito. Ero libero, ero solo. Nella giocondità dello Scirocco mi beavo dei suoi soffi tenui. Vedevo la nebulosità invernale che fuggiva davanti a lui: le nuvole che si riflettevano laggiù sul lastrico chiazzato in riflessi argentei su la fugace chiarità perlacea dei visi femminili trionfanti negli occhi dolci e cupi (…) Qualche cosa di nuovo, di infantile, di profondo era nell’aria commossa” Scirocco, Dino Campana

La poesia è questo vento che risveglia, attraverso una lettura leggera e fiduciosa, una comunione di anime: abbandonato ai soffi tenui, il lettore si unisce alle immagini, e mentre vive le immagini offerte risveglia un’immaginazione attiva, dà a sua volta una nuova vita alle immagini ricevute.

Specialmente con le immagini di leggerezza, leggendo, facciamo esercizi di immaginazione, la lettura continua la scrittura, fa rivivere le immagini, e il rivivere di cui si parla non è appunto il vivere una seconda volta, da parte del lettore, un’esperienza vissuta da un altro, ma è partecipare alla potenza e ai valori dell’immaginazione. Immaginando le immagini di leggerezza, diventiamo leggeri, siamo creatori di parole e di immagini, abbiamo quella punta di “orgoglio di lettura” capace di farci arrivare a sentire che quelle emozioni e quei desideri ci appartengono, fino a dirci, ancora una volta, “avrei dovuto scrivere io questi versi”.

Un simile atteggiamento non si può certo assumere alla prima lettura, lettura che conserva ancora troppa passività e distrazioni. Invece, dopo una prima lettura devono seguire altre letture perché, in questo modo, veniamo a conoscere e a vivere le realtà psichiche e spirituali di cui quelle immagini sono fatte. Ma in che modo diventiamo coscienti di queste realtà dell’opera? Leggendo, rileggendo, rileggendo ancora … sempre con leggerezza e capaci di stupirci, scoprendo che quelle immagini erano presenti in noi e passando dalla coscienza di lettore di libri alla coscienza di creatore, e così diventiamo ancora più leggeri ed aerei.

E allora, siamo ben distanti dall’interpretare! Si tratta di fare del tutto nostre le immagini che ci giungono con la lettura. Si tratta di vivere l’essere dell’immagine, in modo tale che ne vada del nostro vivere: si vive come si immagina. Infatti, vivere l’essere dell’immagine significa fare dell’immagine un’esperienza esistenziale, felice e vitale, una ragione di vita, ossia porre l’immagine in rapporto simbiotico con la vita. E’, per noi che non siamo poeti, una delle strade più felici di accesso attivo alla poesia.