Immagini labirintiche intestinali di cadute e discese

 

Immagini labirintiche intestinali di cadute e discese

Siamo esseri profondi, trascinati da un vero istinto di approfondimento. Così la lenta digestione gastrointestinale e l’immaginazione della materia alimentare appartengono insieme all’istinto biologico e all’istinto di immaginare in profondità. E quando scendiamo in noi stessi, mentre scendiamo nel nostro mistero, quando pensiamo e sogniamo in profondità, non possiamo non cogliere l’aspetto organico del cibo che scende. E’ in gioco la verticalità del corpo umano, in discesa, al di là della forza di gravità: il cibo può scendere in noi anche quando siamo capovolti con la testa in giù. E in questa discesa del cibo, l’azione muscolare e delle mucose che l’asseconda non è semplicemente fisiologica, risponde piuttosto ai valori del bene e del male, associati all’altezza e alla bassezza, ad aliti e vapori buoni o cattivi: in profondità, il tubo digerente, un unico e tortuoso condotto, comunica dalla bocca, del cui piacere siamo fieri, all’ano, di cui ci vergogniamo.

E’ un ricco alimentare l’immaginazione dinamica materiale: il tubo digerente, un unico e tortuoso condotto, comunica dalla bocca, del cui piacere siamo fieri, all’ano, di cui ci vergogniamo.

Siamo presi da immagini labirintiche che ci riguardano e che sono un modo di essere nel mondo della vita: la masticazione, il triturare e il distruggere, l’amalgamare della lingua, la salivazione che impasta e produce il bolo che scende nell’esofago e che nella discesa può trovare difficoltà a procedere. E’ questo un sentire ed un immaginare in profondità il nascosto (senza guardare). Sono tutte immagini materiali e al tempo stesso modi essere. Le preferenze per il cibo scelto e l’immaginazione materiale continuano ad interagire nei modi d’essere e di circolazione nel labirinto gastrointestinale.

Immagina l’attività dell’esofago, dello stomaco, dell’intestino, del colon e dello sfintere, attraverso immagini dinamiche di volontà e di discesa, sono superfici avvolgenti muscolari: l’esofago spinge il bolo quando resiste a scendere nello stomaco, dove lo staziona per lavorarlo e trasformarlo con l’acqua e i succhi gastrici. L’intestino tenue spinge lentamente la massa molle e biancastra per assimilare e trasformare in energia che l’organismo potrà consumare. Il viaggio continua lentamente nell’intestino cieco, fino a scaricare nel colon le parti che non sono state assimilate. Il colon continua a lavorare e produce le feci.

Nell’immaginare il cibo solido e il liquido che scendono nel corpo, in questo seguire il nostro istinto di immaginazione in profondità lasciamoci prendere dall’immagine felice di tutto ciò che scorre, dell’acqua corrente naturale che beviamo. L’essere limpida e fresca dell’acqua sarà portatore del valore dell’energia e della giovinezza. Il sogno delle acque della giovinezza si fonda sulla sostanza fresca e giovane qual è l’acqua.

In queste immaginazioni, teniamo conto che ogni liquido che beviamo e che assimiliamo felicemente e in profondità è prima di tutto immagine del latte, del latte materno.

Col mangiare, siamo nell’immaginario delle discese e delle cadute del cibo, ora prima masticato e impastato, la cui digestione inizia già dalla bocca, ora direttamente inghiottito e di difficile digestione.

Con l’inghiottire forse si tratta di superare i valori negativi di angoscia e timore della caduta. Dobbiamo immaginare che si scende per risalire. Pensiamo al ciclo di vita dell’acqua che tanto è presente nel bolo. E’ un ciclo fatto di condensazioni e di evaporazioni: l’acqua cade, sempre cade, fin nelle viscere della terra, lascia la terra, evapora e sale sempre su, in un progress di leggerezza e di purezza. Con l’evaporazione si irradiano purezza ed energia.

Immagina una discesa viscerale frenata e rallentata, alla quale si unisce una qualità termica, un calore dolce, un calore lento e dolce, immagine dell’intimità lentamente penetrata. E’ il buon scendere che si immagina quando tutto scorre e si interiorizza lentamente, con la dolcezza del calore buono. E’ la lentezza e il calore dell’elemento pastoso. E’ un calore morbido e carezzevole, penetrante, guai se bruciante, segno di una profondità intima, di una calda intimità. La discesa felice è allora digestiva e sessuale insieme.

Quando invece troviamo impedimenti a scendere o riflussi gastrici in ascesa, abbiamo a che fare con cattivi pensieri o con immagini non ben assimilate. In questi spiacevoli casi di difficoltà a deglutire o di cattiva digestione, diciamo che è questione di cattiva alimentazione, di aver mangiato cibi pesanti. Ma attenzione a non chiudersi nella rappresentazione fisiologica, sono in azione l’immaginazione e i valori della pesantezza e della leggerezza. Spesso non è il cibo ad essere pesante, siamo noi ad essere pesanti e a non risolvere il dilemma se rimanere pesanti o divenire leggeri. In un’anima nella quale vive quella certezza del bene che fa crescere la fiducia, l’anima e la digestione sono profondamente buone. E’ l’immaginazione della pesantezza e l’essere pesante a rendere pesante e lento da digerire ogni cibo. Alcune immaginazioni, nel dilemma tra il divenire leggeri o il rimanere pesanti, ci fanno ritrovare il dramma del divenire umano. Il fatto è che apparteniamo insieme a due mondi, quello della pesantezza e quello della leggerezza.

Non fissiamoci allora sui fantasmi della difficile discesa o sull’incubo della caduta, il movimento deve seguire la verticale nei due sensi, sia in ascensione che in discesa. E’ una questione morale dell’immaginazione: immagini fondamentali quali la discesa e la salita, la caduta e l’ascensione non possono essere separate né ignorate. Al tempo stesso, la direzione del movimento non è indifferente. L’asse verticale dell’immaginazione dinamica è diretto verso l’alto, segue un orientamento morale, si colloca all’intreccio tra responsabilità e libertà: l’uomo nell’immaginarsi un mondo deve ritenersi responsabile di questo mondo e dell’avvenire possibile che prospetta. Le immagini delle discese e delle ascensioni sono morali, appartengono alla dialettica e al dramma dei valori del basso e dell’alto, del positivo e del negativo, del male e del bene.

Immaginiamo l’andirivieni quotidiano verso il basso e verso l’alto del mangiare, è l’essere a salire e scendere – e con sé tutto sale e scende. In questo continuo andirivieni, si attiva l’immaginazione dinamica fatta di forze, impulsi, che ci fa vivere il duplice destino umano di scendere in profondità e dell’altezza. L’immaginazione unisce i due poli. Ci consente di capire dentro di noi le trasformazioni del cibo discendente e dell’assimilazione ascendente, ci fa capire che qualcosa si eleva quando un’azione viene approfondita, e viceversa che qualcosa viene approfondita quando qualcosa si innalza. L’immaginazione così ci fa conoscere noi stessi nella nostra duplicità: l’essere proiettato nell’immaginazione è duplice, come siamo duplici noi stessi. E l’immaginazione è l’essere stesso, l’essere che produce le sue stesse immagini.

Ed è un buon scendere quando tutto scorre e si interiorizza lentamente, con il calore buono. Quando invece troviamo impedimenti a scendere o riflussi gastrici in ascesa, abbiamo a che fare con cattivi pensieri o con immagini non ben assimilate. Non è il cibo ad essere pesante, siamo noi ad essere pesanti e a non risolvere il dilemma se rimanere pesanti o divenire leggeri. In un’anima nella quale il bene si accentua, nella quale la certezza del bene fa crescere la fiducia, l’anima e la digestione sono profondamente buone.

Se prestiamo attenzione alle difficoltà nell’inghiottire, come ai nostri incubi labirintici, se consideriamo il mordere, il masticare e l’assaporare secondo le prospettive di introversione e di estroversione, scopriremmo che numerose realtà fisiche susciterebbero sensazioni di labirinti. Osservando il comportamento dei nostri condotti, con le loro stratificazioni di mucose e tessuti muscolari, scopriremo che tutta una fluidodinamica interna si offre a darci prova delle nostre immagini psicofisiche di inghiottimenti, masticazioni, digestioni, assimilazioni intestinali e inconsce, percorsi intestinali labirintici, riflussi esofagei, vomiti. Così ci percepiremmo fino in fondo e si apriranno i misteri della profondità.

Immagina. Tutto in noi scorre, giorno e notte a stomaco pieno e a stomaco vuoto. Ogni organo è uno spazio in cui entra qualcosa per uscire in seguito, e ciò che entra e ciò che esce hanno valori ben diversi. Una fluidodinamica interna scorre, trova ostacoli, li supera, esce all’esterno.

Nei sogni labirintici possiamo ritrovare la stessa forza di approfondimento che caratterizza il nostro corpo e il comportamento dei nostri condotti. Tutto ciò che in noi è continuo è conduttore, giorno e notte a stomaco pieno e a stomaco vuoto. Ogni organo è uno spazio in cui entra qualcosa per uscire in seguito e ciò che entra e ciò che esce hanno valori ben diversi.

La fluidodinamica interna scorre, trova ostacoli, li supera, esce all’esterno.

Ogni turbamento, ogni angoscia del labirinto, ogni difficoltà a procedere trova una dimensione inconscia nel sogno e un’espressione organica, intestinale, gastrica. Più immagini concorrono in un’unica immagine ed esperienza umana di fronte ad una situazione tipica.

Camminare a fatica in un sogno significa essere smarrito e vivere quindi la sofferenza dell’essere smarrito. Il cammino difficile del cibo, la sensazione acida del rigurgito esofageo ci fanno sentire smarriti. Questa risalita ci soffoca. Il cibo esita nel mezzo di un unico cammino possibile, diventa materia esitante. Temiamo di essere soffocati. Sembra che viviamo la sintesi tra l’angoscia di un passato di sofferenza e l’ansietà per un avvenire di infelicità. Siamo presi tra un passato bloccato e un avvenire ostruito.

Bisogna spingere, mangiando e bevendo ancora, il cibo che ostruisce l’esofago. Lo sbocco riesce, riprendo fiato. Siamo di fronte all’immagine sintetica di un cammino complicato ed ostacolato e dell’immagine concreta del riflusso esofageo di un cibo che deve essere inghiottito.

Se non riusciamo subito ad inghiottire, a mandare facilmente nello stomaco, diventiamo un pò ruminanti, con una ruminazione costruttiva, come la mucca di un racconto di Grimm rumina il suo Giona.

Si può sentire un intestino duro, rigonfio di bolle che pungono, o un intestino molle, un labirinto duro e uno molle che soffocano. Ma dopo il dolore c’è la gioia di liberarsi.

L’intestino d’altronde è un labirinto dinamico in continuo movimento, siamo presi da dolorosi contorcimenti, stiramenti, torsioni. Sembra che si succedano stati inesprimibili e inauditi della coscienza e dell’inconscio che risiedono e si esprimono nel corpo. Stati di tensione come se tutto si distendesse, si gonfiasse ed esercitasse una compressione.

In questo labirinto preme una volontà di aprirsi un cammino, una via d’uscita, come quando ci troviamo in un mondo pieno di ostacoli.

Consideriamo il labirinto duro, l’intestino dalle pareti pietrificate, spigolose. Si tratta di un labirinto che ferisce a differenza di quello molle e scivoloso. Una volta liberatisi, dopo il dolore c’è la gioia.

In profondità, la lenta digestione gastrointestinale e l’immaginazione della materia alimentare, l’istinto biologico e l’istinto di immaginazione appartengono allo stesso tempo alla natura umana. Perciò i gusti alimentari non vanno confusi per dati oggettivi e irriducibili, come se fossero inclinazioni personali che trovano giustificazione soltanto dall’essere quel che sono. Accettare o rifiutare, digerire o meno un alimento significa prendere una posizione rispetto a un certo modo di essere e ad una particolare materialità dell’oggetto-cibo, “mi rivela l’essere col quale farò la mia carne”. I temperamenti degli uomini, il loro essere e la loro immaginazione si rivelano con chiarezza nelle loro preferenze e nei loro rifiuti per cibi particolari.

Il cibo scelto e l’immaginazione materiale continuano ad interagire nei modi d’essere e di circolazione nel labirinto gastrointestinale. Le immagini labirintiche sono un modo di essere nel mondo della vita: la masticazione, il triturare e il distruggere, l’amalgamare della lingua, la salivazione che impasta e produce il bolo che scende nell’esofago e che nella discesa può trovare difficoltà a procedere. E’ questo un sentire ed un immaginare in profondità il nascosto (senza guardare). Sono tutte immagini materiali e al tempo stesso modi essere. Sono immagini di volontà, dal momento che l’esofago, lo stomaco, l’intestino, il colon e lo sfintere sono superfici avvolgenti muscolari: l’esofago spinge il bolo quando resiste a scendere nello stomaco, dove staziona per lavoralo e trasformarlo con l’acqua e i succhi gastrici. L’intestino tenue spinge lentamente la massa molle e biancastra per assimilare e trasformare in energia che l’organismo potrà consumare. Il viaggio continua lentamente nell’intestino cieco fino a scaricare nel colon le parti che non sono state assimilate. Il colon continua a lavorare e produce le feci.

Rifacciamoci alla portata simbolica e morale di un elemento naturale, primitivo e primario quale l’acqua. Rifacciamoci all’immagine della discesa dell’acqua corrente calda, nutriente, rigeneratrice e purificatrice e consideriamo che questa discesa è stata necessaria per l’assimilazione di energia da parte di tutto l’organismo. Pensiamo in questo senso al destino ciclico dell’acqua tra condensazioni ed evaporazioni: scorre verso il basso, in tutte le fessure che incontra, scende sempre più giù mentre agisce l’assimilazione.

In questa visione, la discesa si unisce alla sequenza assimilazione, sublimazione, ascensione. Così la forza dell’immagine dell’assimilazione rilancia il movimento ascensionale, la direttrice dell’immaginazione aerea, della leggerezza, dell’elevazione dell’anima. Ma si è dovuti scendere in profondità per salire, si deve penetrare nel profondo per dare con l’assimilazione uno slancio continuo alla vita.

Stiamo proponendo condotte e sequenze di immagini morali: si deve scendere nel profondo per procedere nell’ascesa. Il cibo, come tutte le cose, ha una discesa e una salita, nella discesa facciamo precipitare di valori, con la salita dovuta all’assimilazione sublimiamo quelli veri.