In un angolo

 

In un angolo

Era solo un bugigattolo,
ma là dormivo in solitudine.
(…)
Laggiù mi rannicchiavo.
(…)
Provavo quasi un brivido
sentendo il mio respiro.
E’ là che conobbi
il mio vero sapore;
E’ là che fu il me stesso,
che non ho mai svelato.

Odes et Prieres, Jules Romains

In solitudine, soltanto nell’intimità più raccolta e nascosta, possiamo scoprire e sentire il proprio respiro, conoscere il proprio sapore. Che scoperta di se stessi! La solitudine sceglie i suoi spazi. Ogni sognatore per svelarsi ha bisogno di un angolo, di uno spazio ridotto, in cui piace andarsi a rannicchiare, rinserrarsi fisicamente su se stesso. Questo angolo è in primo luogo un rifugio, la propria cella.

O cameretta che già fosti un porto
alle gravi tempeste mie diurne,
fonte se’ or di lagrime notturne,
che ‘l di celate per vergogna porto.

Rerum Vulgarium Fragmenta, Francesco Petrarca

Ognuno di noi ha la cameretta rifugio e porto delle lacrime nascoste, e si può dire che i sogni e le scoperte sono tanto più grandi quanto più piccolo è il bugigattolo.

O letticciuol che requie eri et conforto
in tanti affanni, di che dogliose urne
ti bagna Amor, con quelle mani eburne,
solo ver’ me crudeli a sì gran torto!

Né pur il mio secreto e ‘l mio riposo
fuggo, ma più me stesso e ‘l mio pensero,
che seguendol, talor levommi a volo;

Rerum Vulgarium Fragmenta, Francesco Petrarca

Il sognatore ha bisogno del suo angolino dove raccogliersi e lasciarsi andare sulle onde delle fantasie, in cerca di immensità.

Là in un canto è il mio giaciglio,
quasi il letto d’un guerriero.
Con me giace il mio pensiero,
la mia grande unica cosa.
Io non so più dolce cosa,
né dimora altra mi piace,
che vagar nella mia pace,
come nube in cielo vasto.

Preludio e fughe, Sesta fuga, Umberto Saba

Saba canta il grande valore del nostro fantasticare dal piccolo angolo del mondo: è nel piccolo del cantuccio che giace la nostra più grande e dolce cosa, è da quel letto che il nostro grande pensare sa trovare pace e vagare con la fantasia “come nube nel vasto cielo”. Quanto cielo e quanta pace entrano nel nostro angolo con la parola vasto!

E’ il silenzio e il riparo in se stessi, nei quali possiamo rifugiarci in ogni momento e rimanervi a nostro agio. Che non sia l’angolo del disagio, un luogo dove rannicchiarsi, accucciarsi presi dalla coazione a ripetere, alla ricerca nevrotica di un sostegno, di un posto che segna la mancanza, quando l’errare moderno – perso ogni orientamento e percorso possibile – diventa impotenza a procedere. In queste condizioni, non c’è spazio per il sognare ad occhi aperti e per il riposo attivo.

Nei nostri esercizi di immaginazione teniamo ben presente che per concentrarsi e sognare abbiamo bisogno dello spazio intimo più ridotto. Abbiamo bisogno di una piccola casa all’interno della grande, per ritrovarvi pace e tranquillità, abbiamo bisogno delle sicurezze prime della vita senza problemi: questo è il ruolo dell’angolo o della camera segreta ed ultima della casa. Ci consola sapere di essere in calma in uno spazio ristretto, dove tutto è alla misura dell’essere intimo. Mentre fuori tutto è senza misura.

Immaginiamo allora il nostro angolo all’interno della casa e nella nostra vita, dove trovare le sicurezze fondamentali della vita senza problemi. Gli angoli dove ritroviamo la penombra, il riposo, la pace, il ritorno alla fanciullezza ben vissuta.

Immaginiamoci al lavoro o in meditazione, che leggiamo sul tavolo e sotto la lampada. La stanza tutta è concentrata attorno a noi, che meditiamo seduti al nostro tavolo illuminato dalla lampada. Nel corso della nostra vita, questa inquadratura delle piccole stanze nelle quali noi sognatori a lavoro ci concentriamo conserva la sua vita centrale: in questi angoli si concentra l’energia per lavorare bene, si fondono pensiero, ricordi e fantasie.

Troveremo sempre angoli della nostra vita nei quali il sognatore si concentra per riportare alla memoria l’essere che lavorava. Ricordiamo e re-immaginiamo i nostri angoli di lavoro. Non c’è maggior conforto e nostalgia del ricordarsi le piccole stanze, i tavoli in cui si è studiato, letto, lavorato, in cui si aveva l’energia di fare bene.

“E’ solo una stanza stretta a rendere possibile il lavoro”, Satan l’Obscur, Jean de Boschère.

L’autentico spazio del lavoro e del fantasticare solitari è nella piccola stanza, nel tavolo, o meglio lo spazio sul tavolo segnato dal cono di luce della lampada. Sì, la lampada, è lei a concentrare nei nostri ricordi la casa, a ricreare le solitudini dell’intimità e del riposo attivo. Tutto è concentrato in colui che medita o lavora sotto la lampada. Intorno a lui tutto è riposo attivo, pace. E’ intorno a questo spazio di solitudine e di esistenza in tensione che andrebbe costruita (o almeno pensata) la stanza.

Ciò vale anche per la casa: “La casa è una costruzione (…) ma è anche un’abitazione, un focolare. Ci sono due orientamenti simbolici possibili: per alcuni la casa deve essere costruita prima di diventare aleatoriamente un focolare, per altri (…) la casa rappresenta primitivamente un focolare (…) costoro non scompongono fattori razionali e fattori sentimentali (…) la capanna è a loro familiare più del grattacielo” La schizofrenia, E. Minkowski

In quale dei due tipi ci riconosciamo?

Riviviamo gli spazi delle nostre passate solitudini, gli spazi in cui abbiamo vissuto la solitudine voluta, sofferta, amata. Sono solitudini anguste, strette, semplici, che, anche se non più presenti, rimarranno sempre esperienze incancellabili.

Sono spazi che il geometra ignora, in quanto ignora gli angoli dove ritirarsi a sognare, anche perché, seppure ci sono degli spazi, delle geometrie che ben si prestano al riposo del sognatore, queste non assicurano il vero riposo: la casa, ancora prima di disegnarla, va vissuta – per scoprirne gli angoli.

Considerando che la casa che qui ci interessa è quella del sognatore, gli spazi verranno disegnati e valorizzati per l’esperienza di intimità che danno, per la loro capacità di assecondare il sognare in solitudine, la fantasia dell’infanzia, il nascondersi – invece che l’apparire.

Mappiamo questi spazi così valorizzati, scopriremo che ogni spazio intimo, dove stare in solitudine, è, per l’immaginazione, l’origine di una camera, il germe di una casa.

Costruiremo allora un’altra casa e altre dimensioni, in un angolo, in ogni cantone di una camera, in ogni spazio incassato e ridotto, in cui piace discendere nell’intimo di se stessi e andare a rannicchiarsi, a raccogliersi in se stessi. In un angolo ci faremo una casa.

Non c’ero mai stato.
M’accorgo che c’ero nato.

Constatazione, Giorgio Caproni

Sono gli spazi vissuti dove si raccoglie la vita di nascosto, in silenzio, dove la vita si restringe nell’angolo, per poi espandersi cosmicamente.

Nell’angolo non si parla, se si ricordano le ore vissute in un angolo della casa natale, si ricorda di un silenzio. Essere rincantucciato in un angolo, ritirarsi in un angolo, è avere assicurato un rifugio e al tempo stesso l’immobilità e il silenzio: protetti in angoli e nicchie, col muro alle spalle e con un’apertura da cui si irradia l’immobilità in una camera immaginaria, possiamo stare ben nascosti e in pace, nel proprio angolo. E il sognatore è felice di essere solo e triste. Anche perché, in fondo, l’angolo è anche un luogo della passione e della speranza, dove si medita sulla vita e sulla morte.

Sono queste immagini ed espressioni particolarmente povere, e sappiamo che quanto più le immagini sono semplici e povere tanto più grandi sono i sogni. Dal proprio angolo, ognuno di noi può costruire una camera, una casa, un mondo. L’angolo è la casa dell’essere.

Scopriamo la nostra casa dell’intimità protetta.

Ascoltiamo questo dialogo.

“Mi sedetti di fronte a lei. “Vuoi bene alla casa?” le chiesi.
“Voglio bene a tutto ciò che mi protegge, Pasquale” La fattoria, Henri Bosco

Seguiamo i sognatori abitanti degli angoli, di buchi, per i quali niente è vuoto: il latte era buono, il pane fresco e sentivamo in noi la potenza del rifugio, esseri viventi popolano un rifugio vuoto, tutti gli angoli sono affollati se non abitati.

Ci sono amanti degli angoli oscuri, degli spazi abbandonati, che prediligono fantasticare in nidi di polvere, sulle cose dimenticate in un angolo, su oggetti che sono ricordi di solitudine, nelle minuscole tane di minuscoli esseri racchiuse in quell’angolo.

Seguiamo un essenziale principio del sognare e dell’interiorità: è necessario disporre di un rifugio modesto, si deve trovare un posticino, un angolo modestissimo, povero – dove l’inconscio vive.

Occorre far tesoro di questo principio: è nell’ambiente modesto, nella camera spoglia e solitaria, nelle ore della sera, che bisogna introdurre al sogno, da lì si procede al fondo di se stessi. Immagina di cercare gli angoli ombrosi nella tua casa. Così, in qualsiasi ora del giorno, potrai entrare nella notte, sarai avviato sulla strada dei sogni.

Ci sono poeti che, negli angoli, ripiegati su se stessi, ci dicono di più sulla vita e sull’universo stesso. I poeti, negli angoli, mettono trappole per sognatori, nelle quali ci facciamo dolcemente catturare.

Raccogliamoci e liberiamoci nel piccolo, facciamoci coccinella, raccogliamo i ricordi ed i sogni sotto le ali dell’animale rotondo, del più rotondo degli animali. Sogniamo davanti a questo piccolo guscio improvvisamente volante.

In un angolo, godiamo del grande riposo che ci dona il fantasticare su linee e macchie del tempo del vecchio muro, o sul soffitto screpolato e tappezzato da una tela di ragno. “Mi bastava una fenditura, una pietra sporgente, un intonaco che cadeva a pezzi, per decifrare sul muro il disegno di un fiume sconosciuto, o di una montagna lontana oppure, nei giorni felici, d’un intero continente. Questa geografia murale offriva, alla mia fantasia, strade, torrenti, qui un abisso, là una foresta, più lontano la linea curva d’un grande golfo, altrove la distesa d’un deserto invalicabile (…). Era sufficiente che grattassi un pezzetto d’intonaco, con la punta del dito, perché una penisola caduca cambiasse d’aspetto. Mi avvicinavo il più possibile al muro, per meglio controllare gli effetti del minuscolo cataclisma”. Tonino, Henri Bosco.

Sappiamo abitare bene le rientranze di uno zoccolo, ritroviamo la nostra capanna nell’angolo più basso della soffitta, sposiamo la grazia di una curva che dà calore e invita ad arrotondarci e ad avvilupparci. La felicità dell’immagine poetica ha la forma della curva, della rotondità e della pienezza. La pesca è il frutto più rotondo, dunque più bello e felice.

Non riusciremmo a spiegarci i poteri di attrazione di tali spazi, se non consideriamo i valori che li governano. Come possiamo pensare di andare ad abitare armoniosamente nell’ansa di una voluta, nel seno di una curva? Che senso ha che una curva è calda e accogliente? che è un invito a dimorare? Com’è che non abbiamo dubbi che uno spigolo sia freddo e respingente, che la curva è femminile e che lo spigolo è maschile. Siamo nel regno dei valori, la curva amata ha poteri di nido, vuole essere posseduta, è un angolo curvo, è un disegno abitato. Ci troviamo qui di fronte ad un rifugio minimo, nel quale riposare bene.

Questi spazi e postazioni minimali mettono in condizioni elettive: nascosti, in silenzio, soli; questi spazi sono straordinari portatori di valori: semplicità, povertà, intimità, infanzia. Lì troviamo spesso gli oggetti di solitudine, immobili e muti, gli antichi oggetti, logori e abbandonati in un angolo. L’angolo diventa un armadio di ricordi che ci interrogano e ci fanno riposare e fantasticare in pace. Rientro in me stesso, e trovo un mondo!

E’ un mettere la vita in un angolo, ridotta ai suoi termini più semplici.

“Tu conosci da tempo la mia abitudine di insediarmi in qualche posto, di costruire la mia capannuccia in un luogo ameno e di vivervi colla più grande semplicità”. I dolori del giovane Werther, Goethe

Infine cerchiamo il nostro angolo nel mondo, il nostro angolo della pace, e l’angolo della pace lo troviamo infine in noi:

Ora accucciato in me
ora dormire
perché mi gravi
tranquillità

Le suppliche, Giuseppe Ungaretti

Possiamo trovare la riservatezza e l’intimità dell’angolo anche in una città, purchè sia la nostra città amata:

La mia città che in ogni parte è viva,
ha il cantuccio a me fatto, alla mia vita
pensosa e schiva.

Trieste, Umberto Saba