La finestra illuminata

 

La finestra illuminata

La casa illuminata provoca la volontà di guardare dentro le cose, in profondità, rende la vista acuta e penetrante. E’ un cercare di guardare ciò che non si vede, è un violare il segreto di ciò che è nascosto – o che si immagina nascondersi. Lo sguardo da fuori è teso, vuole vedere al di là, all’interno della casa, ma si tratta di una curiosità non aggressiva. E’ la casa che mentre mette in luce mette in ombra. Una casa ha sempre un cuore da scoprire. Occorre penetrare nel cuore della casa che per forza deve esistere da qualche parte. Non esistono case senza nascondigli. Ogni solaio nasconde una scala segreta che lo mette in comunicazione con la cantina.

La finestra illuminata attiva l’attrazione dello spazio piccolo, intimo, misterioso, specialmente se la finestra appunto è di una piccola casa isolata o di un appartamento di un palazzo. Teniamo sempre ben presente il richiamo del piccolo spazio. E’ un vedere con gli occhi dell’immaginazione quanto il piccolo è profondo e intimamente grande.

Pensiamo alla Finestra sul cortile di Alfred Hitchcock. Il fotoreport immobilizzato alla finestra è attratto dal mistero dietro le finestre che danno sul cortile. Col suo obiettivo grandangolo osserva il brulichio delle persone, le agitazioni intestine degli appartamenti. Sono immagini ambigue dell’attività o dell’agitazione. Secondo gli stati d’animo dello spettatore, sono immagini di contesa o di unione intime. Quando dietro le finestre illuminate si immagina un fermento di ostilità, non c’è riposo per nessuno, per il fotoreporter, lo spettatore, gli attori: dietro le finestre illuminate immaginano. Non è dato liberarsi dalle paure e dal desiderio di penetrare, siamo impegnati a fondo in ciò che vediamo sullo schermo e che immaginiamo. L’occhio e l’orecchio sono tesi verso il dentro e verso l’oltre.

Questa dinamicità del dentro e del fuori si ha anche nell’archetipo della casa illuminata. Siamo a casa nostra, in campagna, nascosti, guardiamo fuori. La finestra è un occhio aperto, uno sguardo rivolto alla pianura, all’orizzonte lontano, all’infinito. La casa dà all’uomo che sogna da dietro alla finestra, dietro alla piccola finestra, la sensazione di un esterno tanto più vasto quanto più piccolo è l’interno e quanto maggiore è l’intimità della sua stanza. La dialettica del piccolo e dell’immensità sembra farsi chiara quando è l’essere nascosto che vede il mondo attraverso la cornice della finestra.

Pensiamo alla casa che si illumina al crepuscolo e che ci protegge contro la notte. La luce diventa la coscienza della sera che sopraggiunge, la coscienza della notte che viene dominata. La luce ha un valore di protezione.

Immaginiamo: la luce, più che far vedere il mondo esterno, tiene lontana la notte dai vetri. Col sopraggiungere della sera, dentro di noi si avvicina la vita notturna, la lampada trattiene i sogni che si impadroniranno di noi. La casa si trova allora alla frontiera tra due mondi.

Immaginiamo di trovarci in cammino davanti ad una luce lontana, di una casa isolata nella campagna.

Lo stesso vale se siamo davanti alla luce di una finestra di un palazzo metropolitano: la finestra illuminata fa della stanza un’isola nella facciata del palazzo, un isolotto di luce nel mare delle finestre buie.

In ogni caso, ci stupiamo del potere attrattivo di quella luce! Che valore di intimità ci ricorda! come non pensare all’intimità della vita che certamente si svolge nel calore e nella solitudine concentrata di quella luce. Nella casa isolata e illuminata le persone unite sotto la lampada si sentiranno un gruppo forte su di un’isola, sostenuto dalle forze luminose della casa contro un’oscurità respinta. Godiamo dell’impressione di sicurezza che dà la casa illuminata in mezzo alla campagna. La casa illuminata è come una stella che guida il viandante smarrito.

Ecco che torna l’archetipo della capanna dell’eremita. La lampada rimane accesa tutta la notte. Non è la lampada che si accende al mattino o alla sera per coricarsi. La lampada di un altro turba il riposo accanto alla propria lampada, sconvolge la nostra solitudine. Una delle due lampade è di troppo. Due solitudini sembrano incompatibili. L’altra lampada è una lampada che attende. Veglia così insistentemente che sorveglia.

La lampada attende e sorveglia, dunque è ostile. Non resta che sorvegliare il sorvegliante.

Ora proviamo a ribaltare la situazione. Il sognatore ha bisogno di conforto: la lampada da ostile diventa una buona lampada, la luce che emana sembra più familiare, più amichevole; il sognatore ne ama la calma presenza, diventa la lampada del raccoglimento.

Sono immagini e condizioni d’animo che abbiamo preso da Henri Bosco, dal suo sognatore sull’altopiano deserto, che fantasticando sulla lampada lontana, immerso nella pianura coperta di neve, dice: “vedevo la lampada: era lei che mi tratteneva. Ora la guardavo con sorda tenerezza. L’avevo accesa per me: era la mia lampada. Giunsi a immaginare simile a me colui che vegliava nella notte, così tardi, sotto la sua tiepida luce. A volte, trascinato al di là di questa somiglianza, immaginavo me stesso, assorto in qualche meditazione che mi rimaneva peraltro impenetrabile” Hyacinthe. Colui che veglia sotto la luce della lampada rimane impenetrabile. La sua intimità rimane inviolata. La lampada di un altro alimenta il mistero. Non resta che sognare.

La luce silenziosa e solitaria è lo spirito che veglia sulla stanza che stiamo lasciando uscendo di casa: la lasciamo accesa a vegliare la stanza, ogni stanza, al centro della casa.

Spesso lasciamo accesa la televisione, senza audio, ad abitare la casa. Forse quello che ci rassicura è il fatto che la televisione è sempre disponibile a trasmettere e ad aspettarci.

Sì, la luce calda, diffusa, è una fedele compagna, specialmente nel fantasticare serale.

Immaginiamo le lampade animate del Pascoli di La poesia: la lampada che arde soave con la sua fiamma guarda, ascolta, raduna a cena, oscilla davanti a una dolce Maria, muore nei lucidi albori.

Siamo di nuovo in cammino. Non lasciamoci incantare dalle luci intime, ora siamo diretti ad una meta precisa e ad una casa amata, cerchiamo una guida:

Stan come oscuri sogni
le case nella via;
io, nel mantello avvolto
tacito passo via.

(…)

La luna ho a guida, e illumina
le vie come un amico;
ecco la casa … io lieto
mi volgo all’astro e dico:

Grazie che mi fai chiaro,
mia vecchia confidente;
or ti congedo, illumina
or tutta l’altra gente

Ritorno, 71, Enrich Heine

L’intimità e l’illuminazione assumono una dimensione cosmica: la casa è la meta annunciata, l’altra casa è l’universo amico.