L’intimità delle cose

 

L’intimità delle cose

Un fumo bianco
su un cielo azzurro
da una capanna
di fango.

Un lupo in agguato, Abbas Kiarostami

Questa immagine evanescente ed evocatrice non ci dà il tempo per guardare dentro la capanna di fango, possiamo soltanto immaginare una presenza, un’intimità e fantasticare salendo leggeri col fumo bianco su un cielo azzurro.

Mettiamoci alla finestra, con Umberto Saba, a scorgere, guardare e ascoltare, incantati, dentro una grande casa come in ogni cosa, la verità intima, dolce, gioiosa della vita.

Sfuma il turchino in un azzurro tutto
stelle. Io seggo a la finestra, e guardo:
guardo e ascolto però che in questo è tutta
la mia forza: guardare e ascoltare.

Guardo dentro un’enorme
casa, che tutte aperte ha le finestre.
Di quella vita, de le usate forme
di vita che colà scorgo, si pasce
il mio pensiero, e d’una verità
dolce a ridirsi, d’una che darà
gioia a chi attende, gioia da ogni cosa.

A la finestra, Umberto Saba

Da questa postazione alla finestra, che fiducia e gioia per l’essere umano!

Leggiamo questi versi con voce aperta, dolce e gioiosa della vita. Lasciamoci prendere dalla grande forza della dialettica del guardare e dell’ascoltare, dell’apparente e del profondo, del mostrare e del nascondere, del mascherare e dell’ostentare, della messa in luce e della messa in ombra.

Altra cosa è guardare dalla finestra, affacciati, quando l’occhio è disteso e lo sguardo pienamente rilassato. Allora tutto un mondo, come in miniatura, si raccoglie entro la cornice di una finestra. Da qui, mentre vediamo un panorama, possiamo sognare e vedere finire o cominciare il Mondo. Il panorama viene decomposto, come attraverso zoom e primi piani, per fissare particolari, in modo che le foreste diventino alberi, la casa le pietre. E poi ricomporli nel campo lungo …

Ma lasciamo il paesaggio che si presenta davanti alla finestra, abbandoniamoci al sogno, al desiderio di espanderci, di guardare oltre, ed interrogare il creato e domandarsi …

“soli, ella io, affacciati alla finestra aperta sul giardino interno della casa dove abitavamo presso Ostia, alle foci del Tevere (…) Parlavamo tra noi, soavissimamente, e, dimentichi del passato e volti all’avvenire, ci domandavamo … “ Le confessioni, Agostino

Agostino e la madre, alla finestra, con le loro domande, sono nella condizione dello spirito volto al futuro e con la bocca del loro cuore aperta al fluire celeste della fonte di vita che è nel Signore. Si chiedono quale sarà mai quella vita eterna dei Beati, che “nessun occhio vide, nessun orecchio udì, che rimane inaccessibile alla mente umana” Is LXIV.

Non ci basta enumerare le bellezze del creato, la nostra vita interiore ci spinge più in alto, nella contemplazione, nell’ammirazione delle opere del Signore. Così come non ci basta fissare in superficie. Siamo esseri profondi. Vogliamo guardare ciò che non si vede (o non si deve vedere). Siamo attratti dall’invisibile. Abbiamo forze psichiche in azione per abbandonare gli aspetti esteriori e vedere un’altra cosa: per vedere l’interno, il nascosto, il mistero. Dolcemente, senza essere presi da una curiosità, che può essere aggressiva, come quella del bambino che distrugge il giocattolo per scoprire cosa c’è dentro.

Pensiamo a quale immagine della profondità, di intimità, di raccoglimento e di silenzio interiore ci offre Maria! L’evangelista Luca ripete, diverse volte, che Maria “da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore” (2,19; cfr 2,51b). Maria è custode, non dimentica, approfondisce nel suo cuore, il suo è un processo continuo di interiorizzazione.

Così, giorno dopo giorno, nel silenzio della vita ordinaria, Maria ha continuato a custodire nel suo cuore gli eventi mirabili di cui è stata testimone, fino alla prova estrema della Croce e alla gloria della Risurrezione. Nel nostro tempo, siamo assorbiti da tante attività e impegni, preoccupazioni, problemi, siamo tutti presi a riempire ogni spazio della giornata, tanto che non abbiamo un momento per fermarci a riflettere, a guardare e ascoltare, o a raccogliersi in silenzio e nutrire la vita spirituale.

Viviamo l’annullamento attuale della prospettiva della profondità, il rimanere alla superficie delle cose, valutando che tutto è solo apparenza e che sia inutile approfondire, e ancor più inutile immaginare. Com’è possibile questo dominio delle apparenze, quando il mondo è così bello, così bello nelle sue profondità. La bellezza è ovunque, e basta penetrare nell’intimo delle cose per gustare la pienezza di gioia, nella libertà da ogni contaminazione d’interesse, che è propria della gioia. Come non rendersi conto che ogni qualvolta ci rivolgiamo all’interno e all’intimità delle cose, troviamo riposo, si accende l’immaginazione, ed è poesia. Una volta, superate le apparenze, come troviamo spazioso, intimo e riposante lo spazio interno!

Questo istinto e prerogativa umana di andare in profondità, in un mondo in profondità, porta a guardare dentro le cose, e a trovarvi riposo. Seguendo i poeti e i sognatori, penetrando all’interno di alcuni oggetti, è facile rendersi conto che conoscere l’intimità delle cose fa immediatamente sognare. Una volta superata la percezione di superficie e la tensione a penetrare, con l’occhio e l’orecchio tesi, si procede ad una distensione di tutto l’essere: e allora diremo: ”com’è spazioso lo spazio interno! com’è riposante l’atmosfera intima!”. Ecco per esempio un suggerimento di Henri Micheaux in Magia: ”Metto una mela sul tavolo. Poi mi metto dentro questa mela. Che tranquillità!”.

Ogni sognatore può abitare una mela. L’immaginazione, come abbiamo più volte osservato, ha la funzione di miniaturizzare e, dal momento in cui si inizia a sognare nel mondo della piccolezza, tutto si ingrandisce. Gli oggetti sognati infatti non mantengono mai le proprie dimensioni, specialmente nell’interno. L’interno dell’oggetto piccolo si ingrandisce, diventa la casa dell’intimità protetta.

Visitiamo allora tutti gli oggetti dall’interno. Penetriamo con l’immaginazione in tutte le pieghe di una noce. Entriamo nel guscio, concentriamoci felici, raggomitolati, rannicchiati e protetti. E’ rientrare nel nostro guscio, per vivere l’autentico ritiro, la vita ripiegata su se stessa, l’immaginazione dell’intimità protetta. E’ questo un valore che protegge.

Torniamo alle antiche e dolci cose che abbiamo amato:

Quanto un giorno v’ho amato, belle cose,
che siete là nella vetrina, e altrove
siete, nell’ombra e nel sole, ed oh quale
ho nostalgia di lasciarvi!

La vetrina, Umberto Saba

E’ tornare ad immaginare gli avi laboriosi che le hanno prodotte, è rientrare nel pio passato e nell’intimità delle cose e nel nostro guscio, quando la vita era più degna e più umana.

Invitiamo, dall’interno del guscio di noce, alle fantasie lillipuziane. Sono tonificanti e benefiche, ci fanno vivere i tesori dell’intimità delle piccole cose.

C’è un valore, un’ammirazione per il piccolo e per l’essere concentrato, “racchiuso in un guscio di noce”: le immagini di intimità hanno un grande valore. Rosenkrantz dice ad Amleto:”E’ la vostra ambizione che rende la Danimarca una prigione per voi, la vostra anima vi sta troppo stretta”. E Amleto risponde: ”O mio Dio! Resisterei in un guscio di noce; crederei di starci largo e di essere re di un impero illimitato … se non facessi brutti sogni”.

Che c’è di più unito e compatto, intimo e chiuso dell’intimo di un bocciolo di rosa, della sua forma che stringe indissolubilmente, forma completa, che sa contenersi in se stessa pur attraverso mille giri.

Nell’immaginazione di Teresa di Gesù Bambino, la rosa è un profondo interno che accarezza e si contiene, per offrirsi come dimora della goccia di rugiada.

Rilke paragona l’interno della rosa ad una dimora angelica, per esprimere che gli angeli abitano in una dimensione di grande unità, che unisce e divide, che li fa essere là e al di là.

L’interno della noce, l’interno del bocciolo di rosa hanno certo il valore di una felicità primitiva, della felicità ben custodita, che ha bisogno di concentrazione e di intimità, ma indubbiamente la felicità è espansiva e verticale, suggerisce una sorta di sublimazione vegetale: dalla radice si genera il ramo e da questo spuntano le foglie più aeree, infine i fiori esalano gli spiriti odorosi, aspirano agli spiriti vitali, forniscono al tempo stesso la vita, il sentimento, l’immaginazione.

Quando questo interno si apre, quando la rosa comincia a schiudere le labbra dei pedali, ecco l’immagine, sempre viva, della bocca di rosa.

Godiamo di questa dialettica del raccoglimento nell’intimità dell’interno e dell’espansione verso il cielo aperto.

Vediamo in ogni luce dei fiori. Il focolare sembra un rosaio. Guarda le rose rosse! Guarda il fuoco delle rose! Ardono veramente! E il fuoco va sempre verso l’alto.

Questa sublimazione vegetale è ancora più immaginabile nei fiori acquatici. Davanti ad una composizione di Monet, tutto lo stagno è avvolto dal profumo del suo fiore fresco, giovane e ringiovanito dalla notte. Seguiamo queste immagini del ciclo rassicurante e rigenerante: al calar della sera il giovane fiore va a coricarsi sotto l’onda. E così, ad ogni aurora, il fiore della ninfea, ristorato dal buon sonno della notte estiva, rinasce con la luce, e per questo rimane eternamente giovane, figlio immacolato dell’acqua e del sole. Certo, viene il giorno in cui il fiore è troppo maturo, troppo consapevole della sua bellezza per rassegnarsi a nasconderla col calar della sera. Bella come un seno, la sua bianchezza ha preso una sfumatura di rosa.

Teresa di Gesù Bambino, in proposito, ci dà anch’essa la sua immagine di sublimazione vegetale e di respirazione cosmica: la goccia di rugiada che scende nel calice del fiore sapendo che è destinata ad evaporare e a salire in cielo.

Per comprendere la qualità di queste immagini, ed il benessere psichico che danno, occorre avere la consapevolezza che siamo nel regno dei valori: sono proprio i valori dell’intimità a vivere la dialettica di concentrazione ed espansione, dell’introversione e dell’estroversione, del piccolo e del grande. Nell’intimità profonda e sognata delle cose, si è soliti sprofondare in un mondo senza limiti. Ogni ricchezza intima è esuberante, trabocca, aumenta senza limiti lo spazio interiore in cui si condensa. Quando penetriamo e sogniamo nella profondità delle cose, scopriamo che nelle cose si annida una immensità e che l’immensità è una dimensione intima. E in questa immensità intima riposiamo bene.

Rilke, in Intimità di una rosa:

Che cieli si ammirano là
nel lago interno
di queste rose dischiuse.
Riescono appena a reggersi da sole,
numerose, piene, traboccano di spazio interiore
compiendosi in queste giornate
in un’ampia pienezza, sempre più vasta,
finchè tutta un’estate diventi una stanza,
una stanza in un sogno.

Diciamo questi versi con una voce sostenuta dall’energia intima che si irradia da un piccolo dono della natura: un cielo occupa lo spazio di una rosa, tutta un’estate è riflessa nel lago di un fiore, l’espansione dello spazio interiore si confonde con l’intimità del mondo esterno. Seguendo il poeta, entriamo in un’estate che è tutta in una stanza e in un sogno.

Questa tensione a penetrare la profondità delle cose è forse così tonificante e benefica perché vuole insinuarsi dappertutto, invitandoci a ritrovare la sorgente originaria, rientrando nel nostro guscio, e penetrando in ogni guscio, per vivere la vita ripiegata su se stessa, tutti i valori del riposo e dell’uscita dal guscio, della creazione continua.

E’ un richiamo all’intimità delle cose, portatore di immagini del segreto e rivelatore di un bisogno di segretezza, strettamente solidale agli spazi dell’intimità originaria. Immaginiamo di tenere nel palmo delle mani una ciotola di legno laccato, di brodo caldo, e contemplare l’oscurità impenetrabile del fondo: “Amo il legno laccato specialmente quando tengo in mano una ciotola di brodo caldo. Ne amo il peso; ne amo il tepore. Così tenera è la sensazione che mi sembra di tenere in mano il corpo di un neonato. Non è un caso che la minestra si serva ancora nelle ciotole di legno laccato, esse hanno virtù che mancano a quelle di ceramica o porcellana. Sollevando il coperchietto si sa subito che colore ha il liquido e cosa contiene. E’ cosa straordinariamente bella invece sollevare il coperchio di una ciotola in legno laccato mentre ci accingiamo ad accostarla alla bocca, contempliamo per un istante il brodo, che ha una sfumatura non molto diversa dal recipiente, stagnare nell’oscurità impenetrabile del fondo (…) V’è qualcosa di mistico (…) Mi sento colmo di una gioia estatica”. Libro d’ombra, Junikiro Tanizaki

Non ci riferiamo soltanto a oggetti che si aprono, a scrigni, cofanetti, cassetti e armadi, il cui spazio interno certo non si apre davanti chiunque. Ogni intimità si nasconde, ogni cosa al suo interno ha un segreto da proteggere. C’è un bisogno di segretezza nell’uomo. C’è un’omologia tra la psicologia del segreto, l’essere chiuso e la gioia di aprire cofanetti, a più strati e a più serrature. Allo stesso modo, si potrebbe dire che alcuni poeti ci affidano la lettura del loro cofanetto: ecco ci aprono scrigni che condensano ricchezze cosmiche in un minuscolo cofanetto. Quale segreta grandezza può contenere un piccolo cofanetto!

Chi non ama chiavi e serrature? Chi non prova gioia nel trovare una scatola che chiude bene, sapendo che ad una dolce chiusura corrisponde una apertura dolce?

Lo scrigno, il cofanetto soprattutto, sono oggetti che si aprono, e nel momento in cui il cofanetto si apre, tutto il fuori ed il mondo intero sono cancellati d’un tratto, e tutto è preda della novità e della sorpresa: si è aperta la dimensione dell’intimità da scoprire.

Riviviamo l’apertura di un cofanetto, vi si nasconde un tesoro generatore di sogni e di altri tesori, per cui non giungiamo mai al fondo del cofanetto.

Lavoriamo un po’ il segreto, nascondiamo e nascondiamoci, sapendo che immaginare sarà sempre più ricco che vivere. Il cofanetto è un nascondiglio di oggetti, ed ecco che ci sentiamo nella prigione del proprio segreto. Lo si vorrebbe aprire, e ci si vorrebbe aprire, ma ogni intimità si nasconde.

Immaginiamo di aprire un mobile intarsiato: esseri immaginari nascono dal segreto del mobile, come in un immaginario disneyano: si intravede una festa clandestina, minuscoli minuetti, gli intrighi che tramano nel mobile. Una volta chiuso il cofanetto, nell’intimità del mobile continua una vita notturna. Quando siamo invasi dai rumori esterni, allora strane cose avvengono nella sala del mobile, alcuni personaggi che non avevamo visto prima vengono fuori. Ci saranno sempre più cose in un cofanetto chiuso che in un cofanetto aperto!

Dall’incanto delle sorprese alla commozione per ritrovare le care cose al loro posto:

Immensa gratitudine alla vita
che ha conservate queste care cose;
oceano di delizie, anima mia!
Oh come tutto al suo posto si trova!
Oh come tutto al suo posto è restato!
In grande povertà anche è salvezza.

Il piccolo Berto, Cucina economica, Umberto Saba

Umberto Saba evoca valori che ci riguardano, un sentire profondamente umano: la sacralità del conservare e del trovate le care cose al loro posto, la salvezza propria della grande povertà, il tornare al proprio luogo, dove si è nati e dove vorremmo morire. E’ un sentirsi vicini alle proprie origini, al persistere di un ordine che fa bene.

Ci sono oggetti e tesori nascosti, sotterrati nel terreno della nostra anima. Per scoprirli, occorre scavare, scavare, con le nostre mani, sporcarsi e saggiare l’humus della terra. Dobbiamo pervenire al fondo della nostra anima, per portare alla luce il tesoro prezioso, il proprio e autentico sé.

Questa ricerca in profondità ricorda l’immagine del tesoro nel campo del Vangelo di Matteo. E’ un percorso nel quale toccheremo anche le nostre ferite e la perla che appunto si forma nella ferita dell’ostrica, la perla preziosa della parabola, che per averla, il commerciante vende tutto ciò che possiede. Dobbiamo affrontare queste ferite e scoprire la perla, il nostro sé, la nostra preziosa immagine originaria e trasformare le ferite in perle.