Ritorni dell’infanzia perduta

 

Ritorni dell’infanzia perduta

Quando il bambino era bambino,
se ne andava a braccia appese.
Voleva che il ruscello fosse un fiume,
il fiume un torrente,
e questa pozza il mare.
Quando il bambino era bambino,
non sapeva d’essere un bambino.
Per lui tutto aveva un’anima,
e tutte le anime erano tutt’uno.
Quando il bambino era bambino,
su niente aveva un’opinione.
Non aveva abitudini.
Sedeva spesso a gambe incrociate,
e di colpo sgusciava via.

Lied Vom Kin, P. Handke

Quali migliori immagini della volontà di irrealtà liberata dal bambino che è in noi! E della mobilità improvvisa dell’immaginazione aperta ed evasiva!

Queste immagini ci fanno prendere coscienza che le solitudini di oggi, in una immaginazione tranquilla, ci restituiscono le solitudini vissute nell’infanzia, quelle solitudini infantili in cui il bambino conosce un’esistenza senza limiti e si sente padrone e figlio del mondo. Non ci riferiamo al lavoro della memoria, ai nostri ricordi personali ma al privilegio dell’immaginazione che reimmagina tutta la nostra infanzia. Sono le immagini infantili, immagini create dal bambino che è in noi, sono le immagini risvegliate da un poeta, sono manifestazioni dell’infanzia permanente che è in ognuno di noi e che i poeti sanno rivitalizzarci.

Eppure permane la storia della nostra infanzia, l’infanzia raccontata e ripetuta dagli altri, di cui ci serviamo per ricordarci. Ma quando, sognando in solitudine, cerchiamo di rivivere il nostro passato, i tempi della nostra vita, si lascia la superficialità dei ricordi e scendiamo in profondità.

“L’isolamento è un tagliarsi fuori ma la solitudine è un vivere dentro”

Un eremo non è un guscio di lumaca, Adriana Zarri.

L’immaginazione, in solitudine, ci aiuta a scendere così profondamente in noi stessi che veniamo tagliati fuori, liberati dal racconto degli altri, da quella che è la nostra storia raccontata.

L’infanzia anonima, eterna rivela più cose sull’anima che l’infanzia personale, presa e raccontata nel contesto di una storia familiare.

E allora, sempre in noi, come un fuoco dimenticato, un’infanzia può ricominciare.

Nella mia infanzia nasce un’infanzia ardente come l’alcool.
Mi sedevo nelle strade della notte.
Ascoltavo il discorso delle stelle
e quello dell’albero.
Ora l’indifferenza ricopre di neve la sera della mia anima.

Altazor, Vicente Huidobro

L’infanzia ardente, seduti nelle strade della notte, l’ascolto delle stelle e quello dell’albero, che felice e rapido montaggio di immagini! Che polarizzazione degli stati di animo riviviamo attraverso gli elementi della natura: il fuoco dell’infanzia ardente e la neve della sera dell’anima!

Abbiate fiducia! Aiutati dai poeti, possiamo superare il freddo di oggi; ritrovare, nel raggiungere i ricordi delle nostre solitudini infantili, la bellezza vitale, la bellezza di uno slancio che ci vivifica, ritroviamo quel fantasticare che nell’infanzia ci dava la libertà. Scopriremo un’infanzia potenziale ed inesauribile che è in noi. E quando la ritroveremo nelle nostre fantasie, la rivivremo nelle sue potenzialità.

Sogniamo le felici immagini dell’infanzia dell’umanità cantata da Leopardi.

“Che bel tempo era quello nel quale ogni cosa era viva secondo l’immaginazione umana e viva umanamente cioè abitata o formata di esseri uguali a noi, quando nei boschi desertissimi si giudicava per certo che abitassero le belle Amadriadi e i fauni e i silvani e Pane ec. ed entrandoci e vedendoci tutto solitudine pur credevi tutto abitato e così de’ fonti abitati dalle Naiadi ec. e stringendoti un albero al seno te lo sentivi quasi palpitare fra le mani credendolo un uomo o donna come Ciparisso ec. e così de’ fiori ec. come appunto i fanciulli” Zibaldone.

Oppure sogniamo tutto quello che sarebbe potuto essere, o meglio, riviviamo l’infanzia nel presente, avendo consapevolezza che è proprio questa infanzia permanente, aperta alle nostre fantasie, a rendere possibile la comunicazione tra un poeta e un suo lettore, e ci permette, con l’aiuto dei poeti, di comprendere ed amare i bambini, come se fossimo a loro uguali.

Non si tratta di ritrovare ciò che si è perduto, perché non è stato vissuto o non è ricordato. La ricerca dell’infanzia perenne che è in noi appartiene alla ricerca del proprio “centro interiore”, del proprio sé. E’ quello che succede nella parabola di Gesù alla donna che ha perso una delle dieci monete, diventando l’immagine di chi ha perso di vista la propria identità, di chi è alla ricerca del proprio sé. La donna della parabole spazza tutta la casa: occorre eliminare lo sporco, tutto lo strato polveroso che offusca la sua anima, affinchè possa ristabilirsi il primitivo splendore e scoprire l’immagine originaria che è in lei.

Ci sono immagini che a tutti fanno ricordare di averle già vissute. Ci accade facilmente stando fuori casa, quando, in solitudine, siamo presi nella contemplazione di una grande bellezza del mondo. In queste situazioni, abbiamo l’impressione di ricordare, senza quasi accorgercene, siamo riportati a vecchie fantasie. Immagina: siamo davanti ad un grande lago, in mezzo ad alte montagne. Ci ricordiamo questa immagine. I nostri ricordi partono da un semplice fiume tra le colline. Ma la collina si ingrandisce, l’ansa del fiume si allarga, tutto si ingrandisce sempre di più. Avvicinandosi al mare il fiume si allarga, si allarga; andando verso l’autunno la notte s’allunga, s’allunga.

In queste fantasie, abbiamo che il mondo immaginario infantile è più grande del mondo che si offre all’immaginazione di oggi. Il bambino vede grande e vede bello. Ma solo l’immaginazione poetica, davanti a un grande spettacolo del mondo, può darci le immensità primitive e infantili.

Sognare l’infanzia, allora, non è ricordare e archiviare episodi, volti, luoghi, la memoria storica perde ogni privilegio, quando viviamo e riviviamo la condizione del bambino solitario sognante, del bambino che fantastica ed è solo, assolutamente solo, in situazioni prive di avvenimenti, libero da accidenti: vive nel mondo della sua fantasia e nel mondo primitivo delle immagini.

Sogniamo l’infanzia, è un riaprirsi e unirsi al mondo favoloso delle prime contemplazioni, in ore senza nome e senza durata, ore in cui non capita nulla ed aperte all’immemorabile. Quindi è nel ricordo di questa solitudine cosmica che dobbiamo trovare il nucleo di infanzia. Al di là della nostra storia, si estende una memoria più lontana. E’ il ricordo inutile dell’infanzia inutile, che ritorna come alimento dell’immaginazione. E’ l’affermazione stessa dell’utilità dell’inutile.

Nei campi
della sua infanzia eterna
il poeta passeggia.
Non vuole dimenticare nulla.

Esistere, Jean Follain

I poeti non vogliono farci dimenticare nulla dell’infanzia eterna e al tempo stesso fuggevole.

O fanciullo fuggevole, t’arresta!
Tu non sai com’io t’ami,
intimo fiore dell’anima mia.
una sol volta almen volgi la testa,
se te la inghirlandai,
bel figlio della mia melanconia!
Con la tua melodia fugge quel che divino
era venuto in me, quasi improvviso
ritorno dell’infanzia più lontana.

Il fanciullo, Gabriele D’Annunzio,

Partecipiamo alla preghiera di D’Annunzio perché ritorni il fanciullo fuggevole, l’infanzia più lontana. Sembra che D’Annunzio ci offra le immagini degli istanti fecondi e divini dell’ispirazione poetica, come ritorno dell’infanzia più lontana.

Non serve ricordare. Se vogliamo cogliere l’essenza del nucleo di infanzia permanente che è in noi, i ricordi e la storia personale raccontata da noi stessi e da altri piuttosto disturbano il ritorno dell’infanzia perenne. Così lasciamo alla psicoanalisi il compito di ricostruire il passato, le infanzie mal vissute, di cancellare il carattere traumatico di certi ricordi e guarire le sofferenze infantili che continuano ad opprimere tanti adulti.

Anche se ricordiamo poco, molto poco, ci sono immagini che sopravvivono e provengono dal fondo dell’infanzia, e non sono ricordi: sempre, quindi, in noi, un’infanzia può ricominciare. Per questo amiamo i poeti.

Sono momenti, bei momenti da rivivere:
Bel momento, ritornami vicino.
Gioventù, parlami
in quest’ora voraginosa.
O bel ricordo, siediti un momento.

Ti svelerà, Giuseppe Ungaretti

Quando ci prende l’oblio, per forzare il passato, i poeti ci obbligano a reimmaginare l’infanzia perduta. Bisogna reinventare il passato. E quando il poeta ci dona le grandi immagini che rivelano l’intimità del mondo, c’è da chiedersi: non stiamo forse ricordando?

Ai grandi poeti chiediamo di trasmetterci le loro immagini, in modo da vivere nel nostro passato, reimmaginato.

Se invece siamo ricchi di ricordi, teniamo ben presente che non esistono “ricordi puri”, immaginazione e memoria sono legate da un’unione indissolubile. L’immaginazione dà valore al passato, colora, ingrandisce, dilata, sfuma i ricordi, suscita “variazioni” fin nei nostri ricordi infantili. Nelle nostre immagini, continuiamo a fare dei quadri impressionisti del passato.

Così, non confondiamoci con i ricordi dell’adolescenza, chi fantastica sa bene che bisogna andare oltre il tempo agitato dell’adolescenza, del “primo giovanil tumulto di contenti, d’angoscie e di desio”, per trovare il tempo tranquillo, quel sentimento d’eternità, che porta in sé la prima infanzia. Occorre porsi al di là del nostro passato e al di là della stessa nascita. Sembra che l’immaginazione del nostro passato, l’immaginazione che cerca l’infanzia ridia vita a vite possibili, che non sono state esperienze vissute, ma che sono state immaginate. Più che ricordare, quindi, dobbiamo ritrovare il nostro essere sconosciuto. Quando l’immaginazione va così lontano, ci meravigliamo, ci stupiamo di essere stati proprio quel bambino. La memoria immaginaria si impossessa allora di un’infanzia che noi non conosciamo ancora, e che tuttavia riconosciamo. Sarà l’infanzia perduta o l’infanzia proibita, che non abbiamo affatto avuta, ma che qualche volta abbiamo sognato di avere.

E allora, dopo aver superato i rimpianti o le nostalgie, dopo aver superato il disagio dei vuoti di memoria rispetto al nostro passato, raggiungiamo un’infanzia anonima, vita prima umana, e questa vita è in noi e rimane in noi, risvegliata dalle immagini poetiche.

Questa infanzia permanente che è in noi è fatta di immagini visive così distinte da offrire con tanta naturalezza quadri sintetici e pregnanti della nostra vita. Ma chi volesse penetrare negli aspetti indeterminati dell’infanzia dovrà seguire i ricordi vaghi e indefiniti, come sono i ricordi degli odori di un tempo.

L’aria è soprattutto il veicolo degli odori. Chiudiamo gli occhi, e respiriamo gli odori di un tempo. Addolciamoci con questo risveglio della natura: “Il candore della mattinata, l’odor della pioggia e quella giovinezza del suolo che deliziosamente sboccia dopo il temporale, forse s’eran messi d’accordo per addolcire un po’ la durezza della mia anima caparbia.” La fattoria, Henri Bosco.

Sogniamo gli odori nell’aria, in tranquillità, ricerchiamoli nelle stanze di una vecchia casa perduta, nei corridoi, nella cantina. Gli odori acquisteranno ricche risonanze, legheranno i ricordi ai desideri, un enorme passato a un avvenire enorme ed inespresso. Nel passato come nel presente, un odore amato è il centro di un’intimità, pervade le stagioni dell’infanzia semplice e felice. Scopriremo che la memoria è fedele ai profumi di un tempo e che gli odori fedeli dell’infanzia sono gli stessi in ogni casa, in ogni stagione e in ogni paese. Ce ne offrono testimonianza i grandi poeti: quanti ricordi ci assalgono quando un poeta descrive gli odori della propria infanzia! Tanto che non sappiamo se siamo noi a sognare o a ricordare.

Respirare l’aria pura, portatrice di giovinezza e di novità, diserta gli odori nella misura in cui distacca dal passato. Per Nietzsche,

Quest’aria bellissima respirando,
con nari enfiate come coppe,
senza futuro, senza ricordi …

Ditirambi di Dioniso

Ci sono poeti che hanno bisogno di evocare, respirare, odorare l’infanzia, e quanti odori e ricordi ritornano quando leggiamo i loro versi. A volte richiamano dal profondo della nostra memoria, tanto da non sapere se stiamo sognando o ricordando. Attaccata ai suoi ricordi olfattivi una infanzia profuma. Una infanzia intera è evocata dal ricordo di un odore isolato. Un odore di pane caldo sta per tutta la mia infanzia. Questo nulla ha un tale potere di espansione che colma felicemente tutto il mio vuoto di infanzia ricordata.

Le immagini olfattive, le più sottili, le più intraducibili di tutte le immagini, come ogni immagine dell’infanzia, sono favolose, naturalmente favolose, e non in relazione alle favole raccontate dagli altri, dai vecchi per divertirci, ma vivendo le favole del bambino, del bambino permanente, che si crea le favole per se stesso, senza bisogno di raccontarle. Solo lui può restituirci un’infanzia che profuma, il mondo delle favole, e incantarci, in una totale simbiosi di ricordi di odori e del tempo dell’infanzia, in una fusione di ricordo e immaginazione. Sognare l’infanzia vuol dire infatti diventare, anima e corpo, esseri contemplativi, che sanno ammirare e stupirsi, quando si scopre appunto che un’infanzia intera è evocata dal ricordo di un profumo.

Quanti ricordi? Quanti ricordi
poi un profumo solo
mi ha spiegato tutto

Premier Testament, Alain Bousquet

Questo incantamento può avvenire anche con un’immagine non nostra, con un’immagine che ci incanta e al tempo stesso ci sollecita a sognare in profondità. L’infanzia è infatti un archetipo, e gli archetipi sono all’origine delle immagini poetiche. Perciò ci vien da dire “il poeta ha visto giusto”. Le sue immagini ci commuovono, il suo entusiasmo ci stimola.

Diremmo di più, per capire il nostro attaccamento al mondo, bisogna aggiungere ad ogni archetipo un’infanzia. Bachelard ci ha insegnato che non possiamo amare l’acqua, amare il fuoco, amare la terra, amare l’albero, senza considerare l’infanzia dell’umanità che è in noi. Questi archetipi universali li amiamo dall’infanzia, e il canto dei poeti ce li fa riamare in un’infanzia ritrovata. Così, senza l’infanzia, non c’è una vera dimensione cosmica, e senza il canto cosmico non c’è vera poesia. Il poeta risveglia in noi l’infanzia cosmica. Un bambino sognatore è un grande essere cosmico.

Ma attenzione, le immagini dell’infanzia cosmica non sono gioiose, sono piuttosto immagini malinconiche, e non per questo nocive, anzi sono di aiuto anche al nostro riposo, ci offrono la pace e la malinconia delle acque calme, delle acque oscure che dormono al di sotto di ogni vita. L’immaginazione delle belle ore di riposo, la tranquillità delle immagini dell’infanzia permanente hanno bisogno di un elemento della natura che sia sostanza di riposo, della sostanza delle acque dormienti – e della coscienza di tranquillità.

Rilassatevi, aderiamo a queste immagini dell’infanzia cosmica, immaginatevi in una limpida conca dalle acque calme dormienti: “Una piccola ansa rocciosa ove sovente (me ne ricordavo) m’ero attardato al tempo delle acque stagnanti, per ammirare la limpidezza delle sue acque. Era un luogo privilegiato. La natura delle rocce cristalline vi aveva composto dei fondi limpidi ove le onde, calme, si purificavano. La loro trasparenza era così delicata che la luce vi circolava facilmente, come sull’aria, ed i fondali ridevano al sole. Sulla sabbia fulva si vedevano minuti sassolini di porfido azzurro e di marmo rosa, striati. Sotto la roccia, tra i sassi, una bolla d’aria si apriva di quando in quando, ad indicare la presenza di una vena d’acqua che alimentava, in segreto, la limpida conca”. Il fanciullo e il fiume, Henri Bosco.

L’infanzia cosmica trova la sua sostanza naturale nelle acque calme sognanti.

Osservate le vostre reazioni emotive a queste immagini, quali sentimenti associate a queste acque pure, limpide, trasparenti, e alla vena d’acqua nascosta che alimenta le acque.

Attenzione alle profondità non trasparenti delle acque dormienti. L’acqua profonda si può rivelare misteriosa e insidiosa, può essere la grande immagine dell’abisso. Così sulle acque vediamo la misteriosa e insidiosa ondina, insieme ad altri esseri capaci di attrarre come il mare soleggiato e di sedurre nelle profondità più verdi e tenebrose.

Davanti all’acqua profonda o lungo il fiume che scorre, ci può prendere la malinconia, nel ricordo di coloro che abbiamo perduto.

In questa solitudine tranquilla, può venirci caro piangere e contribuire alle acque calme: “Le lacrime sono lo sciogliersi del ghiaccio dell’anima”, Hermann Hesse.

E le sue lacrime come pioggia leggera – cadono
sulla terra

I corvi che gracchiano a sera, li po

Questa tranquillità non può che portare bene e ha bisogno della sostanza delle acque calme.

Forse un’anima in un sogno
così bella mi creava,
con la mente al bene schiava,
con l’azzurra mia pupilla,
come un’acqua che tranquilla
tutto specchia e nulla offende.

Preludio e fughe, Sesta fuga, Umberto Saba

Cantiamo questi versi come se fossero una filastrocca.

Immaginiamo quest’acqua tranquilla come una condizione di trasparenza della nostra anima o come uno stato d’animo da raggiungere, così che le nostre pupille siano effettivamente lo specchio dell’anima, evitando di smarrirsi in vani desideri fino ad essere schiavi del bene e nulla più.

Bachelard ci chiede: “Che sarebbe il mondo dei riflessi, senza lo specchio delle acque stagnanti? Gli uomini avrebbero forse inventato gli specchi, se la superficie di un’acqua tranquilla non avesse reso così fedelmente la loro immagine?” La poesia della materia.

Sì, nello specchio delle acque dormienti, in seno all’acqua riflettente noi scopriamo un essere intimo e profondo, il bambino pensoso e solitario che è in noi, tanto che possiamo individuare una poesia dell’acqua riflettente

In seno all’acqua riflettente noi scopriamo un’intimità, un essere intimo e profondo. Ma attenzione, può essere una profondità pericolosa, l’acqua allora è un mistero e una vertigine: attira e spaventa.

C’è chi trova nell’acqua profonda la sostanza di una malinconia tranquilla: è la malinconia e tristezza tranquille e senza motivo dell’infanzia oziosa e silenziosa, senza avvenimenti, è la malinconia e tristezza così confortanti del bambino pensoso e solitario.

All’estremo di questa malinconia e tristezza, l’acqua stagnante è il cosmo della morte. Ci sono sognatori per i quali l’acqua dormiente è notturna, conserva nelle sue profondità la morte e la notte.

Umberto Saba vede la malinconia come un prologo alla beatitudine:

Sono partito dalla Malinconia
e giunto a Beatitudine per via.

Preludio e canzonette, Finale, Umberto Saba

Questo percorso, queste ore inutili e senza orologio, di malinconia sempre intima e cara sono ancora in noi: è l’infanzia malinconica e senza turbolenze, ed è un grande riposo benefico, se si approfondisce seguendo le immagini di un poeta. L’immaginazione sull’infanzia, la più addolcita delle nostre fantasie, ci deve dare la pace. Bisogna che il bambino che sopravvive in noi diventi il nostro maestro, veramente protagonista della nostra vita d’amore, il soggetto delle nostre buone azioni; occorre dare al bambino un rilievo tale che il suo stato infantile possa regnare in permanenza nella nostra vita. Così il bambino viene ad assumere un rilievo tale da essere il Dio immortale della vita.

Sono molti i miti delle infanzie divinizzate e sono tutti in stretta correlazione con l’archetipo del bambino. Il fatto stesso che ci sia una ricca messe di documenti sull’infanzia della divinità è segno di un permanere dell’infanzia, di un permanere che è vivo nell’immaginazione. In chi fantastica vive un bambino, un bambino che l’immaginazione esalta, tanto da farlo diventare Dio.

Immaginiamo le immagini dell’infanzia divina di Umberto Saba:

La mia infanzia fu povera e beata
di pochi amici e di qualche animale;
con una zia benefica ed amata
come la madre, e in cielo Iddio immortale.
All’Angelo custode era lasciata
sgombra, la notte, metà del guanciale;
mai più la cara sua forma ho sognata
dopo la prima dolcezza carnale.

Città vecchia, Umberto Saba

L’infanzia non è una cosa che muore con noi crescendo, non è un ricordo. E’ il più vivo dei tesori e continua a crescere e ad arricchirci a nostra insaputa. Per Umberto Saba cambiano i sogni, ma non la capacità di sognare e di attendere il cielo.

L’infanzia vive della fiducia dei mondi che crea.

“Non abbiate paura!”. Questa frase di Giovanni Paolo II continua ad avere un’eco nei nostri cuori. Solo se non si ha paura si può amare e saper abbandonarsi totalmente come bambini fiduciosi nelle braccia del Padre: “Non voler essere adulto – suggeriva – ma bambino, bambino sempre (…). Quando un bambino inciampa e cade, nessuno si sorprende … suo padre si affretta a rialzarlo. Quando ad inciampare e cadere è un adulto, il primo moto è il riso. A volte, passato il primo impulso, il ridicolo cede alla pietà. Ma gli adulti devono rialzarsi da soli. La tua triste esperienza quotidiana è piena di ostacoli e cadute. Che sarebbe di te se non fossi sempre più bambino? Non voler essere adulto. Bambino. E quando inciampi, ti risollevi la mano di tuo Padre Dio” da Cammino 870, Josemarìa Escrivà de Balaguer.

Proviamo a metterci in questo stato infantile, ritroviamo un candore, un’innocenza, una semplicità infantile. Sentiamoci piccoli e fragili, eppure pieni di Dio. Onoriamo questa infanzia divina, questo Dio immortale della vita.

Abbiate fiducia! Anche quando non riusciamo a ricordare la nostra infanzia, l’infanzia non muore in noi! L’infanzia superstite, ci può prendere all’improvviso, alla gola, singhiozzando; e allora, non abbiate paura, abbandonatevi a questa sorpresa.

Un abbandono mi afferra alla gola
dove mi è ancora rimasta l’infanzia.
(…)
Ancora mi rimane qualche infanzia.

Di abbandonarmi ad essa è il modo mio
quel fuori di me correre
stretto alla gola.

Superstite infanzia, Giuseppe Ungaretti

Affidiamoci ai poeti fanciulli, con la semplicità e il candore di un animo infantile: l’energia che anima le immagini di un poeta è un’infanzia che non cessa di permanere e crescere. Cresciamo nella piccolezza!

Affidiamoci alla piccola via dell’infanzia spirituale che ci ha indicato Teresa di Gesù Bambino, quella via che può percorrere solo chi si fa bambino. E’ la via della confidenza e dell’abbandono, che esige che stiamo a mani vuote, senz’altro appoggio che “la fiducia nient’altro che la fiducia”.

L’infanzia eterna è semplice, poverella, vivace e fresca, fatta di gioia ingenua. Che dolce benessere ci dà sognare la luce degli occhi e dello sguardo di bambino del vecchio di H. Bosco, l’immagine della sua infanzia: “Era un viso molto vecchio; ma in cui sussisteva un non so che di vivace e di fresco che aveva ancora il profumo semplice della giovinezza. La barba breve ed i capelli fitti, tagliati corti e bianchi come neve, contrastavano con la pelle bruna del viso incartapecorito. Un viso sano e ben tagliato in una carne ancor solida, ornato di una fronte alta, solcata di rughe. Due sopracciglia arruffate celavano a stento lo sguardo puro. Era là che viveva la sua giovinezza, nei due occhi chiari. Li rivedo ancora, quegli occhi di bambino di cui non saprei dire il colore, ma ch’erano trasparenti come l’acqua, e in essi affiorava di colpo, senza sollevare con sé una sola ombra. Uno sguardo che era soltanto luce. Questa luce ci guardava. (…) E sorrise di piacere: il pensiero del cane, del rifugio, del focolare – le tre ricchezze ch’erano là, a portata di mano – lo empivano di una gioia ingenua. L’esistenza gli pareva una buona cosa: ne assaporava la dolcezza, benedicendo la sorte che gli aveva elargito simili beni. Egli li godeva, per certo, con gratitudine e con piena coscienza, ma bastava guardarlo per capire come la benevolenza del cielo, quaggiù, gli fosse garantita. Una buona stella lo proteggeva: una stella umile, forse, ma fedele fino alla fine. Una stella che l’avrebbe vegliato, al momento del passaggio da questo mondo nell’altro. A mano a mano che egli invecchiava, senza dubbio vedeva crescere ed avvicinarsi quel calmo splendore. E i suoi occhi, il suo vecchio viso di povero ne erano, a sua insaputa, modestamente, ma anche meravigliosamente illuminati”. Tonino.

Illuminiamoci di questa luce! Godiamo di queste felici immagini di bontà e benessere dello spirito e del corpo!