SOGNANDO IN SOLITUDINE

Sognando il cielo azzurro

Immersi nella natura, con le braccia indietro e con la testa rivolta al cielo l’aria azzurra, l’aria tranquilla ci porta grandi immagini di riposo attivo, della calma, della grandezza e della leggerezza.

Nell’erba, fra balsamine selvatiche,
margherite e ninfee di bosco,
siamo sdraiati con le braccia indietro
e con la testa rivolta al cielo.

L’erba sulla viottola fra i pini
è impenetrabile e folta.
Ci scambiamo uno sguardo e nuovamente
mutiamo pose e luoghi.
(…)
Con monotonia premeditata
come unguento il denso azzurro
si posa a terra con barbagli
e ci imbratta le maniche:

Noi dividiamo il riposo del bosco
fra il brulichio delle formiche,
respirando un sonnifero miscuglio
silvestre di limone con incenso.

Ed è così furioso nell’azzurro
lo slancio dei tronchi di fuoco,
e così lungamente non togliamo
le braccia di sotto la testa supina.

E c’è vastezza nello sguardo,
e tutto è così docile di fuori,
che mi sembra di scorgere tra i tronchi
continuamente in qualche luogo il mare.

I pini, Boris Pasternak

Immergiamoci in questi versi e nell’erba alta, nel risposo del bosco, nel denso azzurro del cielo, lasciamoci andare in queste postazioni di sognatori che godono della natura in pace. Che dolce sintesi di terra, cielo e mare!

Lasciamoci avvolgere da simboli naturali materni:

Il ragazzo riverso fissava quel cielo.
Ma il tramonto stordiva. Era meglio socchiudere gli occhi
e godere l’abbraccio dell’erba. Avvolgeva come acqua.

Il ragazzo che era in me, Cesare Pavese.

Incontrando questi versi, nel nostro seguire l’immaginazione attiva, scopriamo l’uomo che sogna, l’uomo sognatore, troviamo immagini primitive, semplici, elementari. Ora, dall’immagine dell’erba che avvolgeva come l’acqua, in una felice fusione naturale, siamo ora nell’”età verginale” evocata da Montale:

Eravamo nell’età verginale in cui le nubi non sono cifre o sigle
ma le belle sorelle che si guardano viaggiare.

Fine dell’infanzia, Eugenio Montale

Questa condizione del guardare il cielo e le nuvole provocano un’adesione felice ad una sorta di immagine semplice, passeggera e assoluta, autoportante e non scomponibile.

Sereno
(…)
Respiro
il fresco
che mi lascia
il colore del cielo
(…)

L’Allegria, Giuseppe Ungaretti

Respirare il colore del cielo ci fa prendere coscienza che la nostra predilezione per il colore azzurro e il fresco è portata dal cielo. L’azzurro per eccellenza è sicuramente quello del cielo, qualcosa di elementare e di generale, di fresco e di puro, anteriore alla parola. L’azzurro del cielo è simbolo dell’altezza, della trasparenza, della purezza, è un colore freddo, nel senso che allontana l’eccitazione e realizza le condizioni migliori per il riposo e la solitudine.

Il cielo azzurro dà al colore azzurro una raffigurazione indelebile, incolore o poco colorata, e il colore sparisce quanto più si ha l’impressione di purezza.

La purezza è la caratteristica propria del cielo blu pallido, privato dei riflessi dei colori, è una sorta di nirvana visivo, che i poeti assimilano all’etere, all’aria purissima e salutare.

La purezza, la luce e l’azzurro del cielo richiamano esseri puri e alati. Così immagina: l’ala nel surrealismo si colora dell’azzurro del cielo e il cielo diventa un cielo di ali. Qualsiasi azzurro dinamico, in movimento è un’ala. L’ala azzurra, l’uccello azzurro sono prodotti del movimento dell’aria. E quando viene messo in gabbia cambia di colore.

Immaginiamo ora davanti al cielo azzurro, esclusivamente azzurro, senza oggetti ed uccelli, privato dei riflessi dei colori. Possiamo riconoscere il nostro essere e le nostre fantasie secondo una linea e una sorta di scala di dematerializzazione e di decolorazione emotiva dell’azzurro del cielo, viviamo la fusione dell’essere sognante in un universo indifferenziato, in un universo azzurro e dolce, senza forma e con il minimo di sostanza. L’immagine del cielo provoca una sublimazione estrema, divina. Ci veniamo a trovare di fronte ad una potenza tranquilla, contenta semplicemente di vedere l’azzurro intenso ed uniforme scolorire man mano verso l’irreale. In questo processo, davanti al cielo azzurro, l’immaginazione aerea segue una sorta di cancellazione della materia e delle immagini: l’immaginazione è semplificata e semplificante, è così povera di forme da non essere altro che il mondo della trasparenza assoluta, della chiarezza nei sentimenti, negli atti e nei pensieri. Che leggerezza salutare!

In questo immaginare, con l’aiuto dei poeti, possiamo volare dal piccolo al grande e dal grande al piccolo, dalla terra al cielo e dal cielo alla terra. Con la poesia del cielo azzurro possiamo ritrovare un cielo in una stanza, il cielo azzurro in un fiore di campo.

Molte volte levandomi ho visto le nuvole
trasparire nell’acqua limpida di un catino.

Canzone, Cesare Pavese

Con questi salti di dimensione, l’immaginazione poetica ci fa riflettere l’infinito in un cantino, ci fa accogliere il cielo in una stanza: “Avevo lasciate socchiuse le mie imposte e, attraverso la fessura, vedevo scintillare due stelline. Mi parve che, piano piano, le imposte si schiudessero di più e che via via un cielo più ampio ed un maggior numero di stelle invadessero la mia stanza. Questa invasione divenne ben resto così vasta che i muri della camera dileguarono ed io ebbi intorno a me il pieno cielo. A poco a poco, si formò uno strano paesaggio punteggiato di astri e cristallino. Era il fondo di un fiume notturno e luminoso, misteriosamente rischiarato, al di sotto, da fuochi invisibili”. Il fanciullo e il fiume, Henri Bosco

Con i poteri della solitudine notturna del sognatore, ad occhi aperti ed incantati, tutto si dematerializza e diventa fluido. Nell’immaginazione poetica c’è un cielo liquido che fluisce, che invita ad abbandonarsi come in una dolce cullata e a berne la dolcezza, la purezza, la giovinezza. In questo cielo, possiamo volare senza ali, come in un dipinto di Schagal, notare nell’aria.

Ma non tutti i cieli sono accoglienti. C’è un cielo azzurro duro, crudo, compatto, con una tonalità vibrante che ci guarda fisso, dove il volo vigoroso degli uccelli o di oggetti volanti, per esserci, devono squarciarlo.

C’è un cielo dall’azzurro tanto forte che a guardarlo a lungo acceca, crepita, si riempie di puntini d’oro.

C’è il cielo azzurro mobile dell’aurora permanente, prima dello scoppiare del sole, nel momento in cui l’oscurità diventa visibile e l’universo notturno sta per diventare aereo.

C’è un cielo profondo, blù, infinito, nel quale l’occhio sente il suo potere di trascendere ciò che vede, si sente di poter guardare oltre, sente che non vi è resistenza e che può perdersi ed espandersi dolcemente, in un’immaginazione che è una sentimentalità pura.

C’è un cielo blu impalpabile, che impallidisce un poco, di un pallore fine, tenero, che si accarezza, carico di sogni, con la tonalità di un soffio che ci induce alla calma, alla sua leggerezza, allontana dall’eccitazione e realizza le condizioni ottimali per il riposo, e soprattutto per la solitudine sognante.

Chiediamoci allora qual è il nostro cielo.

Se siamo aerei, alimentiamo le immagini nelle quali l’azzurro del cielo è davvero aereo. Immaginiamo un cielo scolorito, eppure azzurro, tenero e sottile, specchio senza foglia, dalla trasparenza infinita, dal quale sono banditi gli oggetti e gli uccelli, per offrire il dominio del soggetto sognante. Si sente che il mondo aereo è permeabile all’immaginazione più indeterminata. Il cielo viene allora penetrato in profondità dal sogno aereo. L’aria azzurra e colui che sogna si fondono come un sogno di fronte ad un fumo che entra nello spirito del sognatore.

“Quel fumo, naturalmente, attrasse l’attenzione di Genoveffa. Anch’io qualche volta mi lasciavo andare a guardarlo. Una sera la sorpresi in contemplazione di quella nuvoletta.” La fattoria, Henri Bosco. Lasciamoci naturalmente incantare anche noi dalla nuvoletta di fumo che la sera si innalza attraverso il fogliame.

Cantiamo “Cielo in una stanza” di Gino Paoli, e immaginiamo da soli, in armonia col cielo in una stanza.

Quando sei qui con me
questa stanza non ha più pareti
ma alberi,
alberi infiniti
quando sei qui vicino a me
questo soffitto viola
no, non esiste più.
Io vedo il cielo sopra noi
che restiamo qui
abbandonati
come se non ci fosse più
niente, più niente al mondo.
Suona un’armonica
mi sembra un organo
che vibra per te e per me
su nell’immensità del cielo.
Per te, per me:
nel cielo

E quando è il mare a fondersi con il cielo? Con Marcel Proust, immaginiamoci questa visione cosmica in rivoluzione, di un cielo-mare che si ritira sopra la città già illuminata per la notte: ”il cielo pareva un immenso mare sfumato di turchese, che stesse ritirandosi, lasciando già emergere una linea leggera leggera di scogli neri, o forse soltanto reti di pescatori allineate le une dopo le altre, e che in realtà erano nuvolette: un mare che diventa, in quell’ora, color turchese, e che trascina via con sé, senza che se n’avvedano, gli uomini coinvolti nell’immensa rivoluzione della Terra, della Terra sulla quale essi sono così folli da continuare per proprio conto le loro rivoluzioni e le loro vane guerre”. Il tempo ritrovato, Marcel Proust.

Godiamoci queste immagini leggere di un tempo presente vissuto nel libero fantasticare nel cielo.

Avrò tempo domani
a rinchiudermi e stringere i denti. Ora tutta la
vita sono le nubi e le piante e le vie, perdute nel cielo.

Canzone, Cesare Pavese.

Gli uccelli alimentano le fantasie nel cielo:

E le rondini turbinavano come spole
canore pel telaio grande dell’azzurro.

Fuochi d’artificio, Govoni

Perdiamoci nel cielo, fantastichiamo nel vento, tra le nuvole:”Si apre il cielo dove corrono le nuvole. Nella forma che il caso e il vento danno alle nuvole, l’uomo è già intento a riconoscere figure: un veliero, una mano, un elefante” Le città invisibili, Italo Calvino.

Ma attenzione, nel proporre immagini, consideriamo che, anche rispetto al cielo, abbiamo diversità di temperamenti, di condizioni psicologiche: ci sono gli amanti delle atmosfere limpide delle cime, così come c’è chi ama cullarsi nelle nubi o nella malinconia delle piogge.

Viviamo questa fusione del volare e del navigare, nella lentezza che segue il passo dell’eternità.

Navigano lente le nubi
sui fondali
tinti di azzurro.

Hanno il passo
dell’eternità.

Angelo Casati

L’uccello, volando nello spazio, constata a ogni battito d’ali che lo spazio è illimitato e che il suo volo non potrà mai portarlo a varcarne i confini. In ciò consiste la sua gioia. Nella gabbia il suo spazio è circoscritto, e non può essere contento di ciò, perché ha bisogno di sentire che ciò che possiede è incommensurabilmente più di quanto possa mai occorrergli, di quanto sia capace di abbracciare col suo volo, e solo allora può sentirsi felice. Così spaziamo nell’infinito, voliamo nel cielo azzurro, nell’aria azzurra, insieme agli esseri dell’aria, agli uccelli, lasciamoci andare al nostro essere aereo, alle grandi immagini della leggerezza e della libertà. Nel nostro psichismo è profondamente iscritto un cielo azzurro e il volo nell’aria libera: il sogno di dare tutto se stessi a ciò che è immenso, il sogno di volare senza ali nell’infinito.

Diventiamo aerei, manteniamo da sognatori ad occhi aperti la nostra capacità di volare senz’ali, di un volare che non ha bisogno di imitare gli uccelli. Mettiamoci a planare, rasentando spesso il suolo: se tocchiamo terra, basta un colpo di tallone per rilanciarci e partire in un viaggio affascinante.

Oppure, assecondiamo l’esperienza delle bellezze della natura, che ha vissuto un grande musicista, Debussy, tutto preso da una tensione ascensionale spirituale, e non necessariamente religiosa: “Davanti a un cielo mosso, di cui osservo per le bellezze meravigliose e incessantemente mutevoli, sono mosso da un moto indescrivibile dell’animo. La natura sconfinata si riflette nella mia povera anima affamata di verità. Ecco gli alberi che allungano le loro braccia verso il cielo, ecco i fiori profumati che sorridono nel prato, ecco la terra, gentilmente adorna di ricche erbe. E, impercettibilmente, le mani si giungono devote. Sentire a quali spettacoli sconvolgenti ed immensi la natura invita le sue creature mortali e rabbrividenti è ciò che io chiamo pregare” Il signor Croche antidilettante, Claude Debussy

Sognare e fantasticare

Discese e ascensioni

Acque e arie

L’intimità protetta

Il benessere del piccolo