Sogni labirintici
Sogni labirintici
Pur nell’incoscienza della vita notturna, da svegli, non siamo indifferenti alle emozioni del sonno, ci sono infatti sogni le cui emozioni ritornano da svegli: la paura di non riuscire a sostenere un esame e la fatale decisione di rimandare la prova, l’impazienza che proviamo all’angolo della strada quando non riusciamo a ritrovare il cammino, il turbamento e la confusione per essersi perduti. Sono le angosce del labirinto dei sogni. Nei sogni notturni riviviamo la situazione tipica dell’essere smarrito, la dimensione d’angoscia che caratterizza ogni difficoltà. Le numerose e monotone immagini dei sotterranei e dei labirinti ci rivelano proprio questa dimensione d’angoscia.
I battuti sentieri, in un’angusta
Oscura valle m’internai: ma quanto
Più il passo procedea, tanto allo sguardo
Più spaziosa ella si fea. Qui scorsi
Adelchi, Alessandro Manzoni
L’allontanarsi della meta e l’impotenza a procedere fanno vivere uno stato d’animo non spiegabile con gli avvenimenti del giorno, infatti, temiamo di perderci senza esserci mai perduti. E’ l’inconscio che emerge e i sogni labirintici sono sogni profondi.
Smarrirsi, con tutte le emozioni che questo fatto implica, è forse da ricondurre ad una situazione arcaica, in quanto basta la minima complicazione, concreta o astratta che sia, che l’essere umano può ritrovarsi in questa situazione. Ripercorrendo i sogni labirintici, sentiremo che ci smarriamo alla minima svolta, che ci facciamo prendere dall’angoscia alla minima strettoia. Insomma, nei nostri sogni notturni, forse riprendiamo inconsciamente le emozioni proprie della vita dei nostri avi viaggiatori, così la sensazione dell’essersi smarrito ci fa ritrovare l’archetipo del labirinto, ci fa prendere coscienza che nell’uomo tutto è cammino smarrito. Allora, camminare a fatica, in sogno, significa essersi smarriti e vivere quindi la sofferenza dell’essere smarrito, tanto che in questa difficoltà a procedere è la sofferenza per eccellenza.
“Se dovessimo disegnare un’architettura simile alla nostra anima (…) bisognerebbe concepirla a immagine del Labirinto dalle pareti molli, tra le quali cammina, scivola il sognatore. E da un sogno all’altro il labirinto cambia” Aurora, F. Nietzsche.
Ripensando a questo procedere nel sogno, sentiamo che le angosce dell’incubo del labirinto sono spesso bivalenti: il sognatore vive una strana esitazione, che riunisce l’angoscia di un passato di sofferenza e l’ansietà per un avvenire di infelicità. Il sognatore è esitante, anche di fronte ad un unico cammino, è preso tra un passato bloccato e un avvenire ostruito. Anche nella vita da svegli, seguire una lunga gola o trovarsi all’incrocio di diverse strade può suscitare angoscia.
Questo stato è spesso interpretato come dovuto a fattori fisiologici, viene rappresentato da un peso sul petto del dormiente: egli si sentirebbe schiacciato sotto il peso che lo opprime. Si cerca di motivare questa sensazione con le coperte troppo pesanti o se ne trova la causa in una cattiva digestione. Ma queste cause occasionali del sogno presentano poco interesse, un organismo che è capace di digerire bene, e che prova piacere a farlo, non ha mai sofferto di una tale pesantezza. Per comprendere il sogno occorre allora cercare le cause interne al sognatore: il sognatore è compresso, non perché il passaggio lo sente difficile e angusto, ma perché lo immagina restringersi. E’ angosciato dalla prospettiva che immagina; durante il sonno infatti lo vediamo contorcersi e da sveglio ci parlerà di percorsi complicati e di crocevia.
Vanno fatte comunque delle distinzioni, se vogliamo comprendere le dinamiche delle nostre difficoltà e fatiche a procedere nei sogni labirintici, occorre soprattutto distinguere il sogno del muro che sbarra il cammino dal sogno in cui è sempre presente una fessura nella quale insinuarsi, anche perché nel sogno ogni fessura attira per scivolarci dentro.
Questa distinzione ci permette di cogliere qualcosa di positivo nei sogni labirintici: fin quando le porte sono sempre socchiuse, ci è data sempre la possibilità di scivolare, tutti interi, nella più piccola fessura.
Proviamo ad immaginare di insinuarci in una fessura stretta, nello spazio stretto tra due muri, dalle superfici ben lisciate. E’ un’immagine attiva e naturale che fa bene.
Sono le immagini della porta stretta, a cui Gesù invita ad entrare per trovare la propria strada, la propria realizzazione. “Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che vi entrano. Quanto stretta è la porta e angusta è la via che conduce alla vita, e pochi sono quelli che la trovano!” Mt 7,13-14.
La porta stretta e sempre aperta è Gesù stesso. Fa entrare in sentieri angusti o in aperture eccessivamente strette. E’ tutto uno stirarsi lungo pareti ora dure, ruvide e spigolose, ora fluide ed elastiche. Sono le difficoltà e le fatiche a raggiungere la consapevolezza di sé, riconoscere l’immagine originaria, che Dio si è fatta di noi. Per realizzare pienamente se stessi, occorre superare le strettoie obbligate della strada della nostra vita. E’ la via stretta che ci porta su spazi aperti, verso orizzonti sconfinati, dove è possibile la piena armonizzazione con se stessi. Percorriamola con coraggio questa “angusta via che porta alla vita”!
Altri sogni suscitano le fessure orizzontali, pozzi, botole, dalle quali si aprono gole, scale, sotterranei, viscere: il sognatore viene inghiottito dall’abisso, come in una discesa agli inferi. Si entra in un incubo, dal quale si può uscire, anche se ogni discesa è accompagnata dalla paura che si trasformi in una caduta, anche se non definitiva.
Immaginiamo di cadere in un abisso, trascinati da una corrente di diversi fiumi dalle vene colorate. Un chiarore biancastro si infiltra a poco a poco nella corrente e alla fine vediamo un nuovo orizzonte, ci troviamo in una costa illuminata da fiotti di luce.
Si tratta comunque di un difficile procedere, scivolando e insinuandoci in piccole fessure. E’ un susseguirsi di strettezze e di porte socchiuse, è tutto uno stirarsi lungo pareti ora pietrificate, dure e spigolose, ora fluide ed elastiche. Il corridoio stesso dei sogni è un sognatore che si insinua e che si allunga. Si vive in uno stato psichico di viscosità e sofferenza.
Questi sogni sono molli, viscosi e faticosi. E’ la viscosità che fa procedere il sogno a fatica. In questi casi, non bastano le visioni oniriche, è necessaria un’esperienza tattile, che si aggiunge all’esperienza onirica visiva. La viscosità e la strettezza sono una specie di sensazione primaria, è una sofferenza dell’infanzia. Il distendersi nelle fessure e l’impastarsi con le pareti è una sofferenza voluta, una sofferenza che vuole continuare.
Anche se abitiamo una casa luminosa, spaziosa, accogliente, ciò nonostante, le nostre angosce infantili troveranno sempre un angolo angusto, un corridoio stretto e un pò buio, un soffitto un pò basso, per farne immagini di restringimento, di oppressione.
Immaginiamo di risalire lungo un tubo stretto e non rigido, questa risalita ci soffoca; si fa sempre fatica ad uscire da una gola, ma se ne può uscire sempre, e non è forse vero che ogni obiettivo o compito comporta una fatica? Lungo il percorso spuntano già dei fiori: ecco il fiore ricompensa delle nostre fatiche. Il fiore punge un pò ed è secco, è fiore dei rovi, spinoso e senza profumo, ma è pur sempre un fiore. Immaginiamo che nel tubo scorra la linfa come una goccia che diviene fiore e noi ne cogliamo lo sviluppo nella difficile risalita, allorchè il tubo si allarga.
In questo difficile procedere, è significativo che il malessere del sognatore di labirinti sia vissuto in tutta solitudine. Non esiste solitudine più grande di quella dei sogni di labirinto.
L’incubo del labirinto è una prigione, è un labirinto-prigione dove si può vivere la strana ambivalenza di sicurezza e paura. Sono le contraddizioni dell’essere rinchiuso: è protetto e prigioniero. In questo senso, l’essere che si insinua nella tana di Franz Kafka prova un piacere dinamico:”E’ questo senso profondo dei bei momenti che sono solito trascorrere nei corridoi, in parte nel conforto del sonno, in parte nella gioia della veglia, in quei corridoi calcolati alla perfezione sulle mie dimensioni per permettere voluttuosi stiramenti, infantili capriole, riposi sognanti e beati sopori”. Il labirinto, di fronte a difficoltà ed ostacoli, fa riscoprire la propria flessibilità, si può diventare conchiglia, nella quale imparare a girare su se stesso e vivere le gioie dell’avvolgimento.
L’andamento nel sogno labirintico è lento, è un dramma che procede con grande lentezza, occorre avere pazienza e calma, nel vivere l’ambivalenza di sicurezza e paura, le contraddizioni dell’essere rinchiuso, che è protetto e che allo stesso tempo è anche prigioniero, al fondo agisce quella volontà di aprirsi un cammino, in un mondo pieno di ostacoli, che fa parte della vita da sveglio. Per questo, nei sogni labirintici, ci sono sensazioni ed immagini fisiche che viviamo anche da svegli. La materialità, il benessere e il malessere, anche fisico, dei nostri incubi labirintici rimandano a numerose realtà fisiche umane che suscitano sensazioni di labirinti. Scopriamo realizzarsi la sintesi di casa e corpo umano, la casa-corpo. Sono numerose le immagini della digestione, i nostri condotti e tutti i visceri sono tortuosi: quelli di una prigione come quelli di un uomo. E per digerire bene abbiamo bisogno del calore. Il labirinto è un sogno profondo e come tale non può essere freddo. Sì, è caldo, ma di un calore umido.
Sentiamo che in noi tutto è continuo e conduttore. Ogni organo è uno spazio in cui entra qualcosa per uscirne in seguito, così da realizzare il ciclo normale e sano, giorno e notte, a stomaco pieno e a stomaco vuoto. Questa entrata e questa uscita hanno una funzione e un valore diverso: il tubo digerente fa comunicare la bocca, di cui siamo fieri, con l’ano, di cui ci vergogniamo.
Se soffriamo di rigurgiti, spesso con la diagnosi di ernia iatale, immaginiamo di voler scendere nel nostro labirinto intestinale ostruito da cibi, da un ammasso di cibo che sembra dover spingere verso l’alto. Mangiando e bevendo ancora, in quel labirinto, restiamo impigliati da cibi che non riescono ad andare giù, insieme a noi, e rischiamo di soffocare. Il solo mezzo che ci resta, per trarci di impaccio tra il rimettere fuori e continuare a cercare un cammino, è mangiare e bere ancora, con una buona respirazione e un buon rilassamento fisico e spirituale. Nonostante le difficoltà, il trasporto riesce. In uno spazio di tempo abbastanza contenuto, l’ostacolo è superato. Riprendiamo fiato.
Se non riusciamo subito ad inghiottire, a mandare facilmente nello stomaco, diventiamo un pò ruminanti, con una ruminazione costruttiva, come la mucca di un racconto di Grimm rumina il suo Giona.
Prestando attenzione ai nostri incubi labirintici, progrediamo in un “guardare dentro” che ci riveli il comportamento dei nostri condotti e scopriamo che tutto ciò che è in noi è conduttore e continuo. I sogni labirintici e la nostra immaginazione attiva ci danno la prova di una idrodinamica interna e che ci percepiamo fino in fondo.